Da un punto di vista strettamente personale questo è il mio speravo de morì prima.
La “fine” è il denominatore comune di ogni cosa su questo pianeta. Non ho voglia e mezzi per fare filosofia spiccia e rigurgitare qualche considerazione banale sulla morte, soprattutto perché qui non è morto assolutamente nessuno: prima o poi questo momento sarebbe dovuto arrivare.
Chuck Noll non è morto sulla panchina degli Steelers. Nemmeno Tom Landry e Don Shula su quelle di Cowboys e Dolphins. Figuratevi che a Paul Brown è stato dato il benservito dai Cleveland Browns, franchigia a cui oltre che a sette titoli ha pure dato il nome.
Per quanto fossi preparato – e in un certo senso ci sperassi -, non sono pronto. Perciò vi chiedo di perdonarmi, ma andrò a braccio guidato dall’emotività.

Bill Belichick non è il mio allenatore di football preferito, è la mia ossessione.
Pochi istanti dopo che ho deciso di tifare per i Baltimore Ravens, Bill Belichick e i suoi maledetti New England Patriots sono diventati istantaneamente le mie nemesi. Maturando – spero – e decidendo di trasformare il football americano in qualcosa di ben più strutturato rispetto a un hobby, l’odio si è trasformato in rispetto che, a sua volta, è sfociato nella più devota ammirazione.
Se non ve ne siete resi conto adoro Bill Belichick e, nel corso degli ultimi anni, ho sempre e comunque provato a giustificarlo e a proteggerlo – come ne avesse bisogno.