Il primo turno dei Playoff della Eastern Conference si può riassumere con una semplice, matematica, frase: cvd, come volevasi dimostrare.
Insomma, detto in parole povere, c’è un motivo se le teste di serie uno, due, tre e quattro occupavano quelle posizioni in classifica.
Al netto di qualche patema per i New York Knicks, che si sono trovati di fronte dei Detroit Pistons rivitalizzati e con serie intenzioni di provare ad arrivare il più in fondo possibile, sono state tre brevi e neanche troppo intense passeggiate. Cleveland Cavaliers, Boston Celtics, Indiana Pacers e – appunto – New York Knicks sono le ultime quattro a est. Ed è giusto sia andata così. Ma vediamole una per volta.
Cleveland Cavaliers (1) vs Miami Heat (8): 4-0
Miami era la prima franchigia nella breve storia del Play-in a qualificarsi per la postseason partendo dalla decima piazza. Un breve lampo che ci ha ricordato della bellezza del mini torneo pre-Playoff, seguito da quattro lunghi inesorabili massacri. Chi credeva – io in primis – che gli Heat avesse qualche speranza di strappare almeno una partita si è visto clamorosamente smentito. Perché di partite, di sfide, non si può parlare. Quattro massacri, uno dopo l’altro.
Si parte con un 121-100 in Gara-1. Un risultato figlio della fuga dei Cavaliers nell’ultimo quarto e che a Miami lascia un po’ di amaro in bocca. Le coltellate letali per la squadra di South Beach non arrivano tanto dal duo ormai rodato Darius Garland-Donovan Mitchell (57 punti in due) ma dalla panchina.
Anzi, da Ty Jerome e dai suoi 28 punti che martellano ogni tentativo degli Heat di ricucire. Poi è il turno di Gara-2, l’unica che ha avuto il sembiante di una partita. Cleveland scappa, Miami si aggrappa alle ultime forze e rimane non si sa come attaccata. Raggiunge il -2 a più riprese nel quarto quarto, viene sempre puntualmente respinta al mittente da un Donovan Mitchell da 17 punti nell’ultima frazione. Alla fine, se una stella di quel calibro non sbaglia, la paghi: 121-112 e si vola in Florida.
A Miami cambia tutto, e non nel verso che l’ultima partita aveva fatto presagire. Cleveland ne vince due di fila con uno scarto complessivo di 92 punti. Gara-3: 124-87. Gara-4: 138-83, con quasi il 50% da dietro l’arco. Jarrett Allen vola nel pitturato floridiano come se non ci fosse difesa, perché effettivamente difesa non c’è. Hunter, Mitchell, Merrill, Jerome trovano soluzioni da ovunque.
Max Strus viene messo in marcatura a francobollo di Tyler Herro e lo inchioda a 17 punti in due incontri, cancellandolo di fatto dall’equazione. La formazione a due lunghi dei Cavs, con Allen e Mobley, rende inutilizzabile la speculare combo Adebayo-Ware. Andrew Wiggins è irriconoscibile e chiude la serie con una media di poco superiore ai 13 punti a partita (altroché Jimmy Butler).
Ma la vera chiave forse – ed è triste dirlo – l’hanno fatta emergere gli stessi giocatori degli Heat nelle conferenze stampa di fine stagione: sul parquet, per Cleveland, non c’è Darius Garland. Troppo un’incognita in attacco, troppo un anello debole in difesa. Se sia un’equazione decisiva solo con gli Heat o se invece valga in generale ce lo diranno le prossime settimane e la sfida con gli Indiana Pacers.
Boston Celtics (2) vs Orlando Magic (7): 4-1
Questa serie inizia come finisce, con Boston che prende il largo e domina. E finisce come più o meno tutti se la aspettavano, con i campioni in carica che passano in carrozza al secondo turno. In mezzo tra l’inizio e la fine solo un breve spavento, una sbandata figlia di un terzo quarto miserabile da 11 punti e che ha portato a una sconfitta di soli 2 punti. Il sipario si apre sul TD Garden con dei Celtics old style: Jason Tatum e Jaylen Brown si limitano al compitino, forse qualcosa in meno.
A trascinare la corazzata di coach Mazzulla ci pensano le seconde linee Derrick White (30 punti) e Payton Pritchard (19 punti). Risultato? 103-86. In Gara-2 Orlando prende le misure, forte anche dell’assenza di Tatum. Jaylen Brown risponde presente, offrendo le specialità di casa con un quasi quarantello (36 punti), mentre Kirstaps Porzingis ci aggiunge una doppia doppia da 20-10. In totale sono cinque i Celts in doppia cifra, e strappano la vittoria per 109-100.
