Quando mi è stato affidato il compito di occuparmi dei power rankings devo confessare che la mia mente ha iniziato un po’ a frullare. Passare in rassegna tutte le squadre, ricordarmi che mosse di mercato hanno fatto, ma soprattutto cercare di capire cosa mi dicesse il mio stomaco. Perché alla fine della fiera, la logica in queste cose conta davvero poco. Quel che fa la differenza è la gut feeling, le sensazioni a fior di pelle.

Quando poi mi sono reso conto che dovevo passare in rassegna le 15 squadre della Western Conference, panico. Perché vale quest’anno ciò che varie volte ho detto l’anno scorso: una NBA così aperta e senza padrone non si vedeva da qualche tempo.

Dall’eterna sfida Warriors-Cavs agli Heat fino agli Spurs. Poi annate in cui il nome sul Larry O’Brien Trophy cambiava ma era del tutto pronosticabile fin dall’inizio della stagione (Milwaukee, Lakers).

Fino alla vittoria Warriors – sì ancora loro – ma soprattutto a quella di Denver. Una favola meravigliosa che non fa altro che mettermi ancora più in difficoltà quando si tratta di ordinare dalla numero 1 alla numero 15 le favorite a vincere l’Ovest.

Tutto può succedere. Allora forse è meglio ripartire dalle poche cose salde che abbiamo in questo momento. Dal Colorado. Dai primi della classe. Ma sarà ancora così?

1- DENVER NUGGETS

Sono qui perché devono esserlo. Perché sono da qualche mese in vetta al mondo – mi perdoni Noah Lyles – e hanno dalla loro il più forte giocatore al mondo (capito ESPN?). E, mi spiace dirlo, non ci sono Giannis o KD o LeBron o Steph che tengano. Quando al centro hai Nikola Jokic, parti automaticamente favorito. Se poi come supporting cast puoi vantare un fenomenale Jamal Murray, Micheal Porter Jr., Aaron Gordon… beh, amico mio! Coach Malone riporta quasi tutta la Banda Bassotti in Colorado. Le perdite di Bruce Brown e Jeff Green non sono certo indolori, ma che per molti siano ragione di dubitare di questa squadra è ai limiti dell’allucinante. Perché, come dice il detto, finché c’è Jokic c’è speranza. Era così?

Situazione da monitorare

Una statistica rapida rapida per far capire quanto siano stati dominanti nella scorsa stagione. L’effective field goal percentage dei Nuggets è stato 57.3%, il secondo più alto nella storia della NBA. Sì, nella storia. La perdita di due pezzi di profondità come Brown e Green non è ideale, ma questo permetterà a Malone di pescare più in profondità. A partire da Christian Braun, che negli ultimi Playoff ha dimostrati di saperci stare eccome su quel palcoscenico. Ma attenzione al rookie Julian Strawther, che sembra fatto apposta per il sistema di spaziature capitanato da Joker.

2- PHOENIX SUNS

Una doppia, anzi tripla trade, con cui è stata rivoluzionata la franchigia del deserto da gennaio a questa parte. Prima Kevin Durant, poi Bradley Beal e poi la cessione di DeAndre Ayton. Una enormità di giocatori di buon impatto hanno lasciato l’Arizona: da CP3 a Jock Landale, passando per Bismack Biyombo e Torrey Craig. Una altrettanta quantità si sono trasferiti lì. Bradley Beal, Eric Gordon, Nassir Little, Jusuf Nurkić, Keita Bates-Diop, Grayson Allen, Yuta Watanabe, Drew Eubanks, Bol Bol, Chimezie Metu, Keon Johnson. Tanti.

Se poi si aggiunge anche il nuovo coach, Frank Vogel, abbiamo fatto tombola. Offensivamente sarà un inferno contenere questa squadra. Con quel mostro a tre teste che hanno il nome di Beal, KD e Booker. Difensivamente… c’è qualche punto interrogativo in più. Esattamente come il reparto infermeria, che rischia di essere abbastanza intasato.

