Siamo quasi alla conclusione di un 2023 che ha portato diverse novità nella National Basketball Association, dai Denver Nuggets campioni per la prima volta nella loro militanza di 56 anni nella lega (i primi sette come Denver Rockets) al debutto dell’In-Season Tournament di Las Vegas vinto dai Lakers di LeBron-AD che al netto dei fisiologici margini di miglioramento ha soddisfatto lega e appassionati passando per l’inizio della rivoluzione targata Victor Wembanyama-Chet Holmgren.

I due esordienti (vero che Holmgren a rigor di statistica sarebbe un sophomore ma l’aver saltato tutta la stagione d’esordio lo rende candidabile al Rookie of the Year dalla stessa NBA) hanno pressochè monopolizzato il discorso relativo ai rookies per il quale dopo due mesi e mezzo di regular season si possono iniziare a tirare le primissime somme.

Tuttavia l’armata dei giovanotti alla prima stagione tra i professionisti americani si è rivelata ricca di ottimi prospetti, giocatori che appaiono già pronti al contesto e altri che invece faticano a mantenere le promesse.

Analizziamo quindi come stanno andando i rookies della classe 2023, futuro (e in alcuni casi già presente) della NBA.

Wemby e gli altri: le prime scelte dell'NBA Draft 2023

Wemby e gli altri: le prime scelte dell’NBA Draft 2023

I RIVOLUZIONARI: WEMBY-CHET

Nonostante si trattasse di una gara tra una Oklahoma City già lanciata verso le prime posizioni nella Western Conference e una San Antonio che invece concorreva con i Detroit Pistons nella poco auspicabile gara per la losing streak più lunga c’era grandissima attesa per la prima partita di regular season tra Thunder (padroni di casa) e Spurs, non tanto per il pregresso di cui sopra e neppure per il risultato in sè (che ha visto OKC travolgere la squadra texana vincendo di 36) quanto perchè rappresentava il primo scontro in una gara di campionato tra Victor Wembanyama e Chet Holmgren.

Il futuro della NBA in una foto

Il futuro della NBA in una foto

Ho parlato di rivoluzione non a caso: i due sono infatti l’emblema di quella che potrebbe essere a tutti gli effetti una nuova era nel gioco NBA. Così come Dirk Nowitzki ha sdoganato il lungo tiratore (pur non essendo il primo esemplare essendo stato preceduto da Larry Bird, uno su tutti) portando vari altri giocatori sopra i due metri a sparare stabilmente dall’arco e così come il run and gun di Steph Curry e dei Golden State Warriors ha prodotto un’evoluzione del gioco che porta le squadre a tirare da sempre più lontano e sempre più velocemente, sono convinto che il futuro ci mostrerà tanti altri giocatori alti e dal fisico longilineo, con verticalità, proprietà di palleggio e costruzione del tiro e intimidazione sotto canestro.

Victor Wembanyama in due mesi e mezzo ha già smentito, almeno individualmente, le voci dubbiose sul suo impatto nella lega: le sue cifre di fine dicembre parlano di doppia doppia fissa a 18.8 punti e 10.4 rimbalzi a gara a cui aggiunge 3.2 stoppate. Certo, ci sono anche statistiche meno esaltanti come le 3.3 palle perse e il 28.5% da tre su quasi 5 tentativi a partita, ma credo sia inutile dire quanto siano naturali per un quasi ventenne che peraltro nella sua squadra attuale è praticamente l’unico a giocare per vincere.

I San Antonio Spurs, malgrado l’innesto del fenomeno francese, hanno infatti vinto solo 5 delle 30 gare sin qui disputate perdipiù iniziando con 3 vittorie e 2 sconfitte. Chiaro che le lacune non solo strutturali del roster sono ancora troppe per tornare a competere ma questo non sta finora impedendo a Wemby di dominare già nel suo anno da esordiente.

