Mio caro Jaromir Jagr, mio caro hockey su ghiaccio, mio caro Play.it USA.

Ho il dubbio che questo sia un articolo o una serie di dichiarazioni d’amore.

Pensate, io volevo intitolarlo così:

Un giorno all’improvviso, m’innamorai di te: www.playitusa.com

Ma sei scemo? Ma che titolo è?

Beh, quando mi si dà carta bianca succede anche questo e oggi ho pensato a dare l’onore, l’onere, l’amore e il ringraziamento verso il mio primo amore, il sito Play.it USA.

Poi però arriva lui, quello col numero 68, con i capelli lunghi, da triglia, la faccia da schiaffi, la classe onnipresente anche oggi che di anni ne ha 52. Beh, lui è semplicemente il mio primo amore hockeistico.

Come? Ci hai rotto le scatole una vita con Mario Lemieux e ora?

Ebbene, ora lo ammetto. È stato Jaromir Jagr a far nascere tutto.

Lemieux è direttamente la mia passione più forte. E Jagr è ispirazione.

Prima Jaromir Jagr o prima Francesco Fiori?

Scrivo di entrambi, di uno so tutto, dell’altro non capisco ogni neurone presente (e anche futuro)

Se io oggi sono un giornalista lo devo a Play.it, lo devo al super capo Max Giordan e lo devo a chi mi ha sopportato da quel 2008. Lo devo anche ad un pc acceso in uno studio commerciale, perché nel mio ultimo quarto d’ora da ragioniere potevo dar sfogo a internet e al mio sapere sullo sport più bello del mondo, l’hockey su ghiaccio, la mia bella lega della Nhl.

Ma a quel punto toccherebbe far un passo indietro di parecchi anni, credo 1996, o 1995, in ogni caso siamo lì. Ho sempre pensato una cosa: ti innamori del primo sguardo. Non si sono alternative, vale così nella vita e nello sport.

In estate, con le vacanze estive, scappavo da mia madrina e mio padrino lontano dal mio paese. Ma i miei sapevano che loro avrebbero ospitato una bomba a orologeria con la testa perennemente sullo lo sport.

Tutta la mia vita è concentrata sullo sport.

Oddio, faccio anche altro, ma se poi mi viene chiesto qualcosa di sportivo divento come Superman. Non è un difetto, ma non è neanche un pregio (è una bugia bianca, io sto da Dio nei panni del giornalista ma ancora oggi quando dicono c’è il giornalista io controllo di chi stanno parlando).

Ah già, si dovrebbe scrivere di Jagr.

Però Jaromir tu sei già mito, fammi arrivare al perché Vi amo. (Non voi Jaromir, ma voi pazzi sui pattini).

Estate 1995. Mio padre ha solo un’arma per farmi rientrare a casa. Io da mio padrino e mia madrina sto da Dio. È la cosa più bella del mondo.

Sì, ma lui, a insaputa della mia mente mentale sportiva e malata viene a farci visita con la scusa di un acquisto, niente di che. “Sono in città perché mi son detto che a casa serve il decoder di Telepiù2“.

Bene, va benissimo l’affetto parentale. Ma Telepiù2 è il mio paradiso.

Anzi, neanche, è molto più di un paradiso.

Si ma, Play.it Usa che c’entra?

Non abbiate fretta. Il racconto vale la pena. E Max Giordan vale la mia lode.

Ti ricordiamo che questo è un pezzo per Jagr.

Alla scuola media non sono mai stato una cima, anzi se devo scegliere un incubo rivivo puntualmente quelle interrogazioni. E i compiti alle 15.00 li odiavo.

Poi che Telepiu2 trasmettesse contemporaneamente Coast To Coast è pura casualità. Se ben ricordo è tutta colpa di Paola Ellisse, una splendida giornalista che ti raccontava il basket come magia.

Ci ho anche provato a giocarci. Ma dall’alto del mio metro e 60 volevo schiacciare. Non ci son riuscito, quindi nulla. La Dinamo Sassari si è persa il mio show. Tanto, piazzando un canestro in casa sono riuscito a imitare Michael Jordan. Grande schiacciata. Muro staccato. Grosso dolore alle parti basse. Pazienza.

Forse ora arrivi a omaggiare il ritiro di Jagr.

Ma scherziamo? Ma quale ritiro? Si sta solo certificando che la maglia numero 68 a Pittsburgh avrà solo un proprietario, Jaromir Jagr.

Il mio primo amore.

Ti decidi a scriverne?

