Per chi non ci credesse, o ancora dubitasse, i fatti parlano chiaro. I Miami Heat sono alle Finals. Da ottava testa di serie, dopo aver perso (e male) il primo play-in con gli Atlanta Hawks. Dopo essere stati sotto di sei punti a meno di cinque minuti dal termine del secondo play-in, contro i modestissimi Chicago Bulls. Dopo essere stati rimontati dallo 0-3 al 3-3 dai rivali per eccellenza, i Boston Celtics.

Battuta Milwaukee 4-1, New York 4-2, e adesso Boston 4-3. Un capolavoro dietro l’altro, per una squadra che arrivava alla postseason con il venticinquesimo attacco della NBA. E con un colpo di reni finale che poteva solo riuscire a chi respira ogni giorno la Heat Culture. O chi ne è il maggiore fautore, come Erik Spoelstra.

Gara-1 al TD Garden, con i Celts sulle ali dei 51 punti di Tatum ai danni dei poveri 76ers. La partita segue un canovaccio che si ripeterà spesso (troppo) nella serie. Sul filo per un quarto e mezzo, poi allungo dei Verdi che tengono a distanza di 13 lunghezze gli Heat. Poi a metà del terzo parziale, controsorpasso Miami, che a sua volta allunga (toccando i 12 punti di scarto) ma non si fa riprendere. Il punto debole dei ragazzi di Mazzulla è il tiro dalla lunga distanza: 34% dall’arco contro il 51% di Miami.

Non bastano i 30 di Jason Tatum e i 22 di Jalen Brown. Dall’altra Playoff Jimmy Butler ne piazza 35 con 5 rimbalzi, 7 assist e 6 (sei!) palle rubate. In totale sono sette giocatori in doppia cifra per Spoelstra. 124-116 Heat, e 1-0 nelle Eastern Conference Finals.

Due sere dopo si torna al TD Garden. La partita è i-den-ti-ca. Boston mette la testa avanti, ma viene subito ripresa da Miami. Che a sua volta allunga. In Gara-2, però, Boston reagisce. I 34 punti, 13 rimbalzi e 8 assist di Jason Tatum coprono l’orrore di Jaylen Brown (16 punti con 7/23 dal campo e 1/7 da tre). Grazie alle giocate del numero 0, i padroni di casa hanno 12 punti di vantaggio all’inizio dell’ultima frazione.

Poi Miami decide che così non va. Sono 9 i punti di Butler, 8 quelli di un redivivo (e fondamentale) Duncan Robinson, e 8 (con 8 rimbalzi e 4 assist) quelli di Bam Adebayo. Solo nel quarto quarto. In compenso Tatum rimane senza canestri dal campo negli ultimi 12 minuti per la seconda partita consecutiva, quando i migliori marcatori per Boston sono i due Williams (Robert e Grant).

L’ultimo, Grant, colpevole di essere l’unico sul parquet ad avere un po’ di competitività nel sangue. Tripla in faccia a Butler per il +9, qualche parolina di troppo, Jimmy sorride e annuisce. E inizia una lenta operazione chirurgica di distruzione del suo avversario. Due punti, dopo due punti, dopo due punti. Senza smettere di parlare, provocare, deridere. E senza smettere di segnare. 111-105, 2-0 e si vola a Miami.

Gara-3, uno dei più classici blow-out. 128-102, 3-0 e sweep in vista. Questa volta sono morti che camminano sia Jalen Brown (12 punti con il 35% dal campo e 0/7 da tre) sia Jason Tatum (14 punti con 33% dal campo e 1/7 da tre). Se i tuoi due migliori giocatori abdicano in questo modo, le speranze di vincere sono veramente sottili.

Soprattutto se dall’altra parte Miami risponde con i 29 di Gabe Vincent, i 22 di Duncan Robinson e i 18 di Caleb Martin. Il 54% da tre degli Heat contro il 26% di Boston. E Butler può andare in vacanza già a fine terzo quarto, con un tabellino da 16 punti, 8 rimbalzi e 6 assist. Non dopo aver restituito la provocazione che Al Horford aveva diretto alla panchina Heat a metà di gara-1.

Serie finita vero? Non proprio. Don’t let us get one aveva detto Marcus Smart prima della partita. Gara-4 a South Beach: per la prima volta nei Playoff Miami perde in casa: 116-99. Il canovaccio si ribalta: Miami prende il comando presto, viene raggiunta (due volte) dai Celtics che poi scappano via con la partita. Rispondendo colpo su colpo ai tentativi di rientrare in partita dei padroni di casa. Jaylen Brown continua a faticare (17 punti con 7/16 dal campo e il 20% dalla lunga distanza).