Situazione da monitorare

Lo so, sono noioso. Ma quella famosa trade Lillard che ha portato Nurkic a Phoenix non mi convince mica tanto. I Suns hanno ceduto Ayton guadagnando il bosniaco, Nassir Little, Grayson Allen e Keon Johnson. Premesso che Little è un giocatore mediocre, e Allen è un settimo violino… perché accettare un così evidente downgrade alla posizione 5? Nurkic sarà pure più fisico di Ayton ma ha meno talento da entrambe le parti del campo. E non mi sembra che tra Bol Bol e Eubanks la panchina dei Soli pulluli di grandi alternative. Forse Vogel è orientato verso un’esagerato utilizzo di small ball. Mah.

3- LOS ANGELES LAKERS

Le perdite non pesano. Giocatori di rotazione sostituibili, guardie che non hanno mai spaccato sui parquet nordamericani (Dennis Schröder) e meteore da postseason (Lonnie Walker IV). Gli innesti sono invece molto interessanti. Da Christian Wood (al minimo salariale) a Jaxon Hayes per rimpolpare un reparto, quello dei centri, che si stava eccessivamente poggiando sul fragile corpo di Anthony Davis. Gabe Vincent e Taurean Prince per garantire maggiore attitudine difensiva a una squadra che non fa certo della garra uno dei suoi vanti. Ma forse l’acquisto migliore è stato trattenere Austin Reaves con un contratto ridicolo (4 anni a 54 milioni di dollari) rispetto a quanto avrebbe potuto strappare a una San Antonio qualunque.

Situazione da monitorare

LeBron si avvicina pericolosamente ai 39 anni. Davis non ha mai dato sicurezze sulla tenuta a lungo termine, così come Wood. DeAngelo Russel, se ci fosse il premio del giocatore più discontinuo della NBA, probabilmente lo vincerebbe ogni anno. Affidarsi ciecamente a Hachimura, Vanderbilt e Reaves non so se è una grande idea. Ma sono tutti “se” grandi come una casa. Quando sono tutti sul parquet, i gialloviola fanno paura. Ancora di più con i nuovi innesti difensivi.

4- GOLDEN STATE WARRIORS

Dei nuovi, gli unici per ora degni di nota sono Chris Paul e Ivan Saric. Non mi aspetterei troppo dal rookie Brandin Podziemski. Vedere insieme nel backcourt di Steve Kerr due mostri sacri come CP3 e Steph Curry sarà certamente suggestivo. Le suggestioni però non vincono gli anelli. Aver confermato Thompson, Green, Wiggins e Looney è un enorme passo. Ora si tratta anche di sperare che le scommesse del passato vadano in porto. E queste scommesse hanno due nomi: Jonathan Kuminga e Moses Moody.

Situazione da monitorare

5- SACRAMENTO KINGS

Io adoro i Sacramento Kings. Adoro il loro coach Mike Brown. Ho solo una piccola rimostranza: un’estate che, alla fine della fiera, hanno vissuto passivamente. O quasi. Perché Sasha Vezenkov viene da un MVP dell’Eurolega e una stagione da assoluto dominatore del vecchio continente. E si va a inserire lì dove Sacramento mancava di profondità, cioè le ali. Ma anche Chris Duarte, figlio dell’ennesima transazione sull’asse Pacers-Kings. Non so quante squadre vorranno schierare le loro seconde linee contro un backcourt di indemoniati come Davion Mitchell e lo stesso Duarte. Se a tutto questo bendiddio ci aggiungiamo Fox, Sabonis, Monk, Huerter, Murray e Barnes…

Situazione da monitorare

Sarà fondamentale per Mike Brown tenere a bada la sbornia della scorsa stagione. I Kings sono rinati dalle loro ceneri e hanno sorpreso tutti. Ma ora viene la parte difficile: confermarsi a quel livello. Ha gli uomini e il sistema giusti per farlo. Ma molto di questo a mio parere passerà dalla continua crescita di Keegan Murray. Che deve riuscire a trasformarsi in una minaccia offensiva consistente.