Scrivere in poche righe chi è Highlander Jaromir Jagr sarebbe riduttivo e complicato.

Tanto vi ho già annoiato in partenza.

Colui che vidi incantare, nella mia prima partita di hockey in tv, fu quel 68 dai capelli lunghi, che dominava, che segnava nella partita tra Penguins-Blues finita 4-2 se non erro, incantava al punto che io del numero 66 ricordo solo il boato per le giocate senza sapere il perché (avrebbe ufficializzato il ritiro da lì a poco).

Jagr e Lemieux sono come quando vai ad un matrimonio, la sposa è bella ma ti innamori della sorella (concedetemi la rima perché a me è successo quello). Jagr fa i gol ma è Lemieux ad incantare.

52 anni e Jaromir non si presenta come tutti gli ex sportivi al ritiro della maglia. Lo fa prendendo parte al riscaldamento, forse in cuor suo immaginando anche di giocare in linea con Crosby o Malkin, o ricevere un passaggio da Letang che lo venera come un eroe (da giovane indossava il 68 il buon Kris, passando poi per un 58 che resterà icona per il futuro).

Jagr che scherza nel discorso dei saluti con la fidanzata, classe 1995, spiegando che lei neanche sa che ha giocato per i Penguins ma che conosce tutte le “storielle”. Quelle di un ragazzo che ha vissuto per l’hockey e che a 12 anni sfida l’under 18 in Cecoslovacchia firmando 41 punti in 34 partite.

Quel ragazzino che ha un mito da ammirare nelle prime partite viste in tv, tanto da esprimere un desiderio semplicissimo: “Mi piacerebbe giocare con lui”. Jagr stava scegliendo il proprio idolo: Mario Lemieux.

E nel 1990 ecco una bugia “bianca”, il draft fa sapere a Jagr che quanto meno sarà scelto tra i primi 10.

Così le franchigie iniziano a sondare il terreno.

La risposta però è uguale per tutte, anzi per le prime 4, Quebec, Vancouver, Detroit, Philadelphia, che ricevono un rifiuto a spostarsi, almeno per quell’anno, dalla patria natia. Quindi Owen Nolan si accasa ai Nordiques, Nedved (futuro Pinguino) ai Canucks, Primeau ai Red Wings e Ricci ai Flyers.

A casa Jagr però è la quinta franchigia che ha la scelta a chiamare. “Ditemi solo che volo devo prendere e arrivo”. La chiamata è ovviamente dalla Pennsylvania, non dai Flyers ma da Pittsburgh. Jagr stava per realizzare il suo sogno. La sua bugia “bianca” valeva il sogno. Giocare col suo idolo.

Il resto è storia, la linea formata da Jagr, Lemieux e Francis ha alimentato i sogni dei tifosi Penguins che son passati dall’esser la barzelletta della Nhl a vincere le coppe. Il potere dell’hockey è anche questo.

E se per i Penguins molte volte la sfiga ci ha visto benissimo (vedi la storia di Lemieux), Jagr ha saputo caricarsi sulle spalle il peso dell’eredità dell’idolo, con cui va a vincere la Stanley Cup 1991 e 1992, sfiorando la terza nel 1993 quando solo i maltrattamenti degli avversari fermarono la potenza offensiva di chi aveva il miglior record in Nhl nella regular season.

A proposito di record. Oggi si parla tanto della rincorsa al trono dei gol da parte di Ovechkin verso Gretzky, quota 894.

Ebbene, Jaromir Jagr si insedia al quarto posto con 766 reti, ma per tre stagioni, dove ancora segna a raffica, sceglie il ghiaccio della Russia. Oggi si parlerebbe del trono del 68 come goleador principe, ma va bene così.

E mettiamo nel palmares anche l’oro Olimpico nel 1998, quando a Nagano eliminò gli Usa, con Hasek a fermare 5 rigori su 5.

Quegli stessi usa che lo accolsero quando non parlava inglese e la radio WDVE gli faceva raccontare le previsioni del tempo con quel buffo accento.

Ma attenzione, Jagr è anche tanto altro. Un’etica di lavoro impressionante, 1.000 squat al giorno da quando aveva 7 anni, al primo training camp dei Penguins si presenta con un giubbotto con i pesi dentro, perché pattinava così intorno alla mezzanotte. “O è un pazzo o è veramente forte” dissero di lui, con Lemieux che lo ospita a casa sua e lo prende sotto la sua ala protettiva (farà lo stesso con Crosby).

