Qualche settimana fa avevo iniziato con un tributo a Mike Evans: per pura coerenza non posso esimermi dal farlo nuovamente, questa volta spendendo parole d’encomio per Amari Cooper, la versione globetrotter di Mike Evans che, se non altro, è sempre rispettato almeno dalla sua squadra.
Non mi vergogno ad ammettere che fossi fra quelli che, ai tempi, ritennero inevitabile il sacrificio di Cooper da parte dei Cowboys. Con a roster Lamb in odore di esplosione e il promettente e infinitamente più economico Gallup, rinunciare a Cooper reduce da un’atipica stagione sotto le mille yard aveva tutto il senso del mondo.

Cooper è un giocatore di cui non parliamo davvero mai, principalmente perché lui stesso non sembra avere una voce. Ricordate una sua dichiarazione o di qualche sua lamentela? Per la cronaca, stiamo parlando di uno in NFL dal 2015.
Domenica ha composto un capolavoro ricoprendo di saggezza ogni delirio di Joe Flacco: con un Cooper del genere attaccare ossessivamente la profondità è quanto di più intelligente un quarterback potesse fare, e Joe Flacco lo ha fatto – anche perché lo fa sostanzialmente sempre.
È riuscito da solo a sopperire all’infortunio occorso a Dustin Hopkins rendendo quasi preferibile un’Ave Maria in profondità al piazzato che non avrebbero potuto tentare.

Noncurante della marcatura di un buon cornerback come Stingley, Cooper ha massacrato i Texans guadagno-importante dopo guadagno-importante. Una decina di giorni fa, contro Chicago, ha messo a segno il touchdown del pareggio per poi superarsi la settimana successiva con 11 ricezioni per 265 yard e un paio di touchdown – e pure una conversione da due, giusto per non farsi mancare niente: grazie al suo exploit Cleveland ha ipotecato una qualificazione ai playoff che sembrava esser stata compromessa dall’infortunio di Deshaun Watson.
Ha un non so che di poetico che questa improbabile qualificazione – vi prego di concedermi il diritto di parlarne come di cosa fatta -veda lui fra i pro

Silenziosamente, come nel suo stile, Cooper ha prodotto in qualsiasi contesto in cui sia stato calato. Non ha deluso come scelta nella top five a Oakland, ha rianimato l’attacco dei Cowboys e, una volta spremuto e scaricato, ha continuato a produrre a Cleveland.
Quella di domenica è stata comodamente la sua miglior prestazione in carriera ed è bello, per una volta, parlare di Amari Cooper, un giocatore che stiamo dando per scontato.

La mia filosofia di vita è piuttosto semplice: più in basso voli, meno male ti fai quando inevitabilmente cadi.
Sto provando a mantenere il basso profilo con i Baltimore Ravens perché, alla fine, si sta pur sempre parlando di regular season: oggi, però, è più difficile che mai restare impassibili.
Ogni volta che sono stati costretti a indossare il vestito delle feste si sono portati a casa una vittoria oltremodo dominante. Hanno annientato i lanciatissimi – ai tempi – Lions e Seahawks refilando loro due trentelli conclusi tanto-a-poco e, la sera di Natale, si sono tolti la soddisfazione di umiliare i San Francisco 49ers, fino a non troppe ore fa all’unanimità la miglior squadra della lega.

Agli ordini di un Mike McDonald che fra non troppe settimane potrebbe vincersi una panchina tutta per sé altrove, la difesa è riuscita nell’impresa di spingere l’atarassico Purdy all’implosione. Per una volta Purdy è apparso sopraffatto dalle circostanze e dagli avversari, i suoi lanci non avevano nulla da spartire con le secche saette che trovano inevitabilmente le mani dei suoi playmaker a cui ci ha abituati, ma delle preghiere a mezza bocca lanciate all’aria in momenti di puro panico.

Sempre sotto pressione, Purdy per una volta è stato impreciso e scriteriato venendo poi sistematicamente punito da una difesa che non gliene ha perdonata mezza.
Non so se siano riusciti a decifrarlo consegnando al resto della lega l’antidoto anti-Purdy e anti-49ers, ma lo hanno semplicemente demolito prima di tutto da un punto di vista mentale.