6- LOS ANGELES CLIPPERS

Kawhi Leonard e Paul George. I due motivi per cui i Clippers sono in questa posizione oltre a coach Ty Lue. Westbrook buono, ma non più quel difference maker dei tempi di OKC o Houston. Plumlee ottimo centro ma niente di più, di certo forma un tandem discreto con Zubac. Batum ormai morto che cammina, come d’altronde anche Marcus Morris. Bones Hyland e KJ Martin dalla panchina sono ottimi boost per atletismo ed energia. Ma se c’è una ragione che sia una per cui i Clippers potrebbero davvero arrivare alle Finals, sono quei due citati quattro righe fa. Quel Kawhi Leonard che praticamente non gioca con una seria costanza da quando ha vinto il titolo a Toronto, e quel Paul George che lo ha seguito nelle sue peripezie mediche. Vedremo.

Situazione da monitorare

Chiamatemi pure Tommaso, ma io finché non vedo non credo. Perché se anche la regolamentazione NBA contro il load management (a mio parere sacrosanta) può essere una spinta a non abusare del riposo delle stelle, non mi convinceranno così facilmente. Infortunelli alle ginocchia, alla schiena, ai denti. Se non, e purtroppo per i Clippers è altrettanto probabile, infortuni seri. Se si conta poi che alla fine dell’anno scadranno i contratti sia di Leonard che di George, la situazione si fa grigia grigia. Ora o mai più insomma. Ma rimane un “ora” molto pieno di dubbi.

7- MEMPHIS GRIZZLIES

La grana Ja Morant, out per le prime 25 uscite della stagione, fa precipitare i Grizzlies fino alla settima posizione. L’acquisizione di Marcus Smart potrebbe diventare la mossa più sottovalutata dell’intera offseason ed è stata fondamentale per coprire la perdita di Tyus Jones. Più difficile invece, per quanto sia paradossale dirlo, sostituire Dillon Brooks per la sua difesa. Soprattutto difensivamente, e soprattutto in quello che sarà un difficilissimo avvio di regular season. Jaren Jackson ha dimostrato ai Mondiali FIBA di non essere un trascinatore, per quanto i parquet americani siano di altro tipo e diano altri stimoli. Certo, è un Defensive Player of the Year affiancato a un altro DPOY come Smart. Aggiungici il tiro di Bane e, quando tornerà, l’atletismo di Morant e la situazione inizia a essere interessante.

Situazione da monitorare

Nel roster a disposizione di Taylor Jenkins vedo due grandi problematiche. La posizone 3, che finora presenta un possibile alternarsi di Konchar, Roddy, Zaire Williams e forse un piccolo e riadattato Kennard. Insomma: nessuno. E qui mi ricollego per la seconda problematica.

Quando Morant rientrerà, si riprenderà il ruolo di guardia titolare. A quel punto sarà Smart con tutta probabilità a scivolare nel ruolo di 3, coprendo il vuoto lasciato da Brooks. Ma Smart è una versione in piccolo del nuovo giocatore di Houston, sebbene più dotata tecnicamente. E se Brooks si accollava compiti ingrati quali marcare LeBron, adesso chi lo farà? Smart non credo sia la soluzione per semplici questioni di stazza.

8- OKLAHOMA CITY THUNDER

Prendetemi pure per pazzo. Ma OKC è la squadra che mi affascina e mi attira più di tutte. La pancia mi diceva di andare ancora più su della numero 8, la logica mi ha detto di frenare. Perché sono una squadra giovane, inesperta. Ma mi ricordano molto i Kings dell’ultimo anno, ma con più talento grezzo. Shai Gilgeous-Alexander è arrivato quinto nei voti MVP dell’ultima stagione. Jalen Williams è reduce da una campagna rookie impressionante.

Aggiungici un distributore puro di palloni come Josh Giddey, uno specialista di 3&D come Lou Dort e un unicorno ancora da scoprire che fa di nome Chet e cognome Holmgren. Come sesta e settima opzione si possono schierare un esperto europeo come Micic e un rookie di buone speranze come Cason Wallace. Tanto, tantissimo talento. Tanta, tantissima energia. Non sorprendetevi se questi faranno grandi cose. E non andranno via tanto facilmente, visto l’arsenale di prime e seconde scelte accumulato da Sam Presti.