Jagr vincerà 5 titoli di cannoniere. L’Art Ross Trophy (trofeo per il giocatore con più punti) dal 1980 al 2001 avrà solo tre vincitori: Gretzky, Lemieux e Jagr.

Lo Jagr personaggio va anche oltre l’hockey.

Avrebbe voluto pilotare l’aereo dopo la Stanley Cup del 1992.

Avrebbe adocchiato il ritorno ai Penguins nel 2011, ma facendo due calcoli pensò che non avrebbe trovato spazio tre le linee. Così firmò con i Flyers. Capita anche a lui di sbagliare. Ma occhio a non provocarlo.

Chiedere ad una povera modella che ha provato a ricattare il buon Jaromir. Come? Scattando una foto mentre il giocatore dormiva e lei di fianco dopo una chiara notte d’amore.

Dammi 2.000 dollari o pubblico il selfie”, disse la modella 18enne, seguendo una consuetudine che nello sport ha rovinato molti atleti.

Ma non Jagr. “Pubblicala! Anzi, sai che faccio, la metto io, perché tra noi due quella fidanzata sei tu, io son felicemente single!” la risposta di Jaromir che ridicolizzò la povera fanciulla.

Quanto sarà bello veder quel 68 nel soffitto.

Ricordo quando ho visto le prime partite di hockey, ormai il colpo di fulmine per i Penguins era nato, come per ogni primo amore di ogni sport, da Senna a Matthaus, da Rominger a Slight, passando per Orlando Woolridge e Pete Sampras, tuta gente che riuscivo a vedere e leggere sui giornali. Tranne i Penguins e per loro la sveglia suonava due ore prima di andare a scuola per vedermi (e non capir nulla) ESPN Sportscenter. Tanto di far schifo alle scuole medie poco m’importava.

E poi Play.it USA

La promessa ad un grande giornalista che mi ha insegnato le basi di un mondo che amo da morire e che mi strappò la promessa: “Il mio primo, vero, articolo sarà su i Penguins”. No, non è vero, il primo articolo era per Lemieux ma questo è il pezzo su Jaromir. Il buon Mario mettiamolo, se ci si riesce, in secondo piano.

E così la vita scorre, Play.it USA (colpa di Max Giordan), non avendo un pezzo su Lemieux mi sfida a scriverlo, poi mi prende tra le sue braccia e mi affida la mia dolcissima Central Division (parlo del primo Toews, di Lidstrom e Datsyuk, Arnott, Tkachuk e Rick Nash, i nuovi ”primi amori” della nuova missione). Uno spettacolo unico. Ogni qualvolta che son caduto l’hockey si è presentato ai miei occhi. Dico davvero.

La finale di quell’anno tra i “miei” (giornalisticamente parlando) Red Wings e i “miei” Penguins. La coppa vinta da Pittsburgh, i salti di gioia con urlo per la parata di Fleury (diamine, 1.000 partite) intorno alle 6 del mattino, con mia madre pronta a chiamare il manicomio. 

Se guardo ad oggi, al 68 sul soffitto, la lacrima scende tranquilla. Jagr ha fatto la storia, io devo ancora farne di strada su Play.it Usa sognando sempre che arrivi una Stanley Cup. Ma non ai Penguins, la voglio proprio io in carne e ossa (anche se non si dovrebbe dire riguardo ad un trofeo). E’ prenotata. Ma non ditelo a mia moglie. Santa donna!

Ora vi lascio con una parte del discorso di Jaromir Jagr, scusate se mi son preso la licenza di raccontarvi la mia storia e quella del mio primo idolo, vi lascio col messaggio di credere sempre nei vostri sogni e qualora nasca una difficoltà immaginatevi una star della Nhl, vi hanno appena chiamato per entrare sul ghiaccio, tutto è possibile!

Grazie mio Jaromir Jagr, grazie Play.it USA! 

Un fine settimana bellissimo, mi son anche allenato con i ragazzi e mi son trovato bene. Ricordo che il mio primo allenatore, Bob Johnson, diceva che oggi è un grande giorno per l’hockey. Userò quella frase cambiandola. Oggi è un grande giorno per me! Per sentire gli applausi non ho bisogno neanche di segnare. Questo è bello. Grazie ai ragazzi, ho imparato tanto da voi, forse neanche rendendovene conto. Ho imparato dalle sconfitte e a rimanere umile nelle vittorie. Ed è per questo che abbiamo vinto

Esisterà sempre e solo un numero 68!

 

 

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