L’attacco, invece, ha fatto quello che fa sempre: Lamar Jackson sta interpretando la posizione di quarterback meglio di qualsiasi altro pari ruolo. In un anno in cui Mahomes, Allen e Hurts sbagliano più del solito, Jackson ha consistentemente giocato un football vincente la cui unica pecca risiede in numeri individuali non troppo esaltanti: nonostante questo imperdonabile crimine, l’attacco di Baltimore ne segna 28 a partita. E, soprattutto, si sta dimostrando finalmente essere plastico e bidimensionale, capace di adattarsi alla situazione. Non vincono più grazie al mix di atletismo ed esotismo schematico di Greg Roman, ma principalmente grazie al suo braccio destro e al cervello.
Se solo ci fosse Mark Andrews…

Se non vi piace come candidato MVP non so cosa dirvi, so per certo che a lui non gliene importi niente dell’MVP: dopo sei anni fra i professionisti Lamar è stufo di trascorrere le ultime settimane di gennaio a casa, tutto questo successo individuale e di squadra è squisitamente fine a sé stesso se non sarà replicato ai playoff.
Ciò che posso dire è che quest’anno ci siano i presupposti per approcciarsi ai playoff con un piglio diverso, un piglio decisamente più ottimista che malgrado l’imperdonabile ingenuità non sfoci nell’illusione.

Con i Kansas City Chiefs, invece, l’unica speranza è che la rarefatta aria dei playoff riesca in qualche modo risvegliarli.
Quelli visti contro i Raiders non erano troppo brutti per essere i Chiefs, erano troppo brutti per essere una squadra professionista. Se non altro abbiamo scoperto quale sia il limite di Mahomes: nemmeno lui, il più grande prestigiatore che la NFL abbia da offrire al momento, è in grado di far girare un attacco povero di talento come quello dei Chiefs del 2023.
Travis Kelce, fra età e infortuni, appare legnoso e generalmente lento e non avendo altre vere minacce su cui concentrarsi – all’infuori di Rice che resta comunque un rookie – le difese avversarie stanno riuscendo sempre più assiduamente a neutralizzarlo. Con Kelce sotto controllo crolla tutto.

L’unica speranza, ripeto, è che i playoff risveglino in loro un qualcosa che li renda perlomeno funzionali. Las Vegas è stata parzialmente rigenerata dalla cura Pierce, ma non prendiamoci in giro, il loro front seven non è in alcun modo dominante come ce lo ha fatto sembrare la linea d’attacco dei Chiefs.
Mahomes non sopravvive a lungo in queste condizioni. Lunedì sera ha corso una mezza maratona solo per prendersi il tempo necessario a completare un inutile checkdown o, nella migliore delle ipotesi, per muovere le catene con una corsa conclusa da una botta che lo avrà condannato a un risveglio trascorso a fare il censimento dei lividi.

Questa è una stagione completamente diversa per loro. Per prima cosa Mahomes non ha mai perso così tante partite in un campionato – siamo a sei -, l’attacco dei Chiefs non è mai apparso così in difficoltà e, non secondario, se vuole arrivare al Super Bowl Kansas City si è condannata a giocare partite in trasferta: fino a questo punto della propria carriera Mahomes ha giocato lontano dalle rumorose mura di Arrowhead solamente tre partite di playoff, i Super Bowl.
È un peccato mortale vedere l’attacco boccheggiare in questo modo proprio quando la difesa ha deciso di diventare seria nella vita: in tutte e sei le sconfitte il reparto guidato da Mahomes non è stato in grado di segnarne più di venti.
Statistica che mi sentivo in dovere di fornirvi prima di cambiare argomento.

Qua si parla così tanto di playoff che si finisce inevitabilmente per snobbare la regular season che, fino a prova contraria, resta un palcoscenico sufficientemente capiente per contenere imprese – a loro modo – epocali.
I Detroit Lions, dopo più di una vita – nel mio caso letteralmente -, sono i campioni della loro division, la NFC North.
Questa cultura degli anelli ha oltremodo stufato. Siamo così ossessionati dai titoli da vivere le stagioni in loro funzione, ossia ignorarle ché intanto «non sono i playoff»: sarebbe veramente miope focalizzarsi esclusivamente su chi alza al cielo il Lombardi, ogni stagione sa regalarci centinaia di storie che a mio avviso meritano di essere raccontate.
In questa lega la regular season conta eccome, non stiamo mica parlando della NBA.

I Lions ultimamente mi stanno piacendo sempre di meno, ma oggi non è questo il punto. Non mi interessa quanto dureranno ai playoff, in questi giorni c’è da celebrare quella che è un’impresa sotto ogni punto di vista: come altro definireste un traguardo raggiunto dopo trent’anni di tentativi vani?
Non è passato troppo da quando la tristezza per l’addio di Matthew Stafford è stata mitigata dall’ilarità suscitata dalla prima conferenza stampa di Dan Campbell come loro allenatore, quindi ha dello straordinario che in così poco tempo siano riusciti non solo a completare la ricostruzione, ma pure a diventare settimanalmente competitivi.

