Cosa succede quando una persona alta 2,21 metri gioca a basket? E cosa succede quando non solo sa giocare, ma sa anche tirare discretamente bene? E quando, dopo una prima stagione di assestamento, si decide a usare quel fisico e attaccare il ferro quasi l’85% delle volte? Dietro alla sorprendente – ma neanche troppo – rinascita dei San Antonio Spurs c’è un nome e un cognome: Victor Wembanyama.

E poi un altro, Mitch Johnson, il coach che ha dovuto ereditare la pesantissima eredità di Gregg Popovich. E non solo l’ha presa a due mani, l’ha anche rimodellata a suo piacimento guardando dritto negli occhi il suo fenomeno e dicendogli: “Wemby caro, al ferro ci arrivi senza neanche saltare”. Eppure non è tutto qui. Se per la prima volta nella loro storia gli Spurs hanno la possibilità di arrivare sul 5-0 (sì, prima volta nella STORIA), il merito è di un organico che sembra pronto a competere già da quest’anno. E con qualche aggiustamento, chissà, una nuova dinastia a Ovest?

Analisi di squadra

Una continuità di quintetto

I 5 dell’Ave Maria, che per ora hanno sempre iniziato sul parquet da titolari, sono: Wemby, Devin Vassell, Harrison Barnes, Stephon Castle e Julian Champagne. Dalla panchina il rookie-sensazione Dylan Harper, un quinto uomo e mezzo più che un Sesto, ma anche Keldon Johnson. Si tratta, di fatto, di una rotazione a sette con qualche minuto messo in carrozza anche da Luke Kornet o Bismack Byombo, giusto per far rifiatare Wembanyama il minimo indispensabile, Carter Bryant e Jordan McLaughlin. Quattro partite, quattro copioni identici: la continuità aiuta, vedremo se riusciranno a mantenerla nel tempo.

L’attacco “made in Mitch Johnson”

Il 4-0 raggiunto dagli Speroni texani non è un numero isolato, anzi è figlio di una filosofia di basket completamente diversa. L’attacco gira attorno a principi semplici: spaziature ampie e un uso insistente del 5-out, usando il gigante francese come “spaziatore”. Una modalità di attacco che gli Spurs alternano con P&R alti per liberare il loro diamante con una ricezione profonda, short-roll o post in mismatch. Se tutte queste opzioni gli vengono tolte, le soluzioni alternative a Wembanyama ci sono e sono tante. A partire dalle due guardie: Castle e Harper. Cambio di filosofia anche per quanto riguarda i tiri: 52.4% dal campo (2° dato della lega), 39.3% da tre (7°).

Prendiamo dei dati semplicissimi per confrontare la passata stagione e questa:

  • Offensive rating: da 114.4 a 121.5 (settimi nella NBA)
  • Net rating: +15.6 (primi)
  • Field goal percentage: da 46.5% a 52.4% (secondi)
  • Two point percentage: da 55.1% a 59.6% (quarti)
  • Three point percentage: da 35.5% a 39.3% (settimi), mentre i tentativi a partita siano precipitati dal 44.1% dei tiri presi al 35.5%.
  • Rimbalzi: da 43.7 a 49.5 (secondi)

E poi c’è la difesa, che rasenta la perfezione:

  • Defensive field goal percentage allowed: 41.6% (secondi)
  • Two-points field goal percentage allowed: 46% (secondi)
  • Effective field goal percentage allowed: 48.4% (terzi)
  • Stoppate: 6.8 (terzi)

Wembanyama 3.0: il perno di tutto

È ovvio che all’inizio, alla fine e a metà di questa trasformazione ci sia Victor Wembanyama. Quattro partite in cui è sembrato, a mani basse: prossimo MVP, prossimo Defensive player of the year, prossimo Most improved player. Da un anno all’altro, complice anche il lungo stop medico, la sua trasformazione è stata quanto di più sorprendente. Le medie sono quelle che sono, cioè impressionanti: 31 punti (con il 36% da tre e il 65% da due), 13.8 rimbalzi, 2.8 assist e 4.8 stoppate in poco più di 32 minuti. Cifre che gli hanno permesso di diventare il primo nella storia a superare quota 100 punti, 40 rimbalzi e 15 stoppate nelle prime tre partite di una stagione.

Ma il suo totale cambio di approccio è evidente anche se si guarda le scelte in attacco compiute dal gigante: crollo dei tentativi da tre, in favore di una maggiore predilezione per il pitturato. Risultato? Distanza media dal ferro dei tiri quasi dimezzata e più che raddoppiate le visite in lunetta. D’altra parte, come fai a contenerlo uno così?

A tutto questo bisogna poi aggiungere la difesa. In quattro partite, i giocatori marcati da lui provano circa 20 tiri a partita segnandone circa 4.8. Tradotto? Quando è il difensore più vicino, concede una percentuale del 29.7%. Una facile motivazione la si trova in quelle 18 stoppate accumulate in quattro partite: il francese DA SOLO è sesto nella classifica delle squadre con più stoppate. E di record ne romperà ancora tanti. Ma tanti tanti tanti.

Gli scudieri: Castle, Harper e Vassell

Ma gli Spurs non sono solo Wemby. Stephon Castle ha ripreso esattamente dove ci aveva lasciati e viaggia a una media di 18.3 punti, 6.0 rimbalzi e 4.8 assist. L’impatto sulla manovra in attacco è notevole: dal 42% dal campo dello scorso anno, il classe 2004 è salito al 52%. Sono molti di più i tiri appoggiati al tabellone o presi nel raggio di tre piedi dal ferro (41%), molti meno i long jumper. E non è un caso, qui come per Wembanyama, che i tiri liberi siano aumentati. L’anno scorso in tutta la stagione gli hanno fischiato 176 falli a favore, dopo 4 partite siamo già a 18: un trend che lo porterebbe – irrealisticamente – a 324 falli in tutta la stagione.

Poi c’è il rookie meraviglia, Dylan Harper. Arrivato con grandi aspettative, ha iniziato ancora meglio del previsto. Se non strettamente nelle statistiche grezze – che comunque recitano un egregio tabellino da 14.8 punti, 5.3 rimbalzi e 4.8 assist a partita con il 47.8% dal campo – nel suo impatto offensivo. Tra i giocatori che hanno almeno 25 minuti per partita di media, Harper è terzo in offensive rating con 129.8 punti segnati ogni 100 possessi. Meglio di Jamal Murray, Tyrese Maxey e Anthony Edwards.

A dare una mano in attacco ci pensa anche Devin Vassell: 16.8 punti e 2.5 assist a partita con un impressionante 43.3% da tre. Nella metà campo difensiva, invece, spicca un rinato Keldon Johnson: privo di alcuni “doveri” offensivi, che forse nella scorsa stagione avevano inficiato sul suo rendimento, si è trasformato nel miglior difensore della lega. Sì, meglio di Wemby: se il marziano concede il 29.7% dei tiri che difende, Johnson solo il 29%. Meglio di loro, tra chi gioca più di 30 minuti a partita, nessuno. Insomma, se a tutto questo si aggiunge poi l’esperienza di Harrison Barnes e la frizzantezza di Julian Champagne, il piatto è servito. Il futuro è solo luminoso, e chissà se in quel del Texas altri anelli saranno aggiunti alla bacheca. Contrassegnati, ora come ai tempi di Tony Parker, con la bandiera francese.

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