Il periodo attuale è sicuramente luminoso per i Milwaukee Bucks che con la vittoria in casa dei Chicago Bulls hanno lasciato aperta una streak di ben 5 vittorie consecutive. Una striscia vincente ancora più importante se pensiamo che 4 di queste 5 W sono arrivate fuori casa e la prima ha visto i cervi raccogliere lo scalpo dei Minnesota Timberwolves, saldamente leader della Western Conference da mesi e costretti finora a sole 6 sconfitte tra le mura amiche.

La squadra di Giannis Antetokounmpo ha conseguentemente smosso la propria classifica portandosi al terzo posto a Est con 40 vittorie e 21 sconfitte, staccando gli ambiziosi New York Knicks al quarto posto che sono ora a 5 vittorie di distanza (con una gara in meno) e inaugurando a tutti gli effetti la lotta per il secondo posto con i Cleveland Cavaliers che una volta tornati in salute sono a loro volta in ripresa dopo un difficile inizio di regular season.

Tutto questo però non può e non deve far dimenticare quanto la stagione dei Bucks sia stata tormentata vedendo anche l’esonero di coach Adrian Griffin, preso per sostituire Mike Budenholzer, dopo 43 gare. L’arrivo di Doc Rivers il 29 gennaio, che già da dicembre faceva da consulente a Griffin, ha poi visto 5 sconfitte su 6 gare con l’unica vittoria arrivata in casa dei Dallas Mavericks e che aveva visto Milwaukee andare sotto di 24 prima di riprendere in mano la gara contro una Dallas difensivamente inconsistente (e poi corsa ai ripari nella trade deadline)

Ora le vittorie sono tornate ad arrivare ma la fortezza di Giannis e soci poggia ancora su basi molto fragili che la streak vincente ha nascosto bene piuttosto che rinforzarle.

Sotto la lente fin dall’inizio della stagione non può che esserci la scelta principale per cambiare una Milwaukee a cui dopo l’anello del 2021 è sempre sembrato mancare il proverbiale soldo per fare la lira: l’acquisto di Damian Lillard, a caccia di un titolo con cui nobilitare una grande carriera, e il conseguente sacrificio di Grayson Allen e soprattutto di Jrue Holiday.

Da questo punto di vista l’articolo potrebbe finire subito ricordando dove si trova Jrue, ovvero al primo posto della Eastern Conference con i Boston Celtics attualmente irraggiungibili per le rivali (8 W di vantaggio sui Cavs e sugli stessi Bucks) e maggiore accreditata per il titolo di Eastern Conference nonchè per quello che sarebbe il primo anello NBA per Jaylen Brown e Jayson Tatum. Tuttavia la distanza tra i Celtics e i Bucks non è rappresentata solo dal semplice cambio di casacca per l’ex Pelicans quanto dal tipo di mentalità con cui sono state costruite le due squadre.

Mentre la squadra allenata da Joe Mazzulla abbina il talento dei singoli (a cui si è aggiunto anche un Kristaps Porzingis che sembra poter restare sano una stagione intera) a un gioco di squadra apprezzato ormai da anni e che la perdita di Marcus Smart non ha intaccato, i Bucks fin dall’esonero di Budenholzer sembrano essere una formazione totalmente in mano alle proprie stelle.

Certo, già con coach Bud a Giannis non mancava la carta bianca, ma prendere l’esordiente Adrian Griffin ad allenare una squadra che ora oltre ad Antetokounmpo (e Khris Middleton) conta anche Lillard si è rivelato più che esplicativo su quanto il coaching potesse incidere sulle sorti dei Bucks. D’altra parte Griffin non ha avuto neanche la possibilità di poter provare a dare una vera impronta sulla squadra essendo stato tolto dalla sua panchina dopo nemmeno metà stagione e rimpiazzato con un Rivers sul quale è l’ora di spendere definitivamente qualche parola in più.

Glenn Anton, per tutti Doc, allena in NBA dal 1999 (a Orlando) ma è dalla fine degli anni Duemila che è diventato uno dei coach più richiesti e con maggiore credibilità conferita dagli addetti ai lavori. Nell’anello vinto dai Boston Celtics nel 2008 di sicuro c’è moltissimo dei primi Big Three del terzo millennio, Garnett-Allen-Pierce, ma il contributo di Rivers soprattutto nel valorizzare Rajon Rondo (mai più tornato ai livelli di quel periodo) non va sottovalutato.

Doc col Larry O'Brien Trophy, qualche annetto fa...

Doc col Larry O’Brien Trophy, qualche annetto fa…

Parliamo però del 2008, sono passati sedici anni e in tutto questo tempo Rivers non ha vinto più nulla. Nè ai Clippers, che a loro volta erano infarciti di stelle, nè ai Sixers, dove la sua gestione è coincisa con la fine definitiva del Process tanto sbandierato da Sam Hinkie. Dalla finale NBA del 2010 (sempre allenando Boston) Rivers non ha portato alle sue squadre neanche un titolo di Conference malgrado, come accennato, gli investimenti da parte di Philadelphia e della Los Angeles cestistica meno blasonata fossero sempre stati più che ingenti.

