La sfida tra Boston e Cleveland è finalmente arrivata ad un bivio decisivo, da dentro-fuori, ricco di affascinanti risvolti psicologici sia per i Celtics (in vantaggio nella serie ma vincenti solo tra le mura del TD Garden) sia per LeBron James & soci, con le spalle al muro in quello che per loro è un elimination-game da disputare tra le mura domestiche della Quicken Loans Arena, in un bel tardo pomeriggio primaverile sulle sponde del fiume Cuyahoga. La posta in palio è particolarmente elevata per King James che ha gli occhi del mondo cestistico puntati addosso, giunto com’è a 23 serie vinte consecutivamente ad Est, e ad un passo dall’ottava partecipazione consecutiva alle NBA Finals.

 

I Cavaliers vengono spesso dipinti come un’armata Brancaleone raccogliticcia, salvata di volta in volta da un LeBron James tonitruante, ma in realtà il resto della truppa ha sempre elevato il proprio rendimento nelle vittorie, e quando Cleveland ha perso, è stato perché “gli altri” hanno segnato 19 punti in meno di media, tirando col 39% dal campo anziché col 45% delle vittorie, e con un misero 25% da dietro l’arco. Insomma, i vari Hill (20 punti per lui), Korver, Love, Thompson non sono dei pesi morti che LBJ a volte trascina oltre il traguardo, ma parti importanti di una squadra che ha bisogno di loro per finire quel che il Re inizia.

 

I primi minuti dopo la palla a due vedono una Boston pimpante e lucida, capace di eseguire con precisione e con un Jaylen Brown che dopo la serataccia al tiro di Gara 5 risponde subito presente con tanti tagli aggressivi e due triple dall’angolo in un primo quarto che lo vedrà chiudere a quota 15 punti (6-8 dal campo, e chiuderà la serata con 27 punti e 11-18 al tiro), incurante della maledizione di Kobe Bryant (la sua serie DETAIL fin qui si è rivelata fatale per i giocatori sezionati al video dal Black Mamba, e viene il sospetto che qualche coaching staff abbia attinto a piene mani dalle pillole elargite dell’MVP 2008).

 

L’andamento è determinato anche dall’esigenza di ambedue le squadre d’andare “big”, perché chi ha vinto la sfida a rimbalzo nei primi 5 episodi della serie, ha sempre portato a casa la partita; la stoppata di Tristan Thompson rifilata al malcapitato Marcus Morris con 5 minuti sul cronometro del primo quarto contribuisce certamente a cambiare l’inerzia, assieme a tre canestri in verniciato di James e una palla recuperata da George Hill in acrobazia, ma il turning-point della partita è l’involontaria capocciata tra Jayson Tatum e lo sfortunato Kevin Love, che spedisce l’ex T-Wolves in spogliatoio per il resto della serata (per lui 4 rimbalzi e un fallo in cinque minuti complessivi sul parquet).

 

Boston chiude il primo quarto di gioco avanti 25-20, tirando col 61% contro il 36% dei Cavs, nonostante un LBJ intento ad attaccare il ferro (senza mai andare in lunetta); i Boston Celtics, trascinati da Brown e Rozier, danno complessivamente l’impressione di avere la testa giusta per fare quel tipo di partita accorta, precisa e fredda che serve per portare a casa una decisiva Gara 6 in trasferta. L’infortunio di Love però, apre le porte del quintetto a Jeff Green, che in 31 minuti d’impiego si rivelerà preziosissimo, grazie a 14 punti pesantissimi e soprattutto per la capacità di spaziare il campo e tagliare in modo aggressivo sull’anticipo troppo forte, mentre il pur positivo Al Horford non riuscirà a dettar legge, chiudendo con 9 rimbalzi, 4 assist, 6 punti e 2-8 dal campo.

 

Anche Larry Nance Jr. lascerà un segno nella partita, con un bel 5-5 dal campo di pura attività, e 7 rimbalzi utilissimi per vincere quella guerra sotto le plance che anche in questo sesto episodio della serie si rivelerà decisiva. Senza un corpo addosso Nance e Green gavazzano sui cambi della difesa bianco-verde, mentre Terry Rozier e Marcus Smart tengono in qualche modo a galla Boston in contumacia-Horford, senza il quale la qualità dell’esecuzione (offensiva e difensiva) dei Celtics (1-6 quando on the road) cala drasticamente.

