Attesissima è giunta la notte di Detroit, che ha condotto al completamento del primo round del draft 2024. Una serata emozionante, magari poco sorprendente per certi versi, data la prevedibilità delle prime quattro chiamate, nonché impensabile per alcune delle situazioni che si sono sviluppate, con una in particolare a lasciare i fan letteralmente a bocca aperta. Doveva essere il draft dei quarterback e lo è stato, forte di una classe che potrebbe cambiare la faccia della lega per il prossimo decennio, come anche rivelarsi una pompata delusione: in fondo, in passato, è già accaduto anche questo. Le considerazioni opportune andranno fatte tra non meno di quattro o cinque stagioni, quando i veri valori di questi ragazzi saranno adeguatamente stati comprovati dalle prestazioni in campo.

Per il momento, sulla carta, c’è di che eccitarsi, soprattutto per i Chicago Bears, emersi quali chiari vincitori del primo turno di scelta. Di Caleb Williams sapevamo praticamente già tutto, anche che sarebbe stato sicuramente chiamato alla prima assoluta, anzitutto perché non sussisteva motivazione alcuna affinché potesse accadere il contrario: Ryan Poles ha scelto il regista del futuro, incaricandolo di risollevare per lunghi tempi le sorti di una franchigia che da quattordici stagioni non vince una partita di playoff, assicurandosi un playmaker che porta nelle tasche delle potenzialità magiche, di quelle che potrebbero fare la felicità degli affezionatissimi fan locali nel lungo termine.

I Bears hanno attuato una logica di mercato sensata, ben sapendo di possedere una difesa in rampa di lancio e di dover operare soprattutto nella fase offensiva del gioco, costruendo il supporting cast in maniera consona alla gestione della pressione che il rookie dovrà sopportare, iniettando una notevole quantità di talento al reparto. La bella, anzi splendida, notizia, è che Chicago potrà nel contempo schierare un trio di ricevitori elettrizzante, comprensivo di D.J. Moore, rubato ai Panthers in compagnia proprio della first overall di quest’anno, il nuovo arrivato Keenan Allen, magari attempato ma sicurezza di livello cementizio, et voilà, la nona selezione assoluta, quel Rome Odunze che ha trascinato l’università di Washington alla finalissima collegiale grazie a giocate ad alto voltaggio, un ricevitore che può giocare qualsiasi posizione e procurare danni irreparabili alle difese, soprattutto in profondità, guarda caso, settore nel quale pure Caleb Williams non se la cava affatto male. Dopo secoli di povertà offensiva, e con la prospettiva di un nuovo impianto a pochi passi dal Soldier Field, nella Windy City sembra giunto il momento di divertirsi seriamente.

Ci si divertirà anche a Washington, e non poco, a patto che le divinità del football decidano di fornire a Jayden Daniels un fato diverso rispetto a quello sportivamente tragico di Robert Griffin III. In fondo, è stato ai tempi di quest’ultimo che i Commanders credevano d’aver reperito una risposta per un ruolo rimasto scoperto da più di trent’anni, sperando di porre fine a una girandola che ha visto decine e decine di tentativi di ri-sollevamento della posizione senza mai ricevere una risposta concreta, tantomeno definitiva. C’è da salivare al pensiero dell’applicazione delle filosofie di Kliff Kingsbury sulle qualità atletiche di Daniels, che come Griffin è stato un Heisman Trophy, con parecchie possibilità di donare quella tanto ricercata dimensione dinamica a un attacco letteralmente asfittico. Nella capitale degli Stati Uniti c’è finalmente aria di speranza, il fantasma della vecchia proprietà è distante, la nuova era è ufficialmente al via, e perdere, alla fine, è risultato conveniente per tutti, eccetto che per Ron Rivera ed Eric Bienemy.

Se Williams e Daniels paiono destinati a essere titolari sin dalla prima settimana di gioco, altrettanto non si può dire per Drake Maye, che di questo lotto di passatori è senza dubbio quello che possiede i margini di miglioramento più ampi. Non a caso i Patriots hanno firmato Jacoby Brissett per un anno, con l’idea di erigere il ponte che costituirà il collegamento tra la fine dell’epoca-Belichick e il principio dell’esperienza-Mayo, con un possibile nuovo franchise qb all’orizzonte. Brissett se la caverà, bene o male ha sempre svolto diligentemente il suo lavoro di backup, per poi cedere il posto a un prospetto fisicamente fatto e finito per giocare nei professionisti, dotato di struttura e mobilità ideali, attrezzato di ottimale talento, tuttavia con diversi aspetti del gioco da affinare. Qualora dovesse dimostrarsi all’altezza di questa chiamata, New England potrebbe tornare a breve nel giro che conta, ma non prima di aver riempito tutti i buchi di un roster che di certo non può proclamarsi sistemato solamente con l’avvento del nuovo quarterback proveniente da North Carolina, per il quale i Pats hanno resistito a tutti i tentativi di trattativa intrapresi dalle numerose altre squadre impegnate a cercare una soluzione in regia.