A tenere in piedi la baracca ci pensa ancora una volta Jason Tatum: 33 punti, 11 rimbalzi e 8 assist. E finalmente i primi canestri dal campo nell’ultimo quarto. 3-1 Miami, e si torna a Boston per il secondo elimination game.

Gara-5 ricalca al contrario Gara-3. Blow-out completo in favore di Boston, con gli Heat mai in vantaggio. Il 110-97 finale inganna l’occhio: a inizio quarto quarto i Celtics erano avanti di 24 punti. È una vittoria corale. Tatum 21-8-11, Brown (finalmente) 21, Marcus Smart 23 e l’uomo del destino Derrick White, rientrato nelle rotazioni, addirittura 24. Sono 89 punti da quattro giocatori, e bastano abbondantemente. Dall’altra Butler fatica con soli 14 punti. 3-2, si torna a Miami.

Gara-6 è un vero e proprio manifesto dei Playoff NBA. Boston prende le redini fin da subito, arriva a 11 punti di vantaggio ma a fine primo tempo è sopra 57-53. I Verdi riallungano nel terzo quarto, e sono al comando di 10 lunghezze a cinque minuti dal termine.

Poi ci pensano Jimmy Butler e Duncan Robinson: 15 e 10 punti rispettivamente, pareggiando i 25 dell’intera squadra di Boston nell’ultimo quarto. Tre tiri liberi a tre secondi dal termine portano Miami sopra di uno. Poi, il miracolo. Rimessa Boston, Smart riceve e tira da tre. Max Strus si dimentica totalmente di fare tagliafuori, e Derrick White (ancora lui) fa tap-in sulla sirena. Basketball at its finest lo ha definito Butler. E per la quarta volta nella storia della lega, si va a gara-7 partendo da un 3-0.

La pressione è sugli Heat, che diventerebbero la prima franchigia a perdere una serie dopo un vantaggio di tre partite. La pressione è sui Celtics, perché sono in casa, sono la seconda seed contro la ottava e vengono da una striscia vincente. L’America si divide: c’è chi crede nel miracolo in extremis “made in Jimmy Butler”, e chi prevede una parata trionfale per Boston. Né una, né l’altra.

Gara-7 può essere riassunta con una semplice statistica: 21% da tre per Boston, 50% per Miami. Oppure questa: top-scorer per i Celtics è Jaylen Brown con 19, per Miami Butler ne ha 28 e Martin 26 con 10 rimbalzi. Gli Heat piazzano il sorpasso prima del previsto, a 4 minuti dalla fine del primo quarto, e non si guardano più indietro. Complice anche una storta subita da Tatum alla prima azione. Butler, Robinson, Martin, e chi più ne ha più ne metta. Ogni run di Boston e tagliata corta da una risposta del nuovo ‘big three’ floridiano.

Una Gara-7 che doveva essere combattuta, si è risolta con un ennesimo blow-out. Della squadra sfavorita di 7.5 punti, fuori casa, e ottava testa di serie. 103-84 Miami, che va alle Finals per la sesta volta negli ultimi 15 anni .

In casa Celtics, ci saranno ovviamente riflessioni. In primo luogo sul coaching staff. Joe Mazzulla è stato gettato in panchina dallo scandalo Udoka: giovane, impreparato e senza esperienza. I risultati si sono visti quando più contava. Per le prime tre gare, mai un time-out chiamato durante gli allunghi di Miami. Per l’intera serie neanche una reazione alla letale difesa a zona (2-3 ma anche 2-1-2) schierata da Spo.

Lo avevo detto più di un anno fa, e la cosa rimane valida. Il piano di gioco di isolamenti dopo isolamenti non può funzionare. E i Celtics non hanno mai mostrato, se non a sprazzi la stagione scorsa, di poter costruire una circolazione di palla costante ed efficace.

In secondo luogo, una riflessione sui giocatori. Al Horford è una bandiera verdebianca, ma è stato evidente che più durava lo sforzo, meno le gambe reggevano. Ha anche lui i suoi 36 anni (37 il 3 giugno). Forse è il caso di trovare un’alternativa altrettanto affidabile al tiro e nella metà campo difensiva. E il discorso vale anche per Marcus Smart. Ma il capro espiatorio è Jaylen Brown.