Nettamente diversa la situazione dei Thunder di Chet Holmgren terzi a Ovest dietro ai Denver Nuggets campioni in carica e ai sorprendenti Minnesota Timberwolves. Gli ex Seattle Supersonics sembra abbiano trovato la quadratura del cerchio dopo tanti anni di stagioni perdenti guidati da uno strepitoso Shai Gilgeous-Alexander e dall’anno della maturità di Josh Giddey oltre che, ovviamente, dall’esordio di Holmgren.

Che dal canto suo contribuisce con 17.5 punti a gara, 7.8 rimbalzi e 2.7 stoppate mostrando di essere già un giocatore di punta in NBA oltre che recuperato fisicamente (nessuna gara saltata delle 29 giocate finora dai Thunder) Sebbene Holmgren divida il palcoscenico con una squadra nettamente più talentuosa di quella a disposizione di Wembanyama le cifre sono solo leggermente inferiori (a fronte peraltro di un migliore 37.2% da tre) a dimostrazione che le novità di cui parlavamo non riguardano solo squadre relegate nel fondo della classifica.

La vittoria del premio di Rookie of the Year sarà un testa a testa tra i due unicorni ma soprattutto, vada come vada, è solo il punto di partenza per due stelle assolute. Si spera ovviamente che anche Wembanyama possa beneficiare come Holmgren di una squadra all’altezza del suo talento quanto prima.

GLI UNDERDOGS: LIVELY-JAQUEZ JR.

Andando più giù nel Draft 2023 è il momento di parlare di un rookie per il quale non si sono spese a mio avviso abbastanza parole (comprensibile, vista l’attenzione sul duo di cui sopra) ma che a livello di impatto non si può discutere essendo già titolare in una squadra competitiva: Dereck Lively II, scelto alla 12 previo accordo tra i Thunder e la sua squadra attuale, i Dallas Mavericks.

Lively è un giocatore diametralmente opposto a Wemby e Chet pur essendo anche lui alto e verticale: centro assolutamente senza gioco esterno e senza tiro e infatti uscito da Duke non certo con la nomea di superstar. Eppure in lui Dallas ha finalmente trovato il centro che cercava quasi ossessivamente dai tempi di Tyson Chandler.

L’esordio lo ha visto subito in doppia doppia da 16 punti e 10 rimbalzi (5 offensivi) con 7/8 da due in casa degli Spurs esaltati dal debutto di Wembanyama e ci è voluto molto poco per scalzare la concorrenza del mediocre Dwight Powell e dell’incompiuto Richaun Holmes. Giocare con Luka Doncic e coi suoi assist immaginifici aiuta indubbiamente ma al di là delle statistiche (che parlano di 8.9 punti e 7.5 rimbalzi con un pazzesco 73.4% da due per quanto costituito in grandissima parte da schiacciate) Lively è tra i pochi, insieme a Dante Exum, a metterci davvero energia in una Dallas a cui anche quest’anno sembra mancare il proverbiale soldo per fare la lira e che infatti subisce ancora improbabili rimonte come da anni a questa parte.

Scendendo ulteriormente alla 18 troviamo il messicano Jaime Jaquez Jr. che come Bam Adebayo, Tyler Herro e molti altri ha beneficiato della cura Erik Spoelstra che si è dimostrato ancora una volta capace di trasformare una scelta bassa in un giocatore d’impatto vero.

L’inizio non è stato semplice (prima doppia cifra solo all’ottava gara contro i Memphis Grizzlies privi di Ja Morant) ma la fiducia costante di Spoelstra in panchina e dei veterani Jimmy Butler e Kevin Love in campo (che ne hanno elogiato la capacità negli intangibles, gli aspetti del gioco che non vanno nelle statistiche) lo hanno portato a una crescita esponenziale fino alla performance da sogno con 31 punti contro i lanciatissimi Philadelphia 76ers di questa prima metà di regular season (privi però di Joel Embiid così come gli Heat non potevano contare su Butler)

Facile pensare che la gara di Natale sia solo l’inizio per Jaquez che ad oggi vanta 13.8 punti a gara con un ottimo 51.4% dal campo (e 38% tondo da tre su pochi tentativi a gara, appena 3) e una grande versatilità tattica che può renderlo utile come alternativa a Herro o Butler o anche affiancandoli e dedicandosi agli intangibles apprezzati dai compagni.

