La storia dello sport è sempre fatta di duelli. Da Federer e Nadal fino a Rossi e Marquez, passando per Brady e Manning o Lebron e MJ. Forse eredità di un mondo antico – arcaico – in cui la narrazione della verità e la leggenda si intrecciavano fino a diventare indissolubilmente uno. E in cui l’eroe per essere tale aveva bisogno di un anti-eroe, di un villain. Nel 2021 e 2022 negli Stati Uniti quel villain – non a caso soprannominato Joker – è diventato eroe. Un alieno catapultato sulla terra, che vedeva cose che agli umani non era dato nemmeno concepire.

Poi è arrivato un nuovo eroe, quello che tutti aspettavano. Joel Embiid, l’esatto opposto di Nikola Jokic. Spigliato e amante delle telecamere il primo, furtivo e silenzioso il secondo. A match made in heaven, direbbero lì negli States. E quel match lo si può tranquillamente intendere – in questo caso – non come accoppiamento ma come sfida.

Una sfida che a onor del vero l’anno scorso Embiid avrebbe anche vinto, guadagnandosi il trofeo di Most Valuable Player. Peccato che Joker, da vero villain alla fine del primo film di una saga, abbia piazzato il colpo vincendo il Larry O’Brien Trophy e il premio di Finals MVP. Una battaglia tra due colossi del basket che anche quest’anno si ripropone ai più massimi livelli. Perché se è vera tutta quella storia dell’eroe e anti-eroe, della leggenda e della realtà. È altrettanto vero che meglio di questi due nella lega non c’è nessuno. Già a metà gennaio, quando ormai abbiamo scavallato la metà della stagione regolare, il MVP 2023-2024 sia già un affare a due. E i due lo sanno perfettamente.

Joel Embiid

Il primo elogiatore del camerunense – anzi, pardon, dello statunitense – è proprio Jokic stesso. Greatness recognizes greatness, in poche parole. Dopo l’ultimo scontro diretto tra i due, vinto in volata da Philly grazie a uno storico sforzo da 41 punti, 7 rimbalzi e 10 assist di Embiid, queste sono state le parole della stella di Denver:

“È un giocatore davvero forte. Sta giocando in modo storico in questo momento. Sta tenendo una media di oltre 30 punti ogni sera. Ed è estremamente difficile farlo, specialmente ogni sera”.

Sono 18 partite consecutive, per intenderci dal 17 novembre, che Embiid mette a referto ogni singola sera che scende sul parquet almeno 30 punti. È la sesta più lunga striscia di partite del genere nella storia NBA, al pari dell’Hall of Famer Elgin Baylor.

I numeri di Embiid sono impressionanti. Miglior giocatore di una franchigia da 26-13 come record, che diventano 23-6 se si calcolano le partite da lui giocate. Guida l’intera lega per il terzo anno consecutivo in punti a partita, con 35.1 (per lui un career high). È sesto per rimbalzi a partita (11.6), 23esimo per assist (6.1, che però per lui è un career high) e decimo per stoppate a partita (1.9). Tira con il 54% dal campo, il 36.4% dalla lunga distanza e ha un true shooting percentage del 65.1%.

È leader nella NBA in: player efficiency rating (34.7, proprio davanti a Jokic), win shares per 48 minutesestimated plus-minus. Ha un on-floor split di +11.3 punti (quanto segnano in più i Sixers rispetto agli avversari quando lui è in campo), e un on-court/off-court split di +8.4.

In attacco è una sentenza. Il 38.3% dei possessi di Philadelphia passano per le sue mani (il cosiddetto usage percentage). Grazie alla cura Nick Nurse e alla presenza di Tyrese Maxey al suo fianco, l’assist percentage di Embiid è schizzato in un solo anno dal 22.9% degli assist di squadra al 32.4%. E ha anche mantenuto un’efficienza realizzativa fuori del normale: 54% sui long jumpers, 75% al ferro e 88% dalla lunetta. Ah… in dicembre ha giocato 9 partite tenendo una media di 40.2 punti a notte, tirando con il 60% dal campo e il 42.3% da tre. Il tutto accompagnato da 12.6 rimbalzi, 5 assist, 1.4 rubate e 2.1 stoppate. Un plus-minus di +16.2 in 33 minuti. Una cosa davvero ai limiti dell’irreale.

