Doveva essere una sorta di antipasto consumato a Marzo dell’inevitabile finalissima di Giugno, invece ci ritroviamo con i Warriors alla ricerca di loro stessi da una parte, e dall’altra la squadra più disfunzionale di questa NBA 2018/2019, i Boston Celtics.

Vediamo il momento delle due franchigie: quelli del Massachusetts arrivano a Oakland con 5 sconfitte su 6 gare giocate (hanno vinto solo con Washington; non proprio un partitone).

I padroni di casa sono riusciti a fare leggermente meglio collezionando “solo” 3 sconfitte (Orlando, Miami, Houston) nelle ultime 6.

Dati alla mano nelle file gialloblù spicca (come sempre) Stephen Curry, miglior realizzatore con 28.4 punti per gara (Durant è sempre lì vicino con 27.6) ed il solito rating offensivo stellare di tutto il team con 118.6 punti di media a  partita (nella stessa classifica i Celtics sono “appena” sedicesimi con 112 punti a referto a notte).

E fin qui non c’è nulla di strano. Invece, è più interessante il dettaglio di come Golden State sta marciando verso i playoffs in un anno (offensivo) stellare. Ovviamente ci sono tantissime triple ma la sorpresa è che nella classifica dei tiri da tre tentati GSW è solo settima, preceduta proprio dai Celtics al sesto posto. Sintomo finale di una NBA che dalla rivoluzione Warriors ha cambiato profondamente il modo di giocare.

Quindi, non è che vadano “male”, ma sono sicuramente al di sotto delle le rispettive aspettative -Boston in particolare, quinta nella sua conference con un record di 38-26.

I biancoverdi sono stati il vero enigma di questa stagione: smarriti, umorali e con i giocatori sconnessi  fra i trade rumors e continue dichiarazioni (praticamente di tutti) inappropriate. La bella streak di vittorie di Gennaio-Febbraio che sembrava aver lavato un po’ di sporco dallo spogliatoio ad oggi è solo un lontano ricordo. Se non credete a me, fidateci del tweet di Jaylen Brown della vigilia…

https://twitter.com/CBSSportsNBA/status/1102993155178356736

La mia idea è che se in una squadra -o in una qualsiasi aggregazione di persone-  tutti (dal magazziniere alle superstar) parlano, parlano pubblicamente e parlano troppo, c’è un evidente problema di leadership e ruoli. Ed è stato proprio questa mancanza di una logica gerarchica nel team, sempre a mio umilissimo avviso, il motivo che sta rischiando di far saltare il banco dei Celtics.

I principali colpevoli? Brad Steven e Kyrie Irvirg.

Il coach è stato logorato dalla gestione del suo pupillo, Gordon Hayward. Il rapporto molto forte che Brad Stevens ha con il giocatore (che ha giocato per lui sia all’high school sia al college) non ha creato serenità nel gruppo fin dalla prima partita in quanto Hayward è stato rinserito immeditamente nel quintetto base pur sembrando lo spettro di se stesso. Questo ha principalmente tolto minuti al duo “Tatum&Brown”, che nella scorsa stagione si era guadagnato sul campo i gradi militari da titolari e sperava di fare il definitivo salto di qualità. Idem con patate se riformuliamo la stessa frase con i nomi di Irving e Rozier (che è pure nell’anno del contratto).

La narrativa più frequente è che in questa stagione Rozier, Tatum e Brown siano stati “penalizzati” dal ritorno di Irving e Hayward. Kyrie è ovviamente il go-to-guy: impossibile pensare che questa squadra possa vincere un titolo senza di lui. Hayward viste le sue potenzialità ed il campione che ha dimostrato di essere in passato, un qualche suo spazio in questa franchigia deve pur trovarlo (o per lo meno ridiventare appetibile sul mercato), anche considerando il “salarietto” (aggiungo sotto il dettaglio, che magari ve lo siete scordato) che porta a casa tutti i mesi.

Gordon Hayward, giustamente visto l’infortunio pesantissimo subito, ha faticato fino a questo momento ed è ancora lontano dalla sua peak condition: al momento il suo tabellino dice 10.7 punti a partita su (25 minuti giocati di media) con il 32% da tre e 43% dal campo. La cosa preoccupante è che dopo le ultime prestazioni incolore (dell’atleta E del team) i numeri sono in evidente picchiata: a Marzo l’ex giocatore di Butler ha raccattato solo 4.5 punti a partita sulle due gare giocate ma le cose non migliorano poi di troppo allargando il sample size alle ultime dieci, dove Boston ne ha perse 6 su 7.