 

Forte del dominio a rimbalzo, Cleveland è riuscita anche a correre in contropiede e a vincere quasi tutte le sfide d’intensità con i rivali, mettendo assieme un pesantissimo 20-4 nella prima metà del secondo quarto (che si rivelerà poi decisivo per l’esito della partita) fino al 44-34 che costringe coach Stevens al time-out. La rottura prolungata viene interrotta da una bomba in mezza transizione del solito Scary Terry (reduce da prestazioni poco convincenti in trasferta, è stato abbondantemente il migliore dei suoi, con 28 punti, 7 assist, due rubate e 6-10 da dietro l’arco) ma Cleveland, guidata da un James concentratissimo, ha continuato ad aggredire fisicamente un Jayson Tatum scarico fisicamente e in difficoltà, inefficacie in marcatura su LBJ e persino su Jeff Green. Tatum (ricordiamolo, ha vent’anni) chiuderà il primo tempo con 1-4 dal campo e 2 miseri punti, litigando spesso col pallone.

 

King James torna negli spogliatoi all’intervallo sul punteggio di 54-43, forte di una prestazione da 25 punti in 24 minuti (non si è mai seduto nei primi due quarti, con coach Lue che anziché levarlo chiamava time-out per farlo respirare) conditi da 5 assist e altrettanti rimbalzi; James non è sempre stato efficacissimo nelle conclusioni vicino al canestro, ma andare dentro alla lunga paga sempre e mette pressione sulla difesa avversaria, creando quegli spazi necessari ai vari Korver per far male in catch-and-shoot.

 

Come detto, quest’assetto di gioco è una situazione che LeBron ha cercato attivamente, ma in momenti simili, a 33 anni, pesa l’assenza di un realizzatore puro a roster, com’era Kyrie Irving (e come poteva essere Dwyane Wade), capace di supplire alle inevitabili pause del miglior giocatore del mondo, perché George Hill non può sempre accendersi e ventelleggiare. JR Smith invece, al pari dell’inesperto Jordan Clarkson, non sono stati  in grado di lasciare una traccia duratura in una partita di questa magnitudo, limitandosi a qualche occasionale giocata in mezzo a tanti passaggi a vuoto; saranno le stoppate in serie di James, Thompson e Green a scavare il solco nel terzo quarto, fino ad un 67-52 che lasciava preludere un blowout mai materializzatosi per merito dei Celtics, capaci di riorganizzarsi in corsa per tentare il tutto per tutto nel decisivo quarto periodo.

Nel terzo quarto ha tenuto banco l’entusiasmante sfida a colpi di canestri tra George Hill e Rozier (mai così freddo e determinato in trasferta) e l’impegno di Kyle Korver, che ha recitato una parte importante nelle difficoltà di Tatum, rendendogli difficile ogni ricezione, oltre a mettere due triple pesanti. Boston inizia il quarto periodo avvinghiata al match, sotto 73-83, grazie alle bombe di Rozier e Morris a fine terzo quarto, e ad alcune giocate “sloppy” di James, cui Ty Lue è infine costretto a concedere un mini-riposo di ben due minuti.

 

Compici i fischietti dimenticati al tavolo dagli arbitri, Boston inizia gli ultimi 12 minuti con tutt’altro piglio e fisicità, innescando una serie di tonnare che accorciano il divario, oscillante tra i 7 e i 9 punti. Rozier si fa male ad una caviglia, LeBron cade su contatto con Nance, zoppica un po’ e i telecronisti (Van Gundy e Mark Jackson) con sottile e ironica perfidia iniziano a parlare dei loro wrestler preferiti. Intanto il wrestler con il numero 23 (che poi la metterà giù dura in conferenza stampa…) ne mette 38 in 40 minuti, riprende ad attaccare il ferro e non sembra dolorante, trovando il +12 a sei minuti dal traguardo dell’agognata Gara 7, che, dirà poi, “sono le due parole più belle dello sport“.

 

Nel frattempo Tatum, rimessosi in carreggiata (chiuderà con 15 punti, 7-13 dal campo, ma appena 3 rimbalzi e due assist, a fronte di 3 falli e 2 palle perse) prova a fare il suo, ma saranno le fantastiche triple in back-to-back di LeBron (46 punti, 9 assist e 11 rimbalzi) a mettere il punto esclamativo su una vittoria (109-99) che porta la serie sul 3-3 e apparecchia una Gara 7 al Garden (dove Boston è 10-0 nei Playoffs) che si preannuncia a dir poco entusiasmante, e che sarà tutta da seguire nella notte di domenica.

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