Forse qualcuno potrebbe storcere il naso di fronte a questa scelta.

Forse qualcuno potrebbe chiedersi come mai un giocatore che ha disputato appena 10 stagioni in NBA (di cui nessuna completa), la cui carriera è stata letteralmente falcidiata dagli infortuni, un giocatore che negli anni in cui la maggior parte dei suo colleghi raggiunge la completa maturazione cestistica, è invece rimasto letteralmente al palo passando le sue giornate fra i letti di ospedali e i centri di riabilitazione fisica, rientra addirittura in una top 30 di sempre della pallacanestro a stelle e strisce.

La risposta è semplice.
Questo qualcuno è William Theodore Walton III. Per tutti Bill.

Studiare la carriera di Walton, trovargli una posizione adeguata, confrontarlo con altri giocatori (anche dello stesso ruolo) tecnicamente molto inferiori ma fisicamente integri, è stata forse una delle imprese più difficili che questa rubrica mi ha richiesto.

Da un lato, Walton è stato un giocatore eccezionale. Tecnicamente parlando, forse il miglior centro di sempre.
Dall’altro ha giocato appena 468 partite in NBA, meno della metà di Russell, quasi un terzo di quelle di Chamberlain, addirittura oltre mille in meno di Jabbar. Una media di 36 partite a stagione, durante i suoi 13 anni da giocatore professionista.

E’ rimasto tre anni fermo proprio nel momento in cui in teoria avrebbe potuto dare il meglio di sé. E quando, all’età di 30 anni, è tornato a calcare i campi di gioco, non è stato ovviamente più lo stesso.
Ma andiamo con ordine.

Walton_Bill_HelixLa carriera di Bill Walton comincia con un aneddoto curioso.
E’ il suo ultimo anno di High School a Helix in La Mesa, San Diego. California.

Il santone di UCLA, il mitico John Wooden, colui che sta dominando il college basket grazie al suo gioco ed al suo centro, il magnifico Kareem Abdul Jabbar al momento miglior giocatore di college della storia ma pronto al grande salto fra i Pro, spedisce il suo assistente Denny Crum a visionare Walton.

E’ solo una questione di scrupolo professionale. Wooden non crede in quel ragazzo dai capelli lunghi e rossi, spilungone e lentigginoso. Fisicamente, l’antitesi del giocatore di basket.

Le parole di Crum al suo ritorno da San Diego sono però lapidarie: “The best high schooler I’ve ever seen!”
Wooden non crede alle sue orecchie. Fa sedere Denny nel suo ufficio, chiude bene la porta, guarda negli occhi il suo scout: “Denny, non far mai più un commento così stupido. Ti fa sembrare un idiota ed un incompetente. Addirittura dire che qualcuno coi capelli rossi e con quella faccia lentigginosa da ragazzino, che per giunta viene da San Diego, è il miglior high schooler che tu abbia mai visto. Innanzitutto non c’è mai – e dico mai – stato un giocatore decente proveniente da San Diego”.

Il resto è storia.
Walton finì ad UCLA con l’ingrato compito di sostituire Kareem Abdul Jabbar.

I numeri della sua esperienza triennale in maglia Bruins (all’epoca i freshman non potevano giocare in prima squadra) parlano da soli.

bwuDue titoli NCAA, tre volte player of the year, All American, All Conference, 73 partite vinte consecutivamente che, considerando anche il suo anno da freshman portavano a 88 le vittorie consecutive di UCLA e miglioravano il record precedente, stabilito dall’University of San Francisco di Bill Russell con 66 vittorie.

L’esordio in maglia Bruins per Walton arrivò il 3 Dicembre del 1971 con un’eclatante vittoria per 106 a 49 contro i Citadel Bulldogs. UCLA non perse nessuna partita durante i primi due anni di Walton in maglia Bruins. Entrambe le stagioni furono chiuse trionfalmente col record di 30-0. Alla sua prima finale NCAA, contro Florida State, Bill segnò 20 punti e catturò 24 rimbalzi.