Per gli altri protagonisti del “caso Celtics” bisogna fare discorsi diversi:

Tatum: 16.1 punti a partita quest’anno, 13.9 lo scorso. Minuti giocati i media? Uno in più in questa stagione. Tiri presi? 3 tiri e mezzo in più a gara, con una percentuale dalla lunga distanza vistosamente calata (43.4 la scorsa  stagione, 36.9 quella corrente).

Jaylen Brown: 5 minuti circa in meno a partita (rimane comunque sui 25 complessivi di media), percentuali da 3 e dal campo molto vicine a quelle della scorsa stagione. Il fatturato complessivo è leggermente calato (da 14.5 punti per gara dello scorso anno a 12.7) ma se al posto dei valori assoluti vediamo quelli proiettati sui 36 minuti (statistica amatissima in US e dai General Manager NBA), il giovane talento dei Celtics migliora sostanzialmente (circa 18 punti a gara) dimostrando il buon impatto di tutta la sua produzione.

Perché tutta questa caterva di numeri? Perché alla fine, numeri alla mano, è vero che Hayward ha avuto più spazio rispetto a quanto probabilmente ne avrebbe dovuto ricevere, ma non è che i due ragazzi abbiano completamente visto stravolto il loro ruolo che in ogni caso sarebbe dovuto essere un po’ ridimensionato vista l’anomala situazione di vedere una franchigia con entrambe le superstar ai box per infortuni così lunghi.

Volete una sintesi più estrema? Avete ventanni e vi stanno comunque dando molto spazio in una franchigia storica che punta a vincere tutto nei prossimi 3-5 anni: dovreste giocare accettando il vostro ruolo, giocare duro, col sorriso e non rompere i coglioni.

Rozier nemmeno ve lo nomino perché di fronte alla stagione di Irving (in campo) c’è solo da togliersi il cappello. Kyrie Irving sta producendo 23.4 punti, 6.9 assist e 4.9 rimbalzi a gara.

Le stats dell’ex giocatore di Duke sotto tutte le voci sono superiori ai suoi dati storici indicando una stagione superba anche nei dettagli: field goal % più alto di sempre (49.6%) ed anche dalla lunga distanza sta tirando addirittura meglio della stagione da titolo con Cleveland. Chi ne critica il fatturato cestistico (e non sono pochi) sostenendo che i Celtics sono meglio senza di lui, è semplicemente folle.

Totalmente diverso il discorso off the court: in pochi mesi Kyrie è riuscito a collezionare una serie di mosse/dichiarazioni/debacle in cui nemmeno uno psicologo bravo riuscirebbe a trovare un filo conduttore. Per farla breve la racconto per punti:

  • Giura amore a Boston
  • Fa pace al telefono con Lebron chiedendogli umilmente scusa per i fatti di Cleveland
  • Ritratta il suo commitment con i Celtics
  • Genera molteplici rumors di mercato, principalmente incentrate sui New York Knicks
  • Annuncia un suo ritiro prematuro
  • Bisticcia con mezza stampa americana

Il tutto “condito” con manifestazioni settimanali di malcontento su qualsiasi social network. E non ho nemmeno usato le parole “terrapiattismo” e “nativi americani”, quindi sono stato veramente buono…

Provate a farvi voi un’idea sul futuro del giocatore, la mia è ancora confusa

Passiamo al basket giocato:

Nonostante tutte queste “cosucce” la partita rimane una gara di cartello.
Il palazzetto è strapieno con una insolita presenza di maglie verdi e, tutto sommato, capisco chi ha pagato salato per vedere il match: scorro con il dito i due roster e non riesco a non pensare che questa è la finale NBA che un po’ tutti vorremmo.

Sia perché i Warriors sono sempre sulla cresta dell’onda, sia per la quantità insana di talento ammassata in casa Celtics. Non è solo una questione di nomi o assets, è piuttosto una questione di tipologia di gioco e giocatori che Danny Ainge ha allestito in quel di Boston: tutti alti, veloci, che sanno giocare in “sistema” e che possono continuamente “cambiare” e seguire sul perimetro i tiratori -figuratevi oggi che manca Klay Thompson (con un problema irrisolto al ginocchio destro, anche se la risonanza magnetica è risultata “pulita”) .