Quello tagliato domenica è un grandissimo traguardo, un traguardo che certifica ulteriormente la bontà del loro progetto tecnico e che ci dimostra che coerenza, idee coraggiose e duro lavoro riescano a riabilitare pure quella che sembrava essere a tutti gli effetti una causa persa.
Verosimilmente, anche una sola vittoria ai playoff renderebbe indimenticabile quella che finora è stata una stagione a suo modo già storica.

Chiefs e Patriots negli ultimi decenni hanno banalizzato il concetto di titolo divisionale trasformandolo in una sorta di checkpoint da oltrepassare automaticamente una volta arrivati a dicembre, quindi mi rendo conto che spellarsi le mani per qualcosa del genere possa risultare stupido agli occhi di qualcuno, ma se si parla di Detroit non possiamo commettere l’errore di scordarci quale sia stato il loro punto di partenza.

Sono seriamente preoccupato per i Jacksonville Jaguars, la squadra più sinusoidale della lega: dopo aver raggiunto un esaltante alto fra il termine della scorsa stagione e l’inizio di questa, Jacksonville sembra essere tornata al punto di partenza, ossia a settembre 2022.
La difesa imbarca acqua da tutte le parti. In tre delle ultime quattro partite hanno incassato almeno trenta punti: è un caso che le abbiano perse tutte? L’attacco, per non essere da meno, nelle ultime tre uscite ha totalizzato ben dieci turnover, un numero che in nessuna lingua rima con “vittoria”.

Come non bastasse, Lawrence è sempre più acciaccato e l’inefficiente gioco di corse non riesce in alcun modo a togliergli pressione dalle spalle: con Houston e Indianapolis francobollate sull’8-7, Jacksonville sta seriamente rischiando di buttare alle ortiche una qualificazione ai playoff che sembravano avere in tasca.
Vi ricordate quando erano “in lotta” per il primo seed AFC?

Una vittoria contro questi Cardinals non può bastare a riqualificare una carriera fino a questo punto travagliata, ma possiamo tranquillamente affermare che Justin Fields stia facendo il possibile per rendere interessante l’inizio della prossima offseason: cosa farà Chicago con la sempre più probabile prima scelta assoluta?
Il nuovo front office ha l’irripetibile occasione di mettere le mani sul “loro” uomo, quello che ribalterà le fortune di questa franchigia… anche se siamo sicuri ce ne sia bisogno? Perché non mettergli a disposizione, che ne so, Marvin Harrison Jr. insieme a Moore?
Fields sta crescendo sotto i nostri occhi e, seppur lontano anni luce dal poter essere definito un franchise quarterback senza essere mandati a quel paese dal proprio interlocutore, sta complicando notevolmente il processo decisionale del proprio front office.

A proposito di draft e squadre in con un occhio e mezzo proiettato sul 2024, che dire della recente “resurrezione” dei New England Patriots di Bailey Zappe? Le virgolette sottendono ironia, sia chiaro.
I ragazzi di Belichick hanno vinto due delle ultime tre partite giocate imponendosi su squadre in lizza per i playoff, non i Carolina Panthers di turno. L’unica sconfitta è arrivata contro i Chiefs che per quanto putridi possano attualmente essere restano i Chiefs, i campioni in carica.

Guardandoli operare sotto la guida di Zappe – che non sta sicuramente spaccando il mondo ma è meno deleterio di quanto lo sia stato mediamente Jones – si può pensare di trovarsi davanti a una squadra da sei o sette vittorie: con lui under center almeno due delle sconfitte rimediate per mano di Colts, Commanders, Giants e Chargers non si sarebbero materializzate.
Non sta riscrivendo pagine di storia della posizione, ma con tre turnover all’attivo in tre partite da titolare non sta nemmeno scavando la fossa ai suoi compagni a suon di intercetti e pessime decisioni.

11 thoughts on “Considerazioni (il più possibile) lucide su Week 16 del 2023

  1. La storia recente mi insegna che i 49ers avevano stracciato i Rame 2 volte in regolar season 2 anni fa’ poi in finale di conference…👋 Una partita storta può capitare, meglio adesso che poi!!!

