La notizia desta la giusta dose di sorpresa. Il fatto che Stefon Diggs fosse ufficiosamente sul mercato sapeva poco di fumo gettato negli occhi e molto di verità, se non altro giudicando il linguaggio comunicativo dei Bills, presumibilmente giunti al termine della pazienza portata verso l’insofferenza semi-cronica di una delle loro superstar indiscusse, nonché bisognosi di voltare pagina dopo un’altra corsa al Super Bowl non concretizzata. Sorprende maggiormente la destinazione, la quale rivela una particolare propensione all’aggressione del mercato da parte di Houston, una compagine letteralmente risorta dalle sue stesse disgrazie e capace di fare ritorno alla postseason a seguito di una serie di stagioni che definire negative pare persino un eufemismo, cavalcando l’onda dell’elettrizzante stagione da rookie confezionata da C.J. Stroud. I Texans, infatti, parevano tra le squadre già sistemate nei ruoli offensivi, seppur inserendo nel ragionamento il grave infortunio subito da Tank Dell sul finire della scorsa regular season, conteggiando la presenza di Nico Collins e la recente acquisizione di Joe Mixon per un backfield in condivisione con il promettente Dameon Pierce, ma si sa, all’abbondanza di talento non si può mai rispondere negativamente.

Eppure, in qualsiasi modo si giri la questione, tutto ha perfettamente senso. I Texans si sono accorti di aver inconsciamente dato inizio a un ciclo vincente che doveva sopraggiungere nel giro di due o tre campionati, ma alla fine è arrivato con largo anticipo. La nuova cultura di spogliatoio infusa da DeMeco Ryans ha fatto miracoli, producendo una forza coesiva la cui propulsione ha spinto con tutta naturalezza il roster a credere in sé e a fornire del proprio meglio in campo, conseguendo in una realtà sulla quale nessuno avrebbe realmente scommesso lo scorso settembre, per quanto i margini di miglioramento potessero essere preventivabili. Se lo scorso torneo ha dimostrato in primis ad allenatore e dirigenza stessi che la finestra per il successo si è già abbondantemente aperta, la revisione di quanto ottenuto nel 2023 ha sicuramente portato la strategia ad un altro livello, saltando quel paio di passaggi di crescita e transizione altrimenti normali per qualsiasi franchigia in ripresa, non solo ricalibrando gli obiettivi da raggiungere, ma rendendosi conto di poter altresì ambire ai piani alti della Nfl.

Nell’ottica di quell’ulteriore passo in avanti, avendo trovato un quarterback già maturo, vincente, leader, e glaciale nel gestire risultati in bilico, i Texans si sono resi conto di dover apportare i miglioramenti più urgenti alla difesa, settore nel quale – non a caso – il general manager Nick Caserio ha indirizzato la quasi esclusività delle sue attenzioni, rifornendo il fronte difensivo con carne di qualità. L’importante firma di Danielle Hunter, uno dei pass rusher più incisivi e costanti della lega, unita alla presenza dell’altro rookie-meraviglia Will Anderson Jr. e all’arrivo di Denico Autry, Folorunso Fatukasi e Tim Settle per costruire la nuova rotazione di tackle, si è andata infatti a sommare all’acquisizione di Azeez Al-Shahir, produttivo linebacker centrale sottratto ai rivali Titans, senza contare le scommesse effettuate per Jeff Okudah e C.J. Henderson nelle secondarie, con tutto l’intento di ripristinare la reputazione pre-draft di entrambi, dopo carriere sinora condotte ben al di sotto delle rispettive potenzialità.

Nonostante ciò, l’occasione-Diggs era semplicemente troppo ghiotta per essere ignorata, perché, in fin dei conti, la qualità del supporting cast è sempre determinante per facilitare l’esistenza di un quarterback molto giovane, che l’hanno prossimo avrà peraltro il delicato compito di confermarsi, e non cadere nel più classico dei sophomore slump. Si aggiunga il fatto che il tempo di collezionare armi d’assalto è adesso, non domani, se non altro perché Stroud sta giocando sotto l’economico contratto firmato da esordiente, e la logica della mossa diviene ancor più lampante, anche in funzione della rimanenza nella durata del contratto acquisito da Buffalo, nel quale Diggs non graverà mai sul cap per cifre superiori ai 20 milioni di dollari. Un accordo senz’altro favorevole a entrambe le parti, vista la sua ristrutturazione con diminuzione temporale a un anno anziché i due originariamente previsti, togliendo di mezzo scenari di prolungamenti da discutere durante la stagione, altro fattore di tranquillità essenziale per l’equilibrio della transazione, che ha pure fruttato un sesto giro di quest’anno, e un quinto del prossimo, in cambio della seconda scelta dei Texans nel 2025. In soldoni, Diggs sarà libero di ricevere un altro contratto importante – l’ultimo di carriera – nella prossima offseason, e Houston si toglie il pensiero di eventuali nuove richieste di cessione da parte del soggetto.