L’anno dopo, sempre in finale, contro Memphis State disputò quella che secondo molti rimane la miglior prestazione di sempre di un singolo giocatore in una partita di Final Four. Trascinò i suoi alla vittoria realizzando 44 punti e tirando 21 su 22 dal campo.

Punti, rimbalzi, stoppate, tutto molto bello. Ma ciò che più di ogni altra cosa era emerso lampante e, per certi versi sorprendente, erano le sue incredibili doti di passatore.

In quegli anni si diceva che Bill ad UCLA non giocava a basket. Lui era il basket. L’anima del gioco. Walton è tuttora ricordato come uno dei tre miglior giocatori di college di ogni epoca assieme al suo predecessore Jabbar e all’indimenticato e indimenticabile Pete Maravich.

Nel suo terzo e ultimo anno a UCLA arrivò la prima sconfitta per Bill. Era il 19 gennaio del 1974. I Bruins persero di uno contro Notre Dame.
Considerando anche l’high schoool, Walton veniva da 129 partite consecutive senza mai una sconfitta.

Ma gli anni al college per il particolarissimo “rosso” non furono solo anni di vittorie. Furono anni di contestazioni, cortei, manifestazioni, proteste, rivolte. Walton era un figlio dei fiori. Incarnava dentro di sé tutta la filosofia hippie. Predicava l’amore libero, fumava marjuana, ascoltava i Greatfull Dead, era un vegetariano convinto.
Criticò ripetutamente e pubblicamente Nixon.

Fu persino arrestato per una manifestazione contro la guerra in Vietnam. Al momento dell’arresto Walton lesse una dichiarazione scritta da lui stesso: “Your generation has screwed up the world. My generation is trying to straighten it out. Money doesn’t mean anything to me. It can’t buy happiness, and I just want to be happy.”

Fu uno sconsolato Wooden ad andare a prenderlo quando uscì di prigione, per riportarlo ad UCLA.
La carriera NCAA di Walton, per assurdo, si chiuse però con una sconfitta.

Nelle final four del 1974, dopo un doppio overtime e una delle più bella partite che la storia ricordi, North Carolina guidata da David Thompson vinse per 80 a 77 su UCLA.

Walton mancò di un soffio il terzo titolo consecutivo e i Bruins l’ottavo di seguito.
Al draft del 1974 Bill fu scelto dai Trail Blazers, ovviamente con la prima chiamata assoluta.
Nelle prime 7 gare in NBA Bill realizzò 16 punti a partita, catturò 19 rimbalzi, smazzò 4,4 assist e rifilò 4 stoppate a partita.

Che fosse forte lo si sapeva già. Che fosse così dominante anche a livello NBA in ogni aspetto del gioco in un’epoca in cui nel ruolo di centro evolvevano Jabbar e Reed, Cowens e Unseld, fu per molti versi l’assoluta consacrazione.

“Io ero nei Celtics quando Russell arrivò nella NBA. Mi sembra di stare rivivendo quei giorni grazie a Walton. E’ lo stesso tipo di giocatore. Estremamente intelligente, ma soprattutto ha un tremendo istinto cestistico!” dichiarò Bill Sharmann dopo quelle 7 gare.

Sembrava una stagione avviata verso il trionfo personale del numero 32 in maglia Blazers. La consacrazione assoluta.
Sembrava potesse avviarsi a diventare il numero uno assoluto nel ruolo di centro.
Sembrava. Poi arrivarono i primi infortuni.

Walton saltò numerose gare e quando tornò a giocare era chiaro non fosse al meglio.
Disputò appena 35 gare quel primo anno fra i professionisti e Portland vinse appena 11 partite in più rispetto all’anno precedente.

Alla prima partita che Walton giocò contro Jabbar, il confronto fu impietoso. Il centro dei Bucks annichilì il rookie realizzando 50 punti, 15 rimbalzi, 11 assist, 3 stoppate e 1 recupero. Era la sesta volta nella storia della NBA che un giocatore chiudeva con una tripla doppia e 50 punti realizzati. Sarebbe stata anche l’ultima.

La sensazione comune era però che sia Portland sia Walton non avessero minimamente espresso tutto il loro potenziale durante quella stagione.