Situazione da monitorare

L’unico punto dolente del roster dei Thunder rimane la profondità tra i lunghi. Isaiah Jose, Kenrich Williams, Ousmane Dieng, Davis Bertans, Jaylin Williams, Alex Pokusevski, eccetera. Mediocri tendenti verso il basso. Servirebbe un Presti già aggressivo fino alla trade deadline per migliorare qua e là e rendere davvero pericolosi questo gruppo di giovani scriteriati. Ma mi gasano troppo.

9- DALLAS MAVERICKS

Hanno Luka, il terzo giocatore più forte della NBA dietro a Jokic e Giannis. Hanno Irving, che finché non parte per le sue famose tangenti rimane uno dei giocatori offensivamente più devastanti. Hanno sostituito un passabile Christian Woods con il rookie Dereck Lively e con il veterano Richaun Holmes. Hanno incagnito la difesa scambiando per Grant Williams (basta che non parlotti troppo con Butler le volte che si incroceranno). Hanno garantito più tiro a Doncic riportando in Texas Seth Curry. La difesa rimane una enorme incognita, quasi al pari della tenuta mentale di Irving. Potrebbe trasformarsi in una stagione da “Salvate il soldato Luka”. Esattamente come l’ultima.

Situazione da monitorare

Dallas, we have a problem! La profondità della rosa è assolutamente inesistente. Al 4 ci si affida al rookie Olivier Maxence-Prosper. Le alternative delle due guardie stellari sono un bollito Hardaway Jr. e un Jaden Hardy ancora molto acerbo. I soliti Kleber e Powell non sono garanzie troppo affidabili. Insomma, o la va o la spacca con i 5 titolari. Perché dietro di carne da cuocere ce n’è abbastanza poca.

10- NEW ORLEANS PELICANS

Situazione da monitorare

Devono rimanere sani. Se riescono a resistere alle divinità del basket, questi possono davvero far paura. Sennò, chiamiamo Simon e Garfunkel.

11- UTAH JAZZ

Buona stagione la scorsa. Ma quest’anno la sensazione è che in una Western Conference così combattuta sarà ancora più difficile ripetersi. Non ci sono perdite da segnalare. Le aggiunte di John Collins e dell’interessantissimo rookie Keyonte George sono frutto di un notevole lavoro del front office. Tutto il resto… sempre i soliti noti. Da Clarkson a Kessler, da Markkanen a Horton-Tucker e Sexton passando per (speriamo) Fontecchio. Niente di nuovo insomma. E l’undicesimo posto non è un voto di sfiducia, ma semplicemente frutto della totale interscambiabilità a Ovest di ogni singola squadra dalla posizione 8 alla 15. La lotta per il play-in sarà da popcorn.

Situazione da monitorare

12- HOUSTON ROCKETS

La classica grana legale che coinvolge Kevin Porter Jr. ci priva di un grande talento in quel di Houston. Ma dall’altra ci semplifica un po’ la vita, sfoltendo un reparto di guardie pieno zeppo: Fred VanVleet, appena coperto d’oro dai texani, Jalen Green, il sensazionale rookie Amen Thompson. Una rotazione a tre di tutto rispetto. A cui aggiungere tra i lunghi un sempre rognoso Dillon Brooks, Jabari Smith Jr. e Alperen Sengun. Nonché Cam Whitmore, che rischia seriamente di candidarsi al premio di migliore matricola dell’anno. Tantissimo arrosto con cui il neo-tecnico Ime Udoka dovrà lavorare. E l’ex Celtics ha già dimostrato di saperlo fare egregiamente.

Situazione da monitorare

Tari Eason, Jock Landale, Reggie Bullock. Per dire altri tre nomi che siederanno in panchina al tip-off di molte partite dei Rockets. Una profondità inaudita per una squadra ancora in piena rifondazione. Vale per loro quanto sopra per Utah: sono qui ma non mi stupirei se si ritagliassero uno spazietto per i play-in. Le carte in tavola ci sono tutte, ora bisogna giocare.