New York Knicks (3) vs Detroit Pistons (6): 4-2
Indiana Pacers (4) vs Milwaukee Bucks (5): 4-2
Una serie tristemente nota per episodi che con i risultati c’entrano poco o nulla. Inizia come la sfida dell’overrated Tyrese Haliburton (Giannis lo ha votato il più sopravvalutato della lega). Diventa la sfida del ritorno e del nuovo gravissimo infortunio di Damian Lillard, la rottura del tendine d’Achille sinistro. Finisce con il confronto spiacevole (e francamente di pessimo gusto) tra il padre dello stesso Haliburton e Giannis Antetokounmpo. Ma rimaniamo per ora sulla cronaca sportiva.
Gara-1 e Gara-2 sono abbastanza simili e abbastanza senza storia. I Pacers iniziano travolgendo Milwaukee per 117-98. Tyrese Haliburton orchestra il gioco con 10 punti e 12 assist, mentre Pascal Siakam brilla con 25 punti e 7 rimbalzi. I Bucks, ancora orfani di un Damian Lillard, si affidano all’unico in grado di buttare la palla a spicchi nel nylon: Giannis Antetokounmpo (36 punti, 12 rimbalzi). Un parziale di 30-12 nel secondo quarto dà ai Pacers un vantaggio di 28 punti, mai recuperato.
Gara-2 è u po’ più combattuta. Torna Lillard (anche se ha impatto pressoché nullo), si sveglia Bobby Portis (28 punti) e Giannis continua con gli straordinari (34 punti e 18 rimbalzi). Il quintetto di Indiana va tutot in doppia cifra. Tyrese Haliburton (21 punti, 12 assist, 5 rimbalzi) guida un attacco bilanciato con sei Pacers in doppia cifra, tra cui Siakam (24 punti) e Andrew Nembhard (17 punti). Milwaukee rimonta un -15 nel quarto quarto. Due triple consecutive dei Pacers chiudono la porta in faccia. A fine partita, un accenno di tensione tra Haliburton e Lillard. Non corre buon sangue, ancora meno se c’è di mezzo la reputazione di Hali (che la votazione come most overrated non l’ha di certo presa benissimo).
Si va a Milwaukee e il ritmo cambia. Lillard rimane spento, Giannis rimane infuocato (per lui 37 puti e 12 rimbalzi). Accanto a lui il terzo uomo a sorpresa, un Gary Trent che tira fuori dal cappello 37 punti con un 9/13 dall’arco. I Pacers, che pure avevano toccato il +16, crollano sotto l’ascia degli errori dalla distanza (13/41 da tre). I Bucks vincono 117-101.
E poi? E poi qualcosa scatta di nuovo. Indiana inizia Gara-4 con il piglio giusto, Lillard si fa male dopo solo 6 minuti e lascia a Giannis l’unico aiuto di Kevin Porter Jr. Antetokounmpo ne piazza comunque 28 con 15 rimbalzi, ma Indiana è troppo forte. Tyrese Haliburton (17 punti, 15 assist, 8 rimbalzi) dirige un attacco stellare (50/83 dal campo, 60%). Myles Turner domina con 23 punti e 4 stoppate, Andrew Nembhard aggiunge 20 punti: 129-103.
E si arriva a Gara-5. A uno dei finali più assurdi degli ultimi anni, con i Bucks che gettano l’overtime bruciando 8 punti in meno di 40 secondi. Con un game-winner proprio del most overrated Tyrese Haliburton (26 punti, 10 assist, 5 rimbalzi). Con un Gary Trent Jr. (33 punti) ai limiti del commovente ma che perde proprio il pallone più sanguinoso di tutti. Con – ancora – Antetokounmpo chiude con una tripla-doppia monstre (30 punti, 20 rimbalzi, 13 assist).
E soprattutto con quella assurda, inutile, incomprensibile sceneggiata dopo l’ultima sirena. Con quegli sfottò inutili del padre di Haliburton in faccia a Giannis (“This is what we fucking do“). Con la rabbia e la reazione del greco, che finisce per prendere per il collo Bennedict Mathurin. E poi le scuse di Haliburton padre e Haliburton figlio.
Perché ciò che è basket deve rimanere sul parquet, ciò che non lo è deve rimanerne fuori. Perché il trash talking è una cosa, la mancanza di rispetto da uno che nemmeno ha giocato è un’altra. E poi la ciliegina sulla torta, l’assurdità delle assurdità: il tweet di Shams Charania, l’insider migliore dell’intera NBA, che comunica che i padre di Haliburton non assisterà alle prossime partite del figlio dallo stadio. Manco fosse una star della lega che si merita una notizia tutta per sé…
23 anni, folgorato fin da bambino dal mondo americano dei giganti NBA e dei mostri NFL, tifoso scatenato dei Miami Heat e – vien male a dirlo – dei Cincinnati Bengals. Molto desideroso di assomigliare a un Giannis, basterebbe anche un Herro, ma condannato da madre natura ad essere un Muggsy Bogues, per di più scarso.