L’anno successivo Bill giocò qualche partita in più ma si fermò a quota 51.
Realizzò oltre 16 punti a partita e catturò oltre 13 rimbalzi. Incantò la lega con la sua tecnica, la sua intelligenza cestistica e le sue straordinari doti di passatore.

Tutte queste cose però non cancellavano i problemi del giocatore e della squadra che si era nuovamente adagiata sul fondo della Pacific Division.

Dopo due stagioni in maglia Trail Blazers, Walton aveva saltato 78 partite, si era rotto una caviglia, si era rotto due volte il polso sinistro, si era slogato due dita della mano e due dita dei piedi.
Per finire si era rotto una gamba in un incidente con la sua jeep.
Immenso e fragile.

Poi finalmente arrivò la stagione 1976-77. La terza di Bill nella NBA.
Arrivò la Blazermania. Arrivò l’anello. E Walton fu niente di meno che devastante.
Segnò 18.6 punti, catturò 14.4 rimbalzi e rifilò 3.25 stoppate a partita. In queste ultime due categorie fu leader della lega.

I Trail-Blazers vinsero 49 partite e si piazzarono alle spalle dei Lakers al comando della Western Conference.
Quarantaquattro di queste vittorie arrivarono con Bill in campo. Delle 17 che il centro saltò, Portland ne perse ben 12.

Jabbar, trasferitosi frattanto ai Lakers, vinse quell’anno il suo quinto MVP in carriera, Walton così finì nel secondo quintetto della lega, ma nel primo quintetto difensivo. La rivincita se la prese nella finale della Western Conference.

93bef2c0-3381-11e4-94a9-41fc057f0153_BWKAJ9314Quando Lakers e Trail-Blazers si sfidarono in finale di Conference, in un fascinoso scontro che metteva l’un di fronte all’altro armati, Bill Walton e Kareem Abdul Jabbar, i due centri che avevano portato UCLA sul tetto del mondo, tutta l’America sportiva sembrò precipitare ai magici, indimenticabili momenti degli scontri fra Russell e Chamberlain.

In realtà la serie non ebbe storia. Jabbar resse l’urto contro Walton, ma i Lakers non furono capaci di fare altrettanto coi Trail Blazers e Los Angeles schiantò al suolo.

Portland si impose per 4-0 e aspettò l’arrivo in finale dei talentuosissimi Sixers guidati dall’incredibile Julius Erving, al secolo Doctor J, al suo primo anno NBA dopo la fantastica esperienza in ABA.

Lo scontro in finale fra i Sixers ed i Trail-Blazers, sebbene apparentemente dall’esito scontato, suscitava non poche curiosità fra gli addetti ai lavori.

Da un lato, il talento puro, la forza dei singoli individui, su cui troneggiava irraggiungibile la classe cristallina e l’atletismo di Julius Erving. Dall’altro la forza di un collettivo, guidato dalle magiche mani di Walton.

Gli esperti pronosticarono uno sweep per i Sixers che vinsero le prime due partite casalinghe portandosi sul 2-0.
Da gara 3 però Walton prese in mano le redini del gioco e portò Portland a vincere le ultime 4 partite della serie e quindi il titolo.

Nella decisiva gara 6, il centro dai capelli rossi mise assieme 20 punti, 23 rimbalzi, 8 stoppate e 7 assist. Un dominio imbarazzante. Per lui l’inevitabile titolo di MVP delle finali.

Walton giocò ancora meglio nella stagione 1977-78.
Dopo 60 gare i Blazers avevano un record di 50 vittorie e 10 sconfitte. I Blazers guidati dalla straordinaria regia del loro centro si apprestavano a rivincere il titolo, ma la loro stagione finì a metà febbraio dopo una sonante vittoria sempre contro i Sixers.

Durante quella partita Walton si ruppe il piede sinistro. La sua Regular Season terminò lì, dopo 58 gare giocate.
Finì in quel momento anche la stagione di Portland che nelle rimanenti 22 partite senza il suo faro ne vinse appena 8 e ne perse 14.