Difficile che possa bastare per una deep run di Miami in una Eastern Conference parecchio competitiva ma intanto coach Spo sta plasmando un altro gran bel giocatore.

I PREDICATORI NEL DESERTO: THOMPSON, COULIBALY, MILLER

Accade molto spesso, ed è logico che sia così, che le prime stagioni di un rookie si svolgano in un contesto non solo perdente ma anche mentalmente lontano dal diventare vincente. In questo modo il giovane di turno si trova a dover reggere sulle spalle buona parte del peso del roster, per non dire tutto, con tanto da perdere e poco da guadagnare.

Prendiamo i Detroit Pistons ad esempio. Dal 2008 non vincono una gara di playoff, negli ultimi dieci anni li hanno disputati due volte, vedono la possibilità di prendere Wembanyama ma al Draft scivolano alla numero 5, sono anni che cercano di assemblare giovani di talento ma nonostante l’acquisto di Monty Williams in panchina sono la squadra che ha perso più gare in assoluto in una singola stagione e sono a un’altra sconfitta dal diventare la squadra con la losing streak più lunga nella storia dell’intero sport americano (il record appartiene attualmente ai Chicago Cardinals della NFL che hanno perso 29 gare di fila tra il 1942 e il 1945)

In questo contesto l’esordio di Ausar Thompson non poteva che essere un incubo per il gemello del Rocket Amen. Eppure il californiano classe 2003 ce la mette tutta, Williams rimarca come non faccia mai mancare un singolo joule di energia ogni minuto che gioca, ma i suoi 9.3 punti a gara conditi con un inguardabile 15.8% da tre non possono che essere lo specchio di un rookie che attualmente lotta contro i mulini a vento.

Non va molto meglio a Bilal Coulibaly scelto alla numero 7 dagli Indiana Pacers ma girato a Washington in quei Wizards che a differenza dei Pistons non hanno neanche provato a costruire in passato finendo per perdere Bradley Beal data la cronica assenza di prospettive e per investire del ruolo di leader Jordan Poole che sta facendo finora il bello (poco) e il cattivo (tanto) tempo sul parquet. Cosa mai potrà portare il 19enne francese a una squadra che ormai da anni vive alla giornata?

Il 51.9% dal campo è l’unica nota positiva per il povero Bilal che contribuisce con soli 8.9 punti a gara ai tristi destini degli stregoni della capitale, finora fermi a 5 vittorie tutte contro squadre al loro livello (Indiana Pacers a parte, che comunque avendo una difesa tra le peggiori in NBA possono mettere in conto anche queste sconfitte, Washington ha battuto solo Detroit, Portland, Charlotte e Memphis sempre senza Morant)

Peraltro i soli 6.4 tiri a gara che prende sono sintomatici di un’enorme quanto prevedibile difficoltà a giocare con Poole e Kyle Kuzma che si spartiscono allegramente le conclusioni dell’intera squadra. In sintesi un altro esempio, come Ausar Thompson, di un rookie che rischia di perdere un anno della propria crescita e che in uno scenario diverso (non necessariamente vincente, ma almeno che possa valorizzarlo) potrebbe fare sicuramente di più.

Diversa è almeno in apparenza la situazione di Brandon Miller, seconda scelta assoluta degli Charlotte Hornets designato per affiancare LaMelo Ball e che sta svolgendo bene il proprio compito: 14.7 punti a gara con percentuali assolutamente di tutto rispetto (38.5% da tre, 47.5% da due) pur tirando soprattutto da fuori e guadagnando appena 2 liberi a gara. L’ex Alabama sta quindi mostrando cosa è in grado di fare ma anche in questo caso gli Hornets non sembrano avere esattamente le idee chiare su cosa voglia dire costruire una squadra competitiva attorno a lui e LaMelo.