Il punto a mio avviso è essenzialmente uno: per quanto molto spesso il nome del buon Doc sia affiancato ai grandi coach, Rivers non è mai riuscito a dare alle sue squadre un’identità di gioco che fosse sua, preferendo sempre affidarsi alle superstars che di volta in volta ha avuto l’onore di allenare. Senza scomodare Steve Kerr, recentemente blindato da quei Warriors che ha reso grandi, o il maestro Gregg Popovich, allenatori come Erik Spoelstra o Tom Thibodeau hanno sempre cercato di dare, nel bene o nel male, il loro sistema di gioco alle squadre che allenano; volendo allargare il discorso anche l’anello vinto dai Lakers nel 2020 ha visto un contributo più o meno tangibile da parte di Frank Vogel.

Doc Rivers rappresenta invece la mossa più logica per una Milwaukee che come scritto sopra ha scelto quest’anno di dare piena libertà ad Antetokounmpo e Lillard: un nome di peso (ma per quanto ancora?) che si affiderà ai mostri sacri in campo come ha sempre fatto in questi anni.

A non convincere in casa Bucks però non è solo il discorso allenatore. La perdita di Holiday e Grayson Allen ha infatti privato Milwaukee di un aspetto tanto bistrattato quanto essenziale per vincere i campionati in NBA o altrove: la difesa, in questo caso sugli esterni. E se è vero che nella winning streak sono solo 97.2 a gara i punti concessi dai Bucks, le difficoltà strutturali in questo caso sono tutte ancora al loro posto e non è affatto scontato che questa media possa essere mantenuta a lungo.

Se Brook Lopez e Bobby Portis continuano a fare più che egregiamente il loro dovere nel chiudere le aree agli slasher avversari è sul perimetro che la coperta difensiva dei Bucks si è mostrata corta in più di un’occasione e infatti tra le prime sei classificate della Eastern Conference, quelle che occupano i posti per l’accesso diretto ai playoff, Milwaukee ha la difesa peggiore con 117.1 punti subiti: per fare un confronto, appena un punto subito in meno degli Charlotte Hornets, da tempo in crisi di idee e ambizioni sul proprio presente e futuro.

In regular season le falle difensive possono tranquillamente essere nascoste dalla potenza di fuoco a disposizione di coach Rivers. Scioriniamo un po’ di cifre: Giannis garantisce ancora un trentello di media con la sua percentuale da due migliore in carriera, 65.2%, così come Lillard tira i liberi col 92.4% (anche qui career high, su circa 7 tentativi)
Khris Middleton non riesce ancora a dare piene garanzie fisiche (fuori per infortunio dal 6 febbraio dopo aver saltato 8 partite in precedenza) ma continua a svolgere bene il ruolo di equilibratore che lo contraddistingue quando è in campo.

Tanta roba, siamo d’accordo, anche se le roboanti dichiarazioni di Lillard sui suoi tiri da tre generati dal collasso delle difese su Antetokounmpo hanno trovato un riscontro solo parziale nei fatti (Dame tira con un non esaltante 34.5% da tre su 8.5 tentativi a gara) Quando però arriveranno i playoff non sarà sufficiente giocare a farne uno in più degli altri per riuscire a puntare al bersaglio grosso nel ruolo di favorita.

Perso l’atletismo di Holiday, tra i migliori difensori sulla palla in assoluto, e la capacità di 3&D di Grayson Allen è rimasto Pat Connaughton a ricoprire il ruolo di difensore esterno che ha svolto molto bene in passato ma sempre collaborando coi succitati due.

Oggi invece il 31enne Pat è affiancato da tanti veterani più o meno declinanti come Jae Crowder, sempre efficace e versatile ma i cui anni migliori sembrano alle spalle, e il buon vecchio Patrick Beverley, un tempo trash talker con grande atletismo e capacità di sacrificio, oggi trash talker e basta. Aggiungiamo anche Malik Beasley, alla quarta squadra negli ultimi due anni, il cui 44.7% da tre (career high) non compensa i soli 0.8 recuperi a gara.

Patrick Beverley in uno dei suoi tipici show

Patrick Beverley in uno dei suoi tipici show

Ad oggi le speranze di anello dei Milwaukee Bucks come più volte rimarcato sono totalmente in mano alle capacità offensive e alla voglia di vincere di Giannis Antetokounmpo e Damian Lillard. Parliamo di due dei migliori giocatori dai ’10s ad oggi e quindi malgrado tutto ciò che non va non si può comunque escludere la franchigia del Wisconsin a priori dal discorso Larry O’Brien Trophy tant’è che comunque la squadra è terza, col secondo posto nel mirino e attualmente in un buon periodo di forma.

Per vincere i titoli però ci vogliono anche organizzazione e mentalità corale, qualità a cui i Milwaukee Bucks sembrano, ad oggi, aver deliberatamente scelto di rinunciare. Staremo a vedere se i segnali di queste cinque partite vinte (a partire dalla difesa) sapranno confermarsi sul lungo periodo.

 

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