Nonostante l’infortunio, Walton fu MVP di RS per la prima ed unica volta in carriera.
Bill riuscì a recuperare in tempo per affrontare i Seattle SuperSonics al secondo turno di PO. Aveva un titolo da difendere.

Ma in gara 2 ebbe di nuovo problemi al piede e le lastre evidenziarono la rottura del navicolare del piede sinistro (lo stesso ossicino che si ruppe Jordan nel 1985 e che lo costrinse a saltare gran parte della stagione).
I Trail-Blazers persero la serie in 6 gare ed il loro centro per sempre.

Walton passò tutta la stagione successiva in Injured List. Non giocò neanche una singola gara. Rovinò i rapporti con la sua squadra accusandola di non fornirgli le cure mediche necessarie e diede vita a una lunga controversia giudiziaria contro la dirigenza. Infine decise di forzare uno scambio.

Al termine della stagione i Trail Blazers, convinti che la sua carriera fosse già terminata all’età di 27 anni, lo cedettero ai San Diego Clippers in cambio di Kermit Washington, Kevin Kunnert, una prima scelta al draft e 350.000 dollari.

Saputo della trade, il playmaker di quei Clippers, Lloyd B. Free, dichiarò senza mezzi termini alla stampa: “È uno scambio che distrugge la squadra. Sono frastornato, è come se fosse morto qualcuno in famiglia”.

I fatti parvero dare ragione al play. La prima stagione a San Diego fu un’altra stagione sfortunata. Dopo un intero anno fermo, Walton giocò appena 14 partite di Regular Season quindi si ruppe nuovamente il navicolare.

Il parere dei medici fu che non avrebbe mai più potuto giocare in vita sua.
La sua carriera sembrava stavolta essere davvero finita.

Bill rimase fermo altri due anni. Ma non si arrese. Vedeva gli anni migliori della sua carriera di giocatore scorrergli via, ma continuò a lottare. Si sottopose ad una miriade di operazioni, mesi e mesi di riabilitazione. Tutto ciò per poter tornare nuovamente a calcare i campi di gioco. Anche con un ruolo marginale.
I suoi sforzi furono premiati.

Dopo due stagioni fermo e dopo aver giocato appena 14 partite negli ultimi 4 anni, Walton all’età di 30 anni tornò a vestire la maglia dei Clippers. Correva l’anno 1982-83.

Secondo l’imposizione dei medici, poteva giocare al massimo una partita a settimana.
Alla fine disputò 33 gare durante le quali realizzò 14,1 punti a partita e tirò col 53% dal campo.

I Clippers nelle partite in cui lui era sul parquet sembravano davvero un’altra squadra. Le sventure, gli infortuni ne avevano debilitato il fisico, ma non la tecnica sopraffina, le mani fatate, l’intelligenza, la capacità di incarnare il basket in ogni suo aspetto.

Walton disputò le successive due stagioni in maglia Clippers, prendendo man mano sempre più confidenza col parquet e aumentando i ritmi e i tempi di gioco.

Cinquantacinque partite disputate l’anno successivo. Sessantasette nella Regular Season 1984-85 (primo anno dei Clippers a Los Angeles).

Bill Walton al termine di quella stagione aveva 33 anni. Era tornato a giocare quando tutti lo davano per finito. Ora voleva ritornare a vincere.

Per farlo c’erano due squadre verso le quali poteva dirigersi. Lakers e Celtics.
Finì a Boston. Tornò subito a conquistare un anello.

Al suo primo anno in maglia verde, stagione 1985-86, la migliore stagione di Boston dell’epoca Bird, Walton giocò addirittura 80 partite. Circa 20 minuti per gare.

Al suo esordio al Garden ricevette un’ovazione di diversi minuti dal pubblico di casa. Lo sfortunato Bill tornò ad essere finalmente una persona felice.

Il suo apporto alla causa Celtics fu notevole per quella che rimane un’annata straordinaria anche per una franchigia che di stagioni eccezionali ne ha vissute tante.

I Celtics vinsero 67 partite e volarono al terzo titolo dell’epoca Bird. L’ultimo.
La front line Bird-MacHale-Parish con Walton sesto uomo di lusso viene considerata la più forte front line di sempre. Anche durante quella stagione Bill ebbe un infortunio. Tanto per cambiare.