E’ pur sempre la posizione più importante del gioco, ma non per questo la decisione degli Atlanta Falcons è risultata meno clamorosa rispetto al preventivato. Il boom del primo giro è stato Michael Penix, discusso prospetto che a Washington ha effettuato un numero di big play non inferiore a Odunze, un quarterback che rispetto ai colleghi aveva profuso un maggior numero di dubbi, in particolare per la sua storia infortunistica, nonché per un’età non altrettanto verde nei confronti dei pari ruolo. Semi-impossibile da pronosticare alla 8, Penix rappresenta l’ennesima mossa esclamativa dei Falcons, che non stanno certo seguendo una strategia paziente e necessitano di vincere adesso, dopo aver accumulato talento offensivo a profusione approfittando di una Nfc South non certo competitiva. Tutto coerente, ci mancherebbe, e il rischio che Penix fosse andato ai Raiders cinque posizioni più in là era praticamente una certezza, ma pensarlo ad Atlanta, che ha appena riempito il conto corrente di Kirk Cousins di una quantità di verdoni in grado di soddisfare tre generazioni, crea più dubbi che altro. Anzitutto perché i Falcons avevano esigenze difensive molto più urgenti; in secondo luogo perché Cousins, al di là dei suoi 35 anni, potrebbe giocare tranquillamente per altri quattro se in salute, chiudendo il posto a un giocatore che di primavere ne ha 24, e rischia di non essere titolare nemmeno a 26. Per essere una polizza assicurativa, l’ottava scelta assoluta sembra un peso decisamente eccessivo da pagare.

La disperazione per trovare una soluzione competente tra i quarterback disponibili ha raggiunto, come sempre, livelli esagerati, tanto per la pratica-Penix tanto per la scelta di Bo Nix alla dodicesima assoluta, posizione nella quale Denver ha deciso di investire le sue prospettive nel settore. Per una franchigia che aveva sacrificato ingenti risorse per Russell Wilson, recuperare qualche scelta in trade down non sarebbe stata un’idea malvagia, e per le valutazioni ricevute da Nix dagli esperti del settore, le possibilità di trovarlo libero a fine primo giro o addirittura al secondo, non erano poi così scarse. Sean Payton conosce una cosa o due su attacchi e quarterback, pertanto avrà sicuramente eseguito le sue valutazioni a dovere, ma i Broncos avrebbero tranquillamente potuto accumulare nuove scelte trattando con qualche partner desideroso di salire; a freddo sembra la classica decisione data dalla mancanza di alternative, poi magari se ne ricaverà un nuovo Drew Brees e daremo al buon Sean i fiori che merita.

Tutto come previsto per i Cardinals, i quali hanno dato il via alle danze dei wide receiver assicurandosi il talento di Marvin Harrison Jr. alla 4. Seduto su un divano, da qualche parte, con l’attenzione a mille, Kyler Murray avrà senz’altro sorriso, ritrovandosi un compagno di squadra cui rivolgersi nei momenti di maggior bisogno, quando in passato Arizona non è riuscita a muovere le catene, tra la sfortuna della rottura di un legamento e la consapevolezza che la buona squadra vista in campo qualche anno fa, non c’è sostanzialmente più. Anche qui più fumo magico che altro, nel senso che nemmeno i Cards si sono scomodati per lasciare il posto a un’offerente irrinunciabile di qualcun altro, una strategia assimilata pure dai Chargers, tra i più accreditati a scendere, i quali hanno invece preferito infierire il colpo gobbo ai Titans, che attendevano il loro prossimo left tackle a braccia aperte, convinti che Harbaugh si prendesse qualcuno già capace di giocare a destra. Joe Alt è invece divenuto la prima mossa della nuova dirigenza di L.A., che si prende così il miglior uomo di linea disponibile tenendo fede alla filosofia del buon vecchio Jim, il quale è sempre partito dalle trincee per edificare ogni sua squadra vincente. Rashawn Slater resterà tranquillamente al suo posto, Alt se ne andrà a destra pur non avendoci giocato molto, ma i presupposti per gettare ottime fondamenta sono tutte qui. Tennessee, alla 7, si è quindi dovuta accontentare di JC Latham, il quale è invece una tackle destro naturale, e non il protettore del lato cieco che tanto serviva alla formazione. Il talento c’è, il fisco massiccio pure, la cattiveria agonistica non difetta, il fit effettivo rimane in discussione.

