Siamo al quarto anno dell’era Luka Doncic per i Dallas Mavericks, l’anno in cui molti appassionati e analisti NBA si aspettano che per la franchigia dell’estroverso proprietario Mark Cuban arrivino risultati di squadra più consistenti delle due eliminazioni di fila al primo turno playoff per mano dei Los Angeles Clippers.

Tuttavia dopo un inizio promettente con 9 vittorie nelle prime 13 gare, per quanto arrivate in gran parte contro squadre senza troppe ambizioni di successo, da metà novembre è arrivato un calo netto e preoccupante: solo 2 vittorie nelle successive 9 partite, di cui una al supplementare proprio in casa dei Clippers (e dopo aver buttato 10 punti di vantaggio nell’ultimo minuto e mezzo dei tempi regolamentari) e un’altra tirando col 68.7% dal campo (massima percentuale nella storia dei Mavericks) in casa dei modesti New Orleans Pelicans che peraltro hanno vinto la gara successiva a Dallas.

Herb Jones esulta nella vittoria in casa di Dallas

Herb Jones esulta nella vittoria in casa di Dallas

In teoria le attenuanti generiche sono sempre lì: la squadra è ancora in zona playoff, non è l’unica ad avere avuto problemi in questo inizio di stagione (citofonare Lakers, per dirne una) e il tempo per invertire la rotta c’è ampiamente. In pratica il primo mese e mezzo della NBA 2021/22 ha messo per molti versi in mostra che allo stato attuale i Dallas Mavericks non sembrano essere una contender, così come non si sono rivelati tali nelle ultime due stagioni.

Per iniziare ad analizzare i motivi di queste sensazioni partiamo proprio dal passato prossimo. Una delle motivazioni della delusione dello scorso anno è stata cercata nel rendimento della seconda stella designata del roster, Kristaps Porzingis.

Il lettone ha di fatto saltato metà delle partite del 2020/21 per infortuni vari ed è arrivato ai playoff fortemente demotivato tanto da aver quasi fatto da spettatore non pagante mentre Doncic e compagni lottavano all’ultimo sangue nelle 7 gare contro i Clippers.

Quest’anno ha cominciato, tanto per cambiare, saltando 5 gare per problemi alla schiena ma al suo rientro ha avuto un rendimento da All Star andando 5 volte in doppia doppia e risultando decisivo soprattutto nella vittoria in casa di Los Angeles dove ha segnato quasi tutti i punti di Dallas (solo una tripla di Maxi Kleber per gli altri Mavericks) del supplementare. Porzingis ha ritrovato la motivazione e sta quindi tornando a un livello che giustifichi il suo contratto, ma la squadra non migliora.

Altro punto debole dei Mavericks degli scorsi anni era la difesa, con Rick Carlisle che puntava quasi tutto sulle doti balistiche della sua squadra e sulle capacità di Doncic di mettere in ritmo i compagni ma a detta di molti tifosi texani trascurando il gioco nella propria metà campo.

Carlisle si è dimesso e al suo posto è arrivato Jason Kidd dopo le esperienze tutt’altro che esaltanti da capo allenatore a Brooklyn e Milwaukee. L’ex idolo dell’American Airlines Center, tra i protagonisti dell’anello 2011 e tra i play più apprezzati degli anni Novanta e Duemila, ha subito provato a lavorare sulla difesa ottenendo sicuramente una squadra più grintosa ma che ancora non ha un sistema difensivo d’elite e di contro ha drammaticamente abbassato le proprie percentuali dall’arco dovendo aumentare i propri sforzi difensivi.

Kidd ha dichiarato prima della gara contro i Memphis Grizzlies di stanotte che “la squadra è costruita per attaccare. Non è costruita per difendere. Dobbiamo uscire da questa mentalità” A giudicare da queste parole, quindi, la mancanza di attitudine difensiva non era esattamente colpa di Carlisle.

Jason Kidd al ritorno da head coach dopo tre anni

Jason Kidd al ritorno da head coach dopo tre anni

Il fatto è che intorno a Doncic e Porzingis, e se vogliamo anche a un Tim Hardaway Jr. tutto sommato convincente nel ruolo di terzo violino, Dallas ha costruito pochissimo malgrado quest’estate si sia affidata a Nico Harrison nel ruolo di general manager dopo il lungo periodo di Donnie Nelson in tale ruolo.

Le mosse di Harrison in offseason stanno però pagando pochi dividendi. L’acquisto più rilevante è stato quello di Reggie Bullock, in sostituzione di un inconsistente Josh Richardson, nel ruolo di esterno 3&D che lo scorso anno aveva ricoperto bene a New York dove però faceva parte di una squadra con un sistema difensivo molto efficace (perlomeno in regular season)

In un roster in cui invece la difesa è ancora tutta da costruire Bullock finora sta faticando moltissimo: l’impegno e la grinta non mancano ma l’ex Pistons non segna mai e garantisce finora la miseria di 5.5 punti di media, statistica peggiore dal 2017, conditi con un inguardabile 27.5 da tre, mai così male in carriera malgrado Doncic gli regali spesso dei tiri apertissimi.

Il jumper di Reggie Bullock, quest'anno poco efficace

Il jumper di Reggie Bullock, quest’anno poco efficace

Dalla cessione di Richardson, giocatore in parabola discendente ma comunque con un curriculum di tutto rispetto, Harrison non ha ottenuto niente di più del centrone Moses Brown, ventiduenne di 218 centimetri che sta facendo solo panchina e nell’unica occasione in cui è partito titolare si è subito capito il perchè: 4 falli e 2 palle perse in poco più di 10 minuti. Non va molto meglio nemmeno per l’altro Brown, l’ex Rockets Sterling, altro specialista dall’arco che tira col 27.5% da tre e altro difensore più falloso che aggressivo.