Il ruolo psicologico di Ryans nel quadro generale è già ben noto, mentre in quello individuale, diviene ancor più importante di prima. L’infelicità di Diggs non è mai stata un mistero, così come non lo è mai stata la tendenza a farsi avvolgere dalla frustrazione in tutti quei momenti dove il ricevitore non si è sentito sufficientemente coinvolto nelle chiamate, una caratteristica che lo contraddistingue sin dai giorni in cui giocava a Maryland, dov’era il miglior giocatore offensivo del roster e tale voleva sentirsi costantemente considerato. Vista l’abbondanza di ricevitori d’impatto qui presente, difficilmente si profilerà un ruolo assolutamente elitario, al di là delle sei stagioni consecutive in cui Stefon ha prodotto più di 1.000 yard, dimostrando di portare efficienza in situazioni differenti, qualità non tangibile che ha particolarmente attratto Houston in fase di trattativa. Tuttavia, i Texans costituiscono la ventata d’aria fresca ricercata da un ricevitore mentalmente condizionato dall’ennesima e prematura uscita dei Bills dai playoff, una condizione che Diggs non ha mai fatto mancare di notare – anche attraverso i social media del fratello Trevon, cornerback dei Dallas Cowboys, altra testina che si scalda con poco – rimarcando un percorso già eseguito nella sua militanza ai Vikings, altra situazione in cui aveva chiesto – con toni più espliciti di questi – di essere scambiato.

Caserio, ad ogni buon conto, si prende una congrua dose di rischio, per quanto calcolato questo possa essere. L’intento è infatti di massimizzare quella che sarà a breve la fase discendente di carriera di un giocatore di trent’anni, un’età difficile per chiunque riceva colpi dai difensori e tenda a perdere, seppur in piccola percentuale, le doti atletiche che gli hanno permesso di fare la differenza in passato, in particolare per un ragazzo che ha dovuto attendere fino al quinto round del draft 2015 per vedersi consegnare un cappellino professionistico, e che si è dovuto guadagnare tutto ciò che ha realizzato, compresa l’inclusione nella prima formazione All-Pro del 2020. Difficile, inoltre, riuscire a misurare correttamente la netta differenza di rendimento tra la prima e la seconda parte della scorsa stagione, presumibilmente abbinabile a un misto tra le varianti tattiche apposte dal cambio di offensive coordinator da Ken Dorsey a  Joe Brady, mossa che ha liberato in quantità maggiore le prodezze individuali di Josh Allen e premiato le ricezioni di James Cook, e un calo motivazionale conseguito al minor coinvolgimento schematico, un fattore che nella psiche di un giocatore come Diggs non può non portarsi addosso un certo tipo di peso. Il calo produttivo dalle 1.429 yard con 11 mete del 2002 alle 1.183 yard e 8 touchdown della passata stagione non è certo tragico, per quanto rimanga impresso il filotto di gare consecutive al di sotto delle 100 yard e delle 6 ricezioni di media, iniziato dopo la sesta settimana di gioco e protrattosi anche nei playoff.

L’inserimento del wide receiver risulta invece interessante in chiave tattica, per l’affinità alle idee filosofiche di Bobby Slowik, offensive coordinator che, come Ben Johnson a Detroit, ha preferito rimandare la ricerca di un posto da head coach per proseguire il lavoro cominciato con Stroud e il futuribile attacco dei Texans. Slowik altro non è che una diretta ramificazione della scuola Shanahan, la stessa frequentata da Kevin O’Connell, attuale head coach dei Browns, che quando Diggs giocava a Minnesota ne era il coordinatore dell’attacco, pertanto si prevede l’attuazione di concetti offensivi del tutto simili, con l’opportuno allargamento dello schieramento difensivo grazie alla contemporanea presenza dell’ottimo Collins, del recuperato Dell, e dell’atletico tight end Dalton Schultz, con la possibilità di attaccare il box con il gioco di corse dando luogo a quell’imprevedibilità sempre preziosa per muovere le catene.

L’aggressività manageriale dei Texans pone la franchigia sotto un particolare microscopio in ottica futura, e certamente la spedisce nel novero delle squadre che meglio hanno operato nella presente sessione di offseason. Ryans ha avuto un anno di esperienza e studio per capire quali fossero le principali lacune difensive, cooperando con Caserio nell’effettuare le firme necessarie per aumentare l’efficienza del reparto, accumulando una mistura di talenti già affermati da tempo, ed altri che grazie alla sua stessa intercessione potranno finalmente scoprire se sono in grado di raggiungere il massimo potenziale. Diggs è invece la ciliegina sulla torta per una batteria offensiva che un alto voltaggio lo possedeva già, la quale potrà essere incrementata a patto di una saggia gestione mentale del giocatore, e anche in questo caso la figura di Ryans non potrà che giocare un ruolo positivo, data la propensione a essere una figura amichevole e comprensiva nei confronti dei suoi giocatori, dai quali, avendo vestito egli stesso quest’uniforme, ottiene il massimo livello di rispetto di cui si possa godere.

Non resta che far funzionare il giocattolo, che sulla carta sembra montato ad arte. I Texans sono pronti a esplodere, ritagliandosi una figura prominente nella geografia complessiva della Afc, per quanto resti da capire se siano già pronti a competere con realtà oggi figurativamente irraggiungibili come i Kansas City Chiefs. Nel mentre di tale processo di comprensione, di sicuro ci si divertirà parecchio a guardarli, continuando a meravigliarsi per la rapidità di un progresso ricostruttivo intelligente, efficace, e competentemente organizzato.

 

 

2 thoughts on “Houston Texans, storia di un’offseason aggressiva

  1. Se Stroud si confermerà essere il QB che si è intravisto nel suo anno da rookie, se troverà in Diggs, o in uno degli altri WR a sua disposizione, il proprio go to guy e Mixon dovesse raggiungere un numero di yarde su corsa considerevole; allora potranno far male a chiunque, perché anche in difesa il talento non gli manca.
    I Chiefs e i Ravens sono avvisati, non credo che avrebbero un Divisional semplice come a gennaio…..

  2. Da parte di hou mossa notevole, rimango perplesso per i bills che perdono il loro miglior ricevitore e dovranno correre ai ripari.

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