Nessun fuoco pirotecnico da parte dei Vikings, i quali non hanno dovuto scavalcare i Giants – più che felici di prendersi Malik Nabers, per molto il vero wide receiver numero uno del draft – e che hanno avuto il loro J.J. McCarthy come da pronostici, ma senza eseguire tripli salti mortali: è bastato collaborare con i Jets, salire di una posizione giusto per battere la possibile concorrenza di Broncos e/o Raiders, e portare a casa la pagnotta per cominciare il dopo-Cousins. L’approdo dell’ex-Michigan in porpora è stato tra i segreti peggio nascosti di tutta la manifestazione, trascinandosi la sensazione che Minnesota avrebbe fatto qualsiasi cosa per ottenerne i servigi. Le munizioni dei Vikes, in realtà, sono servite a un altro scopo, ovvero l’assalto a Dallas Turner, imprevedibilmente sceso alla 17, consentendo di inserire un giovane sostituto nel ruolo di Danielle Hunter, perso in free agency, ampliando una rotazione già interessante, che comprende i nuovi arrivi Van Ginkel e Greenard. Con il classico doppio colpo attacco-difesa al primo giro (una versione minore di quello che hanno fatto i Texans un anno fa) i Vikings si sono assicurati la connessione J.J to J.J., oltre ad aver sistemato una posizione difensiva sulla quale hanno investito un capitale importantissimo, essendosi privati di parecchie scelte del 2025 per salire a prendere Turner, il quale vivrà senz’altro la pressione del prezzo elargito ai Jaguars per eseguire il balzo.

Ingente, come spesso accade, la richiesta di uomini di linea in formato mammuth al fine di ancorare trincee che hanno reso in maniera del tutto insoddisfacente. Già detto di Alt e Latham, ha colpito la decisione dei Jets di investire su Olu Fashanu, il quale va a coprire una lacuna più volte latente per i biancoverdi, che nel contempo fornisce al roster un giocatore che difficilmente troverà spazio nel 2024, a meno di infortuni per Tyron Smith e Morgan Moses, i quali, in ogni caso, si trovano dalla parte sfavorevole dei trenta. Meglio, da un lato, perché Fashanu ancora un pò grezzotto lo è, per quanto l’investimento sia di alta portata per un giocatore che alla prima partita guarderà sicuramente dalla linea laterale. La strada era invece obbligata per i Saints, titolari di una situazione a dir poco precaria, i quali si sono visti miracolosamente cadere tra le braccia Taliese Fuaga, che per molti alla 14 doveva essere già sparito da un pò, potendo quindi gettare un pilastro sul ruolo di tackle destro, posizione ricoperta con diligenza a Oregon State, colmando quella che potrebbe rivelarsi la perdita di Ryan Ramczyk per via dei gravi problemi che il medesimo sta patendo per entrambe le ginocchia. Amarius Sims ha proporzioni mostruose, ideale per ciò che i Bengals hanno spesso cercato nei loro uomini di linea, in particolare arrivando dall’ennesimo infortunio grave di Joe Burrow, che se non lo si protegge oggi, mai avrà la longevità sperata per tornare a mirare al Super Bowl.

La stessa linea di pensiero, con caratteristiche fisiche tuttavia differenti, l’hanno seguita gli Steelers, ben consci di non possedere una linea offensiva d’élite, che sperano di aver adeguatamente rimpinzato con un il giocatore più versatile del lotto, Troy Fautanu, il quale si è sempre schierato da tackle con possibilità di essere pure guardia o centro, queste ultime posizioni interne che a Pittsburgh debbono ricoprire con cortese sollecitudine. Simile è stato pure il processo decisionale dei Buccaneers, i quali sperano di aver trovato in Graham Barton il centro in grado di sostituire il rimpianto Ryan Jensen, mentre a Green Bay si cercherà di fare spazio a Jordan Morgan, prima scelta offensiva di Gutekunst dall’era glaciale, se non altro giustificata dalle numerose defezioni subite dai Packers nel fronte a cinque. Tutto come da copione per i Cowboys, scesi di qualche gradino per trovare ugualmente disponibile il prediletto Tyler Guyton, prossimo sostituto di Tyron Smith – se impara a giocare bene sul lato sinistro – rinsaldando l’affezione di Jerry Jones per i giocatori di Oklahoma. Tra tutti, Raiders e Seahawks sono rimasti a bocca asciutta: i primi sono andati di miglior giocatore disponibile, accaparrandosi niente meno che Brock Bowers, altra sorpresa ma talento di primo livello per il passing game di Las Vegas; i secondi hanno preferito Byron Murphy II alla linea offensiva, portando nella Emerald City quello che era comunque considerato il miglior defensive tackle disponibile.

