vuc7678Per ogni Pietro Mennea, c’è un Usain Bolt, per ogni Magic Johnson c’è un Lebron James. L’evoluzione della specie sportiva passa inevitabilmente da una trasformazione del DNA fisico e tecnico degli atleti, un’evoluzione che cambia numeri e nomi nel libro dei record, ma che soprattutto cambia il gioco.

Il 5, inteso come il centro, è la specie protetta in via di estinzione nel globo arancione della palla a spicchi. Il sacrificio necessario, la variazione irrinunciabile che, come si sente dire ormai da qualche anno, ogni allenatore deve assimilare per poter competere nel basket del nuovo millennio.

Tutto ad un tratto così, i centri, un tempo dominanti titani del gioco, sono divenuti utili come un camion parcheggiato in curva.

Troppo lenti per via del fisico massiccio, con meno fondamentali per via della sempre minore permanenza al college, troppo ingombranti per essere una valida opzione offensiva che non intasi il pitturato. Un ruolo old school nella pallacanestro flash forward del terzo millennio.

Già perchè il pitturato ormai è diventato una sorta di rampa di lancio, un trampolino elastico per chi corre veloce, gioca da esterno e può essere pericoloso con il tiro da tre, ma anche con penetrazioni al tritolo.

Se al cimitero degli elefanti eravate pronti a vedere transitare anche diversi bipedi sopra i 210 cm però, non avevate fatto bene i conti, in particolare con i centri di matrice europea. Quelli, per intendersi, che da sempre hanno sopperito alla carenza di un fisico da Watusso, con una mano più educata di quella dei cugini americani e un tiro da 6 metri che Shaquille O’Neal non ha mai avuto neanche alla play station.

Europei però, ha fatto spesso rima con Soft. Morbidi lungagnoni lavati con perlana, con un tiro da far invidia alle guardie, ma simili ai bambini sperduti senza Peter Pan, se infilati in un contesto di violenti Capitano Uncino (Hook!) d’ebano.

Se mettiamo da parte Sabonis e Divac, i lunghi europei difficilmente si sono affermati come titolari, come intimidatori, come giocatori non solo tecnici ma anche concreti. Gasol, ad esempio, ha fatto stagioni da All Star, ma il suo ruolo naturale non è quello di centro e il termine Soft è stato inglobato nel suo cognome.

L’ultimo dei moicani, o il primo esempio del domani, potrebbe però essere Nikola Vucevic. La speranza bianca nel ruolo di centro, residuo vestigiale di un ruolo in via d’estinzione o simbolo della rinascita nel segno di Love, rimbalzista e tiratore? Il centro degli Orlando Magic sembra infatti la sintesi della tecnica europea e della spigolosità americana.

In possesso di centimetri (2.13) e chili (108), unisce il gioco fronte a canestro caratteristico del basket fiba a capacità da rimbalzista insospettabili per un giocatore con un tale bagaglio tecnico. Nikola si sta costruendo una solida carriera NBA.

A testimoniarlo anche le medie di questo inizio stagione, che lo vedono protagonista di una bella doppia doppia di media (15 punti e 11 rimbalzi), a cui si aggiunge anche una buona capacità di smarcare i compagni, come testimoniano i 2,6 assist ad allacciata di scarpe. Dato non troppo distante dalle 3,4 assistenze di Noah, che tra i centri è quello che fa meglio.

Numeri stupefacenti soprattutto considerando che il terzo anno perde 2,6 palle a partita ma tira 11 volte, statistiche che lo pongono davanti al pari ruolo Dwight Howard che perde 3,1 palloni, tira una volta in meno e guadagna 17 milioni in più a stagione.

Vucevic è in crescita continua, deve migliorarsi ancora, soprattutto quando attacca da sinistra, ma con una mobilità apprezzabile (non da atleta del nuovo millennio) può con le sue braccia lunghissime oscurare il sole in difesa e mettere a referto tanti punti.

