Dopo una stentata partenza i Clippers si ritrovano nel bel mezzo della zona playoff in quella feroce giungla chiamata Western Conference.

L’inizio più che dubbioso aveva infatti posto serie perplessità sul modo di assemblare un roster diciamo “particolare” da parte di Steve Ballmer e di Lawrence Frank per coach Tyronn Lue, ottimo assistant coach ieri ma poco più che onesto skipper nel presente.

Se andiamo a leggere i nomi dei quattro attori protagonisti di questa formazione, ci troviamo difatti al cospetto di altrettanti profili MVP del passato, fra cui due vincitori (Harden e Westbrook); stesso discorso vale per Powell e Tucker dalla panca, anch’essi gloriosi sesti uomini di un tempo che fu.

In sostanza, i Clippers sono forse arrivati alla stagione della consacrazione con almeno un paio di anni di ritardo, che potrebbero (dovrebbero?) essere la causa di un’altra primavera deludente.

Tali rinvii che non hanno mai permesso ai californiani di spopolare definitivamente dalla campagna 2019/20, annata in cui l’owner andò all in sul duo Leonard/George, sono stati causati principalmente da due fattori: la sfortuna che si è accanita sul gracile fisico della coppia d’assi (all’epoca 28 e 29 anni e in pieno prime) che a turno li ha allontanati l’uno dall’altro nei momenti più importanti delle stagioni, e la gestione del fisico da parte dell’ex Spurs, quel load management vera ossessione del silenzioso fuoriclasse.

Purtroppo i Clippers si sono perciò ritrovati senza un nucleo su cui imbastire il benchè minimo futuro, smembrando pacchetti di pick ed elementi freschi che oggi sarebbero stati linfa vitale dentro al parquet, Gilgeus-Alexander su tutti.

Partendo da quella famosa estate 2019, in ogni off season e deadline in questo lato di L.A. si è quindi sempre pensato di affiancare alla combo dei sogni qualche veterano d’elite (sulla carta) per assaltare l’anello direttamente nell’anno successivo, senza preoccuparsi di luxury tax ed esorbitanti uscite dal portafoglio di Ballmer.

Perciò, a parte la costante Zubac a proteggere il ferro, dopo Williams, Harrell, Morris, Beverley, Jackson, Ibaka, Batum, Cousins, Rondo, Bledsoe, Wall, Covington ed Eric Gordon è giunta adesso l’ora di Westbrook (dallo scorso campionato) e soprattutto James Harden, giocatori che hanno fatto la storia della NBA recente ma abbastanza “datati” e soprattutto agli antipodi l’uno dall’altro, il primo feroce nell’attacco a canestro in transizione e l’altro metodico e cadenzato negli isolamenti e in uno contro uno!

Il lato positivo c’è eccome in tutto ciò: tutte le superstar in rosa sono certamente intercambiabili fra loro e ancora ricche di skillset, abili dunque a offrire ed usufruire di relativo riposo mentre gli altri sono in campo, portando a casa a fine anno probabilmente un record positivo persino se uno dei quattro dovesse marcar visita a lungo.

Quel che però differenzia un’egregia stagione regolare da una cavalcata vincente ai playoff è entrare in forma giocando il più a lungo possibile e tutti assieme, affinando schemi contemporaneamente e dividendosi le mattonelle in maniera diligente e intelligente.

Ovvio che con tre ball handler del calibro di Leonard, George ed Harden quest’ultima disamina appare la più importante e basilare. Se Leonard mantiene tuttora quel sano egoismo da vincitore di anello che lo porta spesso a separarsi in post o nei pick and roll, realizzando poi i suoi micidiali elbow jumper, sono George, Harden e Westbrook coloro ai quali si chiede maggior sacrificio collettivo a difesa schierata per aprire le retroguardie altrui.