Ci sono volute quindici selezioni, ma alla fine anche la difesa ha fatto parte del gioco. I Colts hanno dato il via alle danze con Laiatu Latu, discusso edge da UCLA dal talento cristallino, un potenziale ragazzo da top ten sul quale numerose squadre hanno posto una croce sopra, per via dei problemi al collo che l’avevano condotto al provvisorio ritiro dal football collegiale. Potrebbe essere una scommessa vinta, perché un pass rusher del genere potrebbe finalmente far diminuire l’eccessivo numero di giocate che Indianapolis tende a subire, anche se c’è chi sostiene che manchi solo un ultimo infortunio grave prima di veder terminare anzitempo una carriera promettente, con il sincero augurio che ciò mai possa capitare. L’unico dubbio, semmai, risiede nell’aver soppesato con leggerezza Terrion Arnold, che alle secondarie dei Colts avrebbe dato una mano enorme, finito invece per essere l’idolo della folla locale, preso dai Lions alla 24 con tanto di trade-up, in quello che sembra un affare colossale per le retrovie di Dan Campbell.

La provenienza da Toledo non ha impedito a Quinyon Mitchell di andarsene prevedibilmente a Philadelphia, laddove l’età dei corner è un fattore e la necessità di una velocità come la sua impellente; Nate Wiggins è altresì stato tra le selezioni più sorprendenti, perché i Ravens se lo sono ritrovato in braccio e vi si sono avventati sopra senza esitazione, quando si pensava che avrebbe fatto estremamente comodo a Jacksonville, scesa solamente per ritrovare comunque l’obiettivo primario, Bryan Thomas Jr., il quale andrà ad ampliare il ventaglio di ricevitori a disposizione di Trevor Lawrence. Difesa è altresì stata la parola d’ordine di Rams e Dolphins: Los Angeles tenterà di colmare l’insostituibile vuoto lasciato da Donald con Jared Verse, tra i pass rusher più forti dello scorso anno collegiale che potrà essere abbinato a Kobie Turner e Byron Young in un front seven del tutto ringiovanito; Miami ha optato per Chop Robinson nonostante la poca produttività universitaria, rimandando il problema linea offensiva ai round successivi.

In chiusura di serata, non si poteva fare a meno di qualche scommessa: Arizona, con la seconda selezione nel day 1, ha puntato su Darius Robinson, edge molto forte fisicamente ma leggermente mono-dimensionale per il professionismo, dove lo attende un lavoro di ampliamento tecnico di non poco conto; sorpresa per i Niners, che hanno privilegiato l’aggiunta di Ricky Pearsall – dato al secondo round – per sistemare l’ingarbugliata batteria dei ricevitori (Aiyuk e Jennings sono all’utlimo anno contrattuale) accantonando la linea offensiva; il nuovo giocattolo di Patrick Mahomes si chiama invece Xavier Worthy e non Adonai Mitchell – che sarà probabilmente tra i più gettonati del secondo giro e fungerà da novello DeSean Jackson (non ci spingiamo fino a Tyreek Hill, vista la sua unicità atletica), cercando di donare nuovamente una dimensione profonda all’attacco dei bi-campioni in carica; infine Carolina è salita escludendo così Buffalo dal primo giro, per aggiungere bersagli a Bryce Young, chiamando uno Xavier Legette da molti non previsto come first rounder.

Appuntamento a questa notte per i giri 2 e 3, con tantissimi giocatori interessanti ancora in attesa di sentire squillare il cellulare, e tirare un sospiro di sollievo!

2 thoughts on “NFL Draft 2024: il sunto della prima notte di scelte

  1. Ed eccoci a commentare un’altra follia di Atlanta, dopo il RB dello scorso anno.
    Follia perché prima dà 180 milioni e 4 anni di contratto a Cousins, poi alla 8 chiama un altro QB titolare, che invece farà almeno due anni di panchina (e considerando che fa adesso 24 anni…). Il tutto facendo risentire lo stesso Cousins, informato della chiamata pochi minuti prima, perché gli era stato garantito che il draft sarebbe stato sfruttato per rafforzare la difesa. Complimenti al front office.
    E pure a New England che per soli 8 milioni si porta a casa un perfetto QB ponte come Brissett. Ossia fa quello che avrebbe dovuto fare ATL se l’idea era quella di investire su un QB alla 8.
    Adesso ci manca solo un WR al secondo giro.

  2. Non capisco i Jets. Aaron Rodgers trova sempre dirigenze che non lo aiutano. Passare su Bowers mi pare incomprensibile. Vedo bene Bears e Vikings

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