Bobby Orr, sinonimo di GOAT quando si parla di blueliners, leggenda dei Bruins che ancora troneggia davanti al TD Garden con la sua iconica statua.

Paul Coffey, membro della dinastia degli Oilers di Gretzky ed assoluta stella del reparto arretrato di quel carro armato di squadra.

Al MacInnis, leggenda di Flames e Blues capace di spezzare in due le maschere dei goalie con uno degli slap shot più temibili della storia.

Denis Potvin, bandiera di quegli Islanders che ne infilarono 4 di fila come poche franchigie sportive in generale abbiano mai fatto.

Brian Leetch, che fece la storia dall’altra parte del cuore hockeistico newyorkese ed eleggibile come più grande defenseman made in USA di sempre.

Cinque nomi il cui spelling è defenseman, icona, monumento del gioco dell’hockey.

E c’è un sesto personaggio che ha in comune con loro, e solo con loro, il raggiungimento di una pietra miliare nella carriera di un blueliner: il nome in questione è Erik Karlsson, ed il traguardo in questione sono i 100 punti in stagione nel ruolo di defenseman. 101 per la precisione.
Erik Karlsson è stato per anni uno dei migliori defensemen della lega, vestendosi con maglia Senators e sfiorando l’impresa in quei 7 game contro i titanici Penguins a due teste della coppia Crosby-Malkin in totale spolvero.

Ma tra infortuni e scelte sbagliate, la magia del precursore del defenseman moderno si era nettamente ridimensionata.

Quest’anno l’ex Ottawa è tornato a fare cose assurde sul ghiaccio, per la prima volta giocando per ciò che la franchigia degli Sharks aveva pagato, a suon di pick e con una super-estensione contrattuale.

Ma il problema è che il risveglio dello svedese è arrivato con una rebuild in pieno corso per i campioni in divisa teal, lontani dai ricordi che vedevano Thornton e Pavelski troneggiare nella western conference.

San Jose si è smantellata piano piano, resasi conto di aver sbagliato il tiro nel tentare di fermare un power duo tra Karlsson e Burns. Piano mai veramente concretizzatosi, a mio umile parere in luce di uno squilibrio eccessivo tra i due futuri hall of famers.

E quindi i problemi fioccano: Karlsson non è più giovanissimo, ha una dubbia storia di infortuni su cui non si può investire senza un po’ di pelo sullo stomaco, ha una cap hit stellare e, soprattutto, ha voglia di vincere, e a San Jose non lo può fare.

Ma quando hai appena concluso con 101 punti su ghiaccio di cui ben 25 goal, va detto che un certo valore sul proverbiale trade block dovrai pur averlo, e questo fa comodo a chi sta ricostruendo.

Però quell’inghippo da 11 milioni e passa lo devi pur piazzare, rendendo la lista dei candidati risicata: qual è il matrimonio più sensato per Karlsson a questo punto della sua carriera, con i suoi punti di domanda e le sue aspettative?

Sarebbe suonato strano anche solo lo scorso anno, ma il compagno di viaggio più quotato prende il nome di Seattle Kraken. Primo motivo: hanno tanto, tanto, cap space. Una cosa che non troppe franchigie possono permettersi di dire. Secondo motivo? Hanno vinto!

O meglio dire: ci sono arrivati vicini, disputando una finale di conference in corrispondenza del loro secondo anno di vita.
Seattle ha bisogno di un nome riconoscibile anche per uno step di puro marketing, ma non c’è dubbio che Karlsson possa essere quel passetto in avanti per trasformare una conference final in una partecipazione alla serie per la Stanley Cup.

E in più, il buon Erik si è fatto francobollare una bella no-trade clause sul suo contrattone: questo vuol dire che non ci saranno Sabres o Coyotes che tengano ad assorbire un contratto per una speranza di risalire la china. Karlsson sceglierà una vincente, e sinceramente l’allineamento di stelle rappresentato da una candidata alla vittoria finale ed un cap space adeguatamente ampio è incarnato, va detto, solo dalla neonata franchigia della Emerald City.

Quattro stagioni a 11.5 milioni di cap hit, 31 anni di età che diventeranno a fine contratto 35, la prima stagione giocata per intero proprio quest’anno (e non accadeva dal 2016).

Tanti dubbi, ma anche 101 ragioni per cui puntare ancora su una leggenda del presente, in odore di terzo Norris Trophy e con una sola differenza rispetto a quei cinque fenomeni sopracitati: la vittoria della Stanley Cup.

Credo che ad Erik piacerebbe pareggiare i conti.

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