Si ruppe il naso in uno scontro di gioco e saltò due gare, ma tornò a giocare con l’entusiasmo di un ragazzino.
Il momento più alto si ebbe il 28 Marzo, nella partita contro i Washington Bullets quando in soli 26 minuti di impiego, realizzò 20 punti, catturò 12 rimbalzi, smazzò 4 assist e tirò con l’80% dal campo.

Qualche giorno dopo, l’8 aprile, contro i Bucks, chiuse con 22 punti, 12 rimbalzi, 5 assist in 28 minuti di gioco.
A fine anno vinse il titolo di sesto uomo dell’anno.

E McHale dichiarò: “You watch an old, old guy like that, with the most hammered body in sports, acting like a high school kid. It’s both funny and inspiring at the same time. Every game was a challenge, and he didn’t let any of us forget that.”

L’anno dopo Walton giocò solo 10 gare. L’ennesimo infortunio lo obbligò al ritiro definitivo.
Dopo appena 465 partite giocate in 13 anni da professionista, Bill Walton era costretto a dire basta.
È stata una carriera strana quella di Bill il Rosso.

Distrutta dagli infortuni, spezzata, frammentata. Eppure a nessuno è mai venuto in mente di non considerarlo uno dei migliori centri di sempre. Più forte della sfortuna potremmo dire. O della sua fragilità.
Ovviamente rimane una valutazione difficile quella su di lui.

Un giocatore che da sano, sarebbe stato fra i primi 10 players di sempre. Fra i primi tre o quattro centri della storia, forse anche oltre, chissà . Ma che da rotto risulta comunque difficile escludere da una top 30, almeno per me.

Ha giocato poco. Ma quando l’ha fatto lo ha fatto meravigliosamente. Qualunque fosse il suo ruolo. Sia quello di trascinatore e leader in una squadra dal talento non spiccato, ma dal grande collettivo. Sia quello di faro in una franchigia da lotteria quali i Clippers. Sia da sesto uomo di lusso in un roster meraviglioso quale quello dei Celtics dell’86.

Alla fine di tutto rimane la sensazione ed il rimpianto di quello che non è stato ma che avrebbe potuto essere.
Sensazione rimarcata dalle parole di uno che Walton lo conosceva bene:
“Bill Russell è stato un immenso difensore. Wilt Chamberlain un realizzatore ineguagliabile. Bill Walton entrambe le cose.” Parole di Jack Ramsay, coach del giocatore ai tempi del titolo a Portland.

Parole che quindi potrebbero sembrare parziali, ma nella NBA ci sono fior di giornalisti ed esperti disposti a giurare che l’unico anno e mezzo in cui Walton ha potuto calcare i parquet completamente libero da infortuni, abbia giocato con un livello di completezza che forse nessun altro centro abbia mai avvicinato.
E scusate se è poco.

NDR: articolo originariamente pubblicato su playitusa.com l’ 8/5/2006

2 thoughts on “29° – Bill Walton

  1. Io , cosi, giusto per giocare, sperando di dare all’autore qualche spunto, dico la mia sui “migliori 30″…

    1- M. Jordan
    2- M Johnson
    3- B. Russell
    4- W. Chamberlain
    5- K. Jabbar
    6- L. James
    7- L. Bird
    8- K. Bryant
    9- T. Duncan
    10- S. O’neal
    11- O. Robertson
    12- H. Olajuwon
    13- M. Malone
    14- J. West
    15- K. Malone
    16- J. Erving
    17- E. Baylor
    18- I. Thomas
    19- C. Barkley
    20- J. Stockton
    21- K. Garnett
    22- R. Barry
    23- D. Nowitzki
    24- B. Cousy
    25- P. Maravich
    26- S. Pippen
    27- J. Havlicek
    28- B. Pettit
    29- B. Walton
    30- W. Reed

    • bella classifica. ma mancano mikan, hayes, wade, frazier, mchale, ewing, robinson, schayes, giusto per fare qualche nome.

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