Un po’ di dubbi ce li lascia purtroppo la gestione che Lue può fare – sta facendo – su questo gruppo, dato che finora di coralità se ne vede ben poca. L’unico playbook che adottano i lenti e dinoccolati Clippers, 21° in pace, prevede infatti possessi in isolamento delle tre stelle ed eventuali tagli a canestro: tattiche prevedibili in un basket moderno che va a 100 all’ora e che nei finali di partita punto a punto non sta rendendo a dovere.

Nell’altro lato del parquet i discorsi sono similari, dato che in marcatura a uomo l’esperienza la fa da padrone e porta L.A. ad evitare qualunque tipo di attacco frontale e generare turnover come nessun altro (6 steals a gara), ma se si affrontano compagini rapide e qualitative nel giro palla l’età avanzata si fa sentire e crea seri problemi. I Clippers subiscono per l’appunto il 54% di FG in transizione, sono 26° per passaggi assistiti, 19° per tentativi da fuori e incassano ben 15 fast break points a partita!

Lodevole e finora determinante è stata comunque la “mossa” di Westbrook, sostituitosi all’allenatore auto estromettendosi dal lineup iniziale; passo importante che ha dato i suoi frutti, sebbene il 117 sotto la voce Def Rtg per 100 possessi di Mann dimostra che la sua fisicità difensiva potrebbe essere sfruttata meglio.

Con Russ in entrata dalla panchina assieme a Powell, i Clippers portano elettricità e accelerazioni qualitative in un attacco che si differenzia e alterna così da quello originale col Big Three di partenza, ragionato e isolato negli uno contro uno. Così facendo infatti Leonard e specialmente Harden, giunto dopo il lungo travaglio a Philadelphia fuori forma e senza allenamenti, hanno trovato d’incanto più spazi per dirigere l’azione, protetti poi in esterno dallo stesso Mann e sotto canestro da Zubac, e soprattutto messo in gambe e braccia più minuti, importanti per ritrovare forma e fiducia, specialmente nel Barba, d’incanto ritornato ad essere non contrastabile e attore protagonista del record 15-5 e della striscia di 9 W successive a tali modifiche.

Tutto ciò conferma come il prima citato load management nello sport ma nella NBA ancor di più non sia la medicina adatta per stare ad alti livelli, ma anzi causa di un allontanamento progressivo dalla forma di un tempo che in questo modo non tornerà più. Purtroppo nel momento in cui scriviamo troviamo la voce “day to day (hip)” proprio di fianco al nome di Kawhi!

Il costante win now mode tatuato sulla pelle dei Clippers da 5 anni è perciò vicino al termine, di pari passo agli accordi economici di Leonard e George, in scadenza nel prossimo anno, quando le primavere dei due saranno 34 e 35.

Sfortunatamente, e come accennato all’inizio, ad ovest c’è di tutto, squadre a specchio dei Clippers sebbene con stili nettamente diversi (Suns, Lakers e Warriors), solide realtà (Nuggets, Timberwolves e Mavericks) e giovani leve pronte alla definitiva consacrazione quali Thunder e Pelicans.

Pensare che un “dream team desueto” come i Clippers possa ritrovare il proprio prime per una ventina di consecutivi match playoff ci sembra oggi utopistico, anche se la classe che può arrivare a generare è seconda a nessuno.

La logica suggerisce che il tempo a disposizione dei Clippers stia inesorabilmente giungendo al termine, e gli incessanti ritmi della NBA attuale non dovrebbero fare sconti a nessuno, tanto mento a loro.

2 thoughts on “I Clippers sono tornati, ma forse è troppo tardi

  1. Quasi totalmente in disaccordo sulla disamina . Clippers hanno un loro gioco e se il fattore Leonard sara tale possono giocarsi l anello tranquillamente .

  2. Mavericks solida realtà? Ma sono Doncic e altri quattro che vagano sul campo senza un piano… I Suns non hanno una scians (fa pure rima). In finale di conferenZa chi vuole mettersi l’anello al dito deve passare da Jokic. Leonard al 100% è l’unico nella lega più circense del mondo ad essere in grado.

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