13- MINNESOTA TIMBERWOLVES

No me gustan. Anthony Edwards è un fenomeno generazionale e mai mi stancherò di dirlo. Ma non mi convincerete mai a credere in una squadra che come lunghi schiera Rudy Gobert e Karl-Anthnony Towns. Grande difensore il primo, grande attaccante il secondo. E logicamente lo so che forse sono troppo in basso nei miei power rankings. Ma come ho già detto all’inizio, queste sono sensazioni a pelle. E a pelle proprio non riesco a credere nei T’Wolves.

Situazione da monitorare

Non saprei di cosa scrivere. Sono troppe le lacune che vedo nel roster di Chris Finch. Dico solo: Anthony Edwards. Se c’è una persona che può salvare le prospettive di Minnesota è lui. E dovrà sfoderare la versione lebroniana di Ant-Man.

14- PORTLAND TRAIL BLAZERS

Quando cedi il migliore giocatore della franchigia, un contraccolpo lo devi pur subire. Tutto sommato però, oltre a essersi liberati dell’esorbitante contratto di Nurkic, hano acquisito un ritorno di tutto rispetto. Deandre Ayton, Malcolm Brogdon, Robert Williams III e, indirettamente, Scoot Henderson con la scelta numero tre al Draft. Niente male come punto da cui ripartire per un rebuild che in quel dell’Oregon si spera il più breve possibile. Soprattutto perché Scoot sembrerebbe già pronto a raccogliere la pesantissima eredità lasciata da Lillard. Come ciliegina sulla torta manca solo scambiare Grant e quel suo orripilante contratto da 160 milioni in 4 anni.

Situazione da monitorare

15- SAN ANTONIO SPURS

Wembanyama fa tanto. Non fa tutto però. Non ancora per lo meno. Keldon Johnson è un buonissimo giocatore, Devin Vassell addirittura ottimo. Tyus Jones dà sicurezza nel backcourt. Ma il livello medio rimane ancora troppo basso per potersi rialzare dall’abisso fin da adesso. Questa stagione rimane una questione di far ambientare il francesone al basket americano. E capire come usare le decine di milioni di dollari di spazio salariale liberi la prossima estate. Poi bisognerà iniziare di nuovo, come un bel ciclo della vita, a preoccuparsi dei San Antonio Spurs.

Situazione da monitorare

Niente da monitorare in realtà. Solo, godiamoci Wembanyama. Perché giocatori come lui arrivano una volta ogni venti anni almeno. 2003: LeBron. 2023: Wemby. Troppa pressione? Forse. Si sgonfierà presto? Spero di no. Ma anche solo vederlo giocare insignificanti partitelle di preseason è da piangere. Non è normale questo ragazzo. Non ha niente di normale. E con una oculata costruzione del roster attorno, si salvi chi può.

2 thoughts on “NBA Power Ranking 2024: Western Conference

  1. Anche quest’anno poco da divertirsi con i miei poveri Jazz 😒 .

    Comunque io sto con Noah Lyles: l’Inghilterra ha il miglior campionato di calcio al mondo, ma chi lo vince è campione d’Inghilterra, non campione del mondo; la Francia ha il miglior campionato di rugby, ma chi lo vince è campione di Francia; l’Italia ha il miglior campionato di pallanuoto, ma chi lo vince è campione d’Italia. Questa cosa che chi vince i campionati statunitensi è chiamato campione del mondo, perché gli Usa credono di essere il mondo, è oltremodo fastidiosa.

    • Sarà, ma i Denver Nuggets sono la più forte squadra di basket di club del pianeta, e chi non ci crede può provare a sfidarli: qualcuno pensa davvero che la vincitrice dell’Eurolega – fatta di scarti NBA o vecchie glorie o giovani stelle col latte alla bocca – possa pareggiare? Basta vedere cosa fa Wembanyama (onnipotente di qua) ai suoi primi passi coi grandi (che poi nella lega basket ammeregana sia pieno di pippe è un altro discorso: le pippe non vincono i campionati).
      Sulla NFL nemmeno apriamo il discorso, il livello USA è ultraterreno.
      Su hockey e baseball invece si può dibattere: nord-esteuropei e centro-sudamericani/jappi performano a livelli paragonabili (tanto è vero che vengono reclutati dai team US-based).

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