Una doppia doppia in scarpe da ginnastica, ma relegato in un contesto che potrebbe fare di lui il prototipo del giocatore da loosing effort. Tanti punti e rimbalzi, ma quante vittorie?

Senza essere severi con un atleta che, almeno Oladipo non si trasformi nel nuovo messia cestistico, milita in una squadra dal poco talento, il dubbio che sorge diventa: potrebbe riportare tali numeri (e gioco) in un team vincente? Senza magari essere uno dei punti di riferimento della squadra.

La risposta, come detto prima, potrebbe essere racchiusa nell’identità cosmopolita di un ragazzo che, prima di essere draftato nel 2011 con la sedicesima chiamata assoluta dai 76ers, ha vissuto mondi diversi, lingue diverse e culture diverse, adattandosi sempre, crescendo sempre.

Dare tutto il merito di questo talento in erba alla scuola cestistica europea e balcanica infatti sarebbe riduttivo, perchè Nikola, che di origine è montenegrina, in realtà è un cittadino del mondo, un esempio di come da più culture (anche cestistiche) possa nascere qualcosa di nuovo. Del resto Vucevic è un essere umano a cui il basket ha cambiato la vita.

Il padre Borislav, nazionale jugoslavo, cestista professionista per 24 anni e dunque gitano della pallacanestro, permette al figlio di nascere il 24/10/1990 in Svizzera, lontano dalla guerra dei Balcani che di lì a poco sarebbero esplose al di là dell’adriatico. Svizzera e Belgio, dove muove i primi passi in campo e nella vita, ma anche Montenegro. Dalla terra di origine infatti Nikola ha lanciato l’assalto anche all’America, al basket dei migliori.

L’oceano del resto, anche con poche parole d’inglese in faretra, non poteva spaventarlo. Attraversato il “laghetto” a 17 anni per raggiungere la Stoneridge Preparatory School in California, ha guidato la squadra di Coach Babacar Sy, amico del padre, come capitano e leader, grazie a 18 punti e 12 rimbalzi a partita.

Anticipati i suoi passi d’avvicinamento alla cultura americana e all’inglese è divenuto un Trojans e dopo tre stagioni a USC (concluse con un’annata da Junior da 17 punti e 10 rimbalzi), ha impacchettato il suo titolo di primo quintetto All Pac 10 ed è tornato in Montenegro, non per vincere l’Eurolega come il padre nel ’79, ma solo per concedere il suo talento al KK Budućnost Podgorica, durante il lock out che nel 2011 ha solo rimandato il suo esordio NBA.

Oggi dopo una prima stagione di ambientamento con la maglia di Phila (5.5 ppg. e 4.8 rpg. in 15.9 minpg) e dopo lo scambio che ne ha fatto un giocatore di Orlando, Vucevic sembra sempre più uno dei nuovi volti della lega. A dimostrarlo non solo le 46 doppie doppie, di cui 4 da oltre 20 punti e 20 rimbalzi, messe a referto la scorsa stagione, non solo la partecipazione alla partita delle Rising Star dell’All Star Game 2013 o le medie della scorsa stagione (14.9 punti e 11.9 rimbalzi), ma il suo livello di ambientamento in America:

 

Non ha il corpo e la fame di Glen Davis, magari è pure più educato, ma già parla un americano migliore del turco di Ilyasova ed anzi, è pronto anche a farsi strappare un consiglio culinario di pura tradizione USA.

Il 2014 è l’inizio di una nuova era per il secondo miglior rimbalzista della scorsa annata. Il vizietto della doppia doppia, 9 in questo avvio di stagione, non è svanito, Orlando dal prossimo anno avrà spazio salariale e la possibilità di mettergli attorno un po’ di talento.

E’ l’anno della verità, quello in cui mostrare il cammino fatto fino a qua. Del resto nessuna strada sarà mai abbastanza lunga per essere percorsa da questo cittadino del mondo.