L’acquisto migliore di quest’anno si sta rivelando un Frank Ntilikina arrivato nelle ultimissime fasi del mercato con più di qualche sorrisetto di scherno per un giocatore che a New York non era mai riuscito ad affermarsi e il cui ultimo highlight, in un anno speso a fare tantissima panchina, era stato sostanzialmente vedere Trae Young segnare il canestro-vittoria di gara-1 nel primo turno playoff tra i Knicks e gli Atlanta Hawks.

Il francese sta invece interpretando bene il suo ruolo di play di riserva, probabilmente anche sull’onda di una positiva esperienza alle Olimpiadi di Tokyo con la Francia, e nelle gare che ha giocato prima di infortunarsi (tornando in campo questa notte nella sconfitta con Memphis, quarta batosta consecutiva in casa per Dallas) ha visto crescere il suo minutaggio grazie alle ritrovate doti difensive e ad una buona capacità di fare la cosa giusta al momento giusto.

Frank Ntilikina, positivo il suo impatto a Dallas

Frank Ntilikina, positivo il suo impatto a Dallas

Oltre a Ntilikina, però, dalla offseason non è arrivato nulla che facesse salire il livello del supporting cast di Doncic e Porzingis, livello che quest’anno si è confermato essere peraltro piuttosto basso.

I centri di Dallas sono attualmente tra i peggiori della lega: detto di Moses Brown che comunque fa poco testo (non gioca praticamente mai) la coppia Dwight Powell/Willie Cauley-Stein, frutto della spasmodica ricerca di un nuovo Tyson Chandler, sta confermando anche quest’anno tutta la sua inconsistenza tra i soli 6 punti e 4.5 rimbalzi a partita del canadese Powell, titolare abituale, e il rendimento a tratti disastroso di Cauley-Stein che non riesce a garantire nemmeno 2 punti a gara in un minutaggio in costante calo.

Tolti i minuti giocati da Boban Marjanovic, prezioso uomo-squadra che non può garantire un livello difensivo adeguato ma perlomeno fa canestro, i risultati migliori si ottengono con Porzingis da centro. Peccato che il lettone giochi da 4 su sua esplicita richiesta.

Per il resto il roster che affianca Luka Doncic può offrire di rilevante solo un ottimo difensore e tiratore (ma carente nel gioco interno) come Maxi Kleber e il talentuoso sesto uomo Jalen Brunson. Considerando anche che Dorian Finney-Smith mette in campo un enorme impegno ma ha limiti obiettivi per essere un 3&D d’elite (tiratore buono ma alterno, difensore grintoso ma lento di gambe per difendere sui 3 e dalla statura non eccelsa per difendere sui 4) appare chiaro che la strada per vincere non è questa.

Dallas dovrebbe muoversi sul mercato delle trade per migliorare il proprio roster ed evitare un’altra annata anonima. Le possibilità ci sono: cercare di cedere Cauley-Stein che è in scadenza di contratto e quindi di ottenere qualcosa dalla sua cessione, ad esempio.
Oppure cercare un lungo atletico e che vada forte a rimbalzo anche sacrificando qualche pedina importante.

Peccato che gli unici rumours che si sentono su possibili innesti riguardino esclusivamente un approdo in maglia Mavericks di Goran Dragic, attualmente fuori dalle rotazioni di Toronto, che sarebbe una mossa volta solo ad accontentare Doncic. Il quale, fresco del contratto più importante della sua ancora breve carriera (217 milioni abbondanti fino al 2027) dal canto suo resta un giocatore fantastico, ma ancora una volta presentatosi all’inizio della stagione in forma fisica discutibile, che continua a tirare i liberi col 67.6% e soprattutto che continua a protestare continuamente con gli arbitri, motivo per cui è stato anche ripreso pubblicamente (e giustamente) da Kidd.

La situazione dei Mavericks è quindi attualmente molto più preoccupante della classifica che comunque vede Dallas nella non esaltante sesta posizione, la stessa con cui ha concluso le ultime due stagioni. Il livello della squadra è questo e non sembrano esserci troppe possibilità affinchè migliori, tant’è vero che stanotte contro i Grizzlies senza Doncic e Porzingis è arrivata puntuale la sconfitta casalinga con solo 90 punti segnati (la maggior parte da un Tim Hardaway versione uomo in missione)

Cuban e i suoi dirigenti sono chiamati a intervenire in maniera efficace per evitare di bruciare un’altra chance di competere ad alti livelli. Cosa che, rinnovo o no, potrebbe non rendere troppo felice neanche Luka Doncic.

 

One thought on “Ancora delusione in casa Mavs

  1. Funziona così coi giocatori che vogliono fare tutto loro: grandi statistiche ma non vincono una minchia.
    Lukino evidentemente a pallacanestro gioca ma in storia dello sport è scarsino forte. Senza risalire a Chamberlain (altre regole) basterebbe ricordare il Lebbros James (The Mink) colla sua Decision (senza la quale starebbe forse a 1 titolo). Se a Dallas hanno vinto un campionato solo con un Nowitzki ai massimi della carriera dovrebbero sapere come spiegare al principino sloveno l’arte di delegare e di fare meno il bullo, che-non-sei-mica-Jordan.
    Poi è ovvio che Kidd non è l’allenatore giusto per il lavoro, ma colla squadra adatta ce l’ha fatta pure Lue, sicché…

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