    • Esattamente. Eppoi a San Francisco vogliono vendicarsi di John Harbaugh (o di Joe Flacco) a febbraio. Del resto importa Zero.
      A me le performance di Jackson non hanno punto impressionato: casomai è la difesa ad essere degna del Gran Ballo…

      • Difatti per me l MVP di quest anno sarebbe MCcaffrey, per quanto spero non gli diano il premio

  2. Anche se trovo oltremodo esagerato festeggiare un titolo divisionale, il traguardo c’è e va registrato, ma soprattutto sono d accordo con un altro concetto. Oggi si tende a paragone qualunque risultato con il massimo livello di quel determinato sport (es. In NBA si segnano 50 punti si ma Kobe ne ha fatti 81, tizio ha vinto tre titoli si ma l altro ci ha messo di meno, e si potrebbe andare a oltranza) e vale praticamente in tutte le discipline. Si cerca il goat di qualunque cosa e ogni sera c’è una statistica superata e se non c’è la inventano sul momento. A me piacciono anche questi giochini perché alimentano discorsi, ma quando portati all’ estremo si svuotano di significato e minimizzano i risultati che si ottengono.

  3. Tutto sommato una pensata se tenersi Antonio Pierce anche il prossimo anno i Raiders potrebbero farla.
    Non sará uno scienziato del football, ma la squadra sta vendendo cara la pelle, i Raiders storicamente sono piú una squadra da battaglia.
    Considerare i precedenti: Bisaccia lasciato andare per prendersi Mcdaniels, Steve Wilks per Reich.

    • Quoto, oltretutto a differenza di Bisaccia ha pure il look simil-LL Cool J* che si presta al ruolo. Però gli serve un quarterback, perché vedere il sosia stordito di Uccio Salucci non completare un passaggio in quaranta minuti di gioco avendo Davante Adams WR è stata una roba da far sanguinare gli occhi.
      *: Sempre divertenti i paradossi della NFL dove puoi essere esaltato per una conferenza stampa in cui parli di scaricare l’odio verso i tuoi avversari che ultimamente ti hanno sempre battuto picchiandoli con la maggiore violenza possibile, ma se un tuo giocatore si azzarda a guardare gli avversari mentre esulta può essere penalizzato per taunting…

  4. Caro Mattia, prima di tutto complimenti ai tuoi ravens che hanno fatto una gran partita e hanno bastonato i miei niners in casa loro. Se qualche settimana fa li davo tra i papabili, a questo punto direi che al momento i ravens sono i miei favoriti per il SB, sono la squadra più solida e quella che sta costantemente migliorando, poi sono una squadra “sporca” che sa portare a casa le partite con squadre più forti di loro sulla carta.
    Poi passo ai miei niners e ti dico che quando nelle settimane scorse scrivevo qui che non ero nevrotico (ti cito) ma vedevo limiti nella nostra squadra, forse avevo ragione…. I problemi sono sempre gli stessi, con squadre aggressive facciamo fatica a proteggere il QB (problemi della OL), non siamo efficaci a difendere contro i QB che corrono (problemi con il def coord.) e non riusciamo a sfruttare l’enorme talento in attacco. Infine, spero di sbagliarmi con tutto il cuore, ma temo che siamo di nuovo incappati in un QB che ci può portare in alto ma non in vetta, ormai credo che sia una maledizione che ci sta facendo buttare un periodo lungo in cui abbiamo squadre da titolo che si fermano più o meno sempre allo stesso punto. Ovviamente spero di sbagliare e spero che il buon purdy completi la sua favola americana con un anello al dito!!!
    Buon football a tutti!!!

    • Sono d’accordo, in particolare riguardo al QB, ogni volta speriamo di aver trovato il giusto profilo, regolarmente, quando il gioco si fa duro, ci accorgiamo che è lì il limite.
      L’anno scorso fu fermato da un infortunio più unico che raro, e si nota che la nostra O-Line soffre terribilmente le D-Line aggressive e rocciose.
      C’è un fatto, però.
      Dopo l’infortunio a Williams, con Armstead, Hargrave, Banks e Moore già fuori causa, la O-Line era praticamente inedita. Le Cornacchie di Baltimora piangono infortuni, ma sono ben lungi da avvicinare la nostra dea (s)bendata.
      Oggi si apprende delle possibili assenze della safety Brown, di Jennings e di Lenoir oltre ad una cattiva condizione fisica di CMC e di Purdy……
      Speriamo di ottenere il bye week e di recuperare qualcuno….

  5. Bosa e Chase stanno facendo il loro? Deebo è stato francobollato alla perfezione o è stato un po’ ignorato? Ravens comunque al momento ingiocabili per tutti, Bills Browns e Lions qualche granello di sabbia potrebbero metterlo. Ancora grazie Mattia!

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