Le statistiche del 26enne nella serie sono impietose: 19 punti, 7 rimbalzi e 3 assist a partita, con il 41% dal campo e il 16.3% da tre. Decisamente troppo poco per una ‘stella’. La sua scelta come ‘Second Team All-NBA’ di quest’anno mette Brad Stevens davanti ad un bivio. Con un anno ancora di contratto, Brown può firmare un quinquennale da 295 milioni di dollari. Yikes, direbbero gli americani. Impegnare quasi 60 milioni all’anno su un giocatore con evidenti limiti (e altrettante evidenti potenzialità) non sembra essere una ricetta vincente.

L’unica possibilità sembra essere cederlo. A chi? Portland? Charlotte? Atlanta? Chi potrebbe avere bisogno di un veterano affermato, ma che comunque chiede oltre 50 milioni di dollari all’anno? Tutte quelle mock trade che vedono Boston scambiarlo con Portland per la scelta numero 3 al Draft e poi andare su Scoot Henderson mi sembrano follie. Per il giocatore che ha dimostrato di essere in campo, una scelta top-5 è un azzardo troppo grande per qualunque franchigia. Soprattutto se l’obiettivo è riprendere il prima possibile a vincere.

Per Miami, è una favola a lieto fine. Un anno fa (30 maggio 2022) nell’allora FTX Arena Miami perdeva gara-7 contro Boston. “Torneremo nella stessa situazione, ma questa volta la porteremo a casa”, Butler lo aveva garantito. Un cerchio di alti, bassi e bassissimi durato esattamente 365 giorni. Per tornare sul palcoscenico più bello del mondo. Perché Butler, se promette, mantiene.
Siamo gli uomini nell’arena. Con polvere, sudore e sangue sui nostri visi. Molte persone possono rivedersi in questa squadra, perché a volte bisogna soffrire per raggiungere le cose che davvero desideri“. Nella conferenza stampa post-partita, coach Spoelstra ha citato il discorso di Theodore Roosevelt del 1909. Un leader in tutto per tutto, dalla testa ai piedi, difeso a spada tratta da Pat Riley e che si sta sempre di più avvicinando ai migliori coach di tutti i tempi. E la carta di identità dice 52 anni.

Il suo più grande capolavoro è la gestione delle “seconde scelte”. Perché è chiaro che a Miami non ne esistano. G-Leaguers, undrafted, scelte al primo giro. Il pedigree non conta. Una volta che hai la canotta rosso-nera, il posto lo devi guadagnare. E chi più di Caleb Martin è l’esempio più lampante di questo.

Durante la stagione regolare, le medie dicevano 9.6 punti, 4.8 rimbalzi con split (percentuali dal campo, da tre e dalla linea del tiro libero) del 46-36-81. Nei Playoff ha alzato l’asticella: 13.4 punti, 5.5 rimbalzi con il 55% da due, il 44% da tre e l’82% dal tiro libero. Nell’ultima serie con i Celtics, addirittura 19 punti e 6 rimbalzi con percentuali irreali: 60% dal campo, 49% da tre e 88% dal tiro libero. Undrafted, G-Leaguer, tagliato dagli Charlotte Hornets del WOAT (Worst Owner of All Time) Micheal Jordan. Martin è rinato completamente.

Miami ci ha ricordato che le vie dei Signori del Basket sono misteriose. Eccome se lo sono. Ma ora sediamoci comodi, che è arrivato il momento di decidere chi saranno i nuovi campioni del mondo.

One thought on “NBA Playoff: i Miami Heat alle Finals

  1. Dopo che una squadra rimonta da 0-3 a 3-3, si penserebbe che abbia tutto il vento in poppa per completare l’impresa, ma sono andato a vedere le statistiche e non è così:

    – Nba: 4 rimonte da 0-3 a 3-3, nessuna completata.
    – Nhl: 9 rimonte da 0-3 a 3-3, quattro completate.
    – Mlb: 2 rimonte da 0-3 a 3-3, una completata.

    Quindi, in totale, siamo a 5 su 15: solo nel 33.3% dei casi chi rimonta da 0-3 a 3-3 completa poi l’opera in gara 7.

    Bella finale, non so per chi tifare: in linea di massima dovrei simpatizzare per Denver, perché non ha mai vinto il titolo e perché ha fatto una stagione regolare migliore; però dall’altra parte Butler meriterebbe un titolo e anche Spoelstra meriterebbe di vincerne uno senza i “Big three”.

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