Il problema rimangono le partite giocate. Ne ha già saltate dieci per infortunio. E dovesse rimanere ai box – qualunque sia il motivo – per altre 7 on sarebbe più eleggibile né per il premio MVP né per il FirstSecond Team All-NBA. Una regola comprensibile per chi, come la lega, sta cercando di combattere il load management. Ma indubbiamente crudele.

Nikola Jokic

Nell’ultimo scontro diretto, quello perso dai suoi Nuggets, ha piazzato 24 punti, 19 rimbalzi (11 offensivi) e 3 assist. Numeri resi ancor più imbarazzanti dal fatto che una performance del genere per Joker sia just another day in the office. Serve infatti che lo stesso Embiid incensi il serbo nelle interviste post-partita.

“Entrambi la pensiamo allo stesso modo. ‘Voglio solo giocare a pallacanestro e vincere alcune partite’. Lui merita [la nomea di miglior giocatore della lega] finché non lo scalzi. È il MVP delle Finals finché qualcun altro non glielo toglie”.

Quali sono le argomentazioni a favore di Joker? Leader della squadra che al momento ha il sesto miglior record NBA, sta avendo – che novità – una stagione statistica per certi aspetti storica.

Sta viaggiando a una media di 25.5 punti a partita (15esimo nella lega), 11.9 rimbalzi (quarto) e 9.1 assist (ancora quarto). Tira con il 58.3% dal campo e con il 35% da tre punti, con un true shooting del 65.3% (13esimo nella lega). Guida la NBA in molte metriche avanzate: value over replacement playerbox plus/minus (sia offensivo che difensivo), win shares (sia offensive che difensive).

Con lui in campo, Denver ha segnato di media 11.3 punti in più rispetto agli avversari. Senza di lui sul parquet, i Nuggets segnano 10.6 punti in meno rispetto agli avversari. Una differenza di 21.9 punti totali tra quando Joker è in campo e quando non c’è (il cosiddetto on-court/off-court split).

Impressionante registrare il fatto che Denver abbia perso 9 partite consecutive quando Jokic è stato limitato a meno di 5 assist. Numero che è indice di quanto il serbo abbia cambiato il paradigma del big man. Non iper-atletico e ultra-fisico alla Shaq, non semplice dominatore del pitturato. Addirittura più del 43% di tutti gli assist dei Nuggets provengono dalle mani del numero 15.

Ma non è certo finita qui. Nikola Jokic è secondo dietro a Embiid in player efficiency rating (31.4, contando che la media NBA è 15). Decimo in offensive rating (132.5 punti ogni 100 possessi), e 14esimo in defensive rating (109.9 punti concessi ogni 100 possessi) – che non dovrebbe essere il suo forte. Il tutto senza essere nella top 20 in usage percentage, cioè percentuale di giocate della sua squadra che passano anche attraverso le sue mani.

La lotta è tra questi due. Non ce n’è. La stagione è ancora lunga, ma i vari Giannis Antetokounmpo o Luka Doncic sono troppo lontani per poter tentare la rimonta. L’unico che davvero può piazzare il colpaccio, anche se la minore nomea non aiuta, è Shai Gilgeous-Alexander. Protagonista assoluto con OKC di un inizio stagione straordinario. Ma è ai livelli di Embiid e Jokic? Non credo.

2 thoughts on “MVP Watch: è ancora sfida a due Embiid-Jokic

  1. Embiid, oltre a dimostrare tutta la sua pocheZZa umana avendo scelto il pappaporCo sportivo americano – passi per il Camerun, ma la Francia mica è una squadretta – gioca 3/4 delle partite (se va bene) e si scioglie ai playoff (proprio quando si comincia a giocare a basket, ché da 20 anni la regular è solo riscaldamento). Classico accumulatore di statistiche inutili.
    Jokic viceversa gioca e fa giocare. Se volesse compilare stats ne metterebbe 40 tutte le sere.
    Rivalità artificiale utile solo a tenere il pubblico sveglio durante 82 episodi di puro circo.

Commenta

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.