Per quanto rigurarda il basket giocato non è che ci sia poi troppo da dire: una caporetto. Boston vince con il punteggio di 95 a 128 senza che l’esito sia mai stato in discussione.

Si inizia con i Celtics che spingono sull’acceleratore: il primo time-out Warriors arriva dopo una manciata di minuti di gioco e sul punteggio di 11-0, ovviamente per quelli in trasferta.

Per i primi due quarti è una sorta di marea biancoverde. Stephen Curry è l’unico a tenere un po’ su la baracca che oscilla pericolosamente anche a causa di un Hayward in forma smagliante.

La gara è stata preparata in maniera certosina da Brad Stevens: I biancoverdi provano ad iniziare ogni possesso attaccando continuamente Curry e Cousins, vero tallone d’achille dei Warriors.

Lo dico a malincuore, specialmente per quanto riguarda Boogie Cousins (che ha avuto un atteggiamento impeccabile per tutta la stagione) ma con lui in campo i numeri difensivi calano in maniera preoccupante.

Non che DeMarcus non abbia voglia di difendere (non è il piatto forte della casa, ok, ma quest’anno un po’ di impegno ce lo sta mettendo) ma il sistema Warriors del “ne abbiamo 4 buoni e Curry da coprire” con l’aggiunta di DeMarcus non riesce mai ad essere veramente efficiente.

Figuriamoci oggi che Curry è accoppiato con Smart quando va “bene” e con Irving quando va male, con effetti disastrosi per la difesa dei Warriors (rivedere le Finali contro Cleveland se avete dimentica).

A prescindere da questi “tecnicismi” I celtics oggi appaiono semplicemente più cattivi e concentrati, e i venti punti di distanza all’halftime, con Boston a quota 70(!) ci stanno tutti.

Durant male (2/9), Cousins peggio (1/4 in 11 minuti e tre falli). Unico che evita il tracollo è Stephen Curry (19 punti) nonostante le 12 palle perse dei Warriors in 24 minuti.

In paradiso i Celtics: 4/6 Tatum, 5/10 Irving e 7/8 Hayward (con 19 punti in 15 minuti e 3/4 da tre!): il +25 è servito

Il terzo quarto inizia subito con Boston che continua ad attaccare Cousins per metterlo nei guai con i falli: il “quarto” arriva dopo nemmeno 3 minuti di gioco. Dimostrazione di una squadra che sa cosa fare e come farlo.

Boston mette il cruise control a +20 guidata da un Hayward incitato clamorosamente da pubblico e da tutta la squadra che oggi, sia nei titolari e nelle riserve sembra motivata, coesa ed engaged.

Il pubblico dei Celtics in trasferta in particolare mi sorprende oggi: ok che Boston è una squadra storica ma le maglie verdi oggi in giro per la Oracle sono davvero tante, perché?

Beh, Boston continua ad essere l’Atene del nuovo millennio e San Francisco è il miglior polo tecnologico (e con i salari più alti) del pianeta per assorbire più laureati e tecnici di livello. Quindi per una città che ospita Harvard ed il MIT ad una sola fermata di metropolitana, la trasmigrazione lavorativa dei giovani laureati verso la Bay Area è un fattore fisiologico.

Ah si, Hayward: siamo a 28 punti con 11-13 da due e 4-6 da tre in 21 minuti. Mica male per quello che a giorni alterni è il capro espiatorio dei Celtics…

Il quarto periodo è caratterizzato dai Warriors sotto di trenta e da una serie di rotazioni “sospette” dei padroni di casa che sembra non vedano l’ora di rientrare negli spogliatoi.

La ricetta di Kerr per finire la gara prevede un po’ di Jerebko, qualche manciata di Evans, molto Lee e un pizzico di Cousins. Non roba da ristorante stellato, come avrete capito…

Boston vince ed esce rafforzata dallo scontro con i campioni in carica. Finisce con un differenziale di 30 punti e birra offerta nella sala stampa. Tutte le birre sono Samuel Adams, la più bostoniana di tutte le birre.

Certe notti va così…

 

 

 

 

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