Charlotte ha perso tutte le gare di dicembre e ha vinto solo in 7 occasioni e anche in questo caso perlopiù contro squadre deboli (due vittorie su sette contro i Wizards, ca va sans dire) La presenza di Ball fa in modo che non sia in una situazione grottesca come i Pistons ma tra le condanne varie di Miles Bridges e la questione Gordon Hayward che sono anni che si vuole cedere senza successo gli Hornets sono ben lontani dal costituire una squadra in ascesa. Il medio-lungo termine (più lungo che medio…) ci dirà se il talento di Miller sarà supportato da un roster in grado di emergere.

LE DELUSIONI: HENDERSON-PODZIEMSKI

Come accennato non è mai facile accollarsi nell’anno da rookie le responsabilità di rilanciare una franchigia e lo è ancora meno se sei considerato un predestinato nonchè unico a contendere lontanamente a Wembanyama la prima scelta assoluta al Draft. Sta di fatto che Scoot Henderson, arrivato tra mille aspettative ai Portland Trail Blazers orfani di Damian Lillard, non ha certo dato una grande impronta a questo inizio di stagione tanto che dalla California hanno iniziato già a piovere le prime quanto frettolose e a tratti ingiuste etichette di bust.

L’ex stella degli Ignite, squadra di G-League, ha avuto un inizio da incubo con meno di 10 punti a gara nelle prime 5 partite a cui è seguito anche un infortunio alla caviglia. Il suo rientro ha visto un miglioramento ma anche un’incostanza piuttosto preoccupante: certo, i punti a gara sono 11.8, ma con un pessimo 26.8% da tre, una selezione di tiro tutta da rivedere e soprattutto prestazioni singole da dimenticare come lo 0/5 dal campo (e 4 punti) nella sconfitta contro Washington del 21 dicembre, il 4/17 con 0/6 da tre contro Dallas l’8 dicembre e l’1/8 con 0/5 da tre nella vittoria con i Cavaliers del 30 novembre.

Malgrado la costruzione post-Lillard (e Nurkic) fosse tutto sommato logica con Henderson affiancato ad Anfernee Simons e l’acquisto di DeAndre Ayton in cerca di rilancio i Blazers sono attualmente penultimi nella Western Conference con solo tre W in più di San Antonio e la zona play-in distante ben 7 vittorie. Ci si aspettava sicuramente di più da tutti e quindi anche da Scoot che sarà chiamato a un rendimento ben diverso nel 2024 a prescindere dal raggiungimento di qualcosa di concreto a livello di squadra.

Fuori dalla zona play-in sono attualmente anche i Golden State Warriors che stanno vedendo inesorabilmente sfumare il loro ciclo vincente e stanno iniziando forse a capire in questi giorni che è necessario iniziare a puntare sui giovani per mantenere la franchigia competitiva. Da questo punto di vista però il loro rookie di punta, il 20enne Brandin Podziemski, sta piuttosto faticando a convincere Kerr che può cominciare una nuova era per i dominatori della NBA recente.

Podziemski sta seguendo l’andamento altalenante della sua squadra che però ha visto più bassi che alti e così all’aumento del suo minutaggio (causato con ogni probabilità anche dallo stop a Draymond Green) sono corrisposti lampi di talento ma solo 8.9 punti a gara seppur con un ottimo 40.5% da tre (solo su 3 tentativi) Rispetto a Henderson le responsabilità della stagione sostanzialmente deludente dei Warriors non sono certo imputabili a lui (che pure si è preso le sue colpe nell’ultima sconfitta dei Warriors) ma è evidente come Podziemski debba crescere ancora per costituire una vera alternativa ai senatori di Golden State.

In entrambi i casi però la stagione è ancora lunga e c’è tutto il tempo per dimostrare il proprio valore: pronunciare la parola bust, come già accennato, è ancora assolutamente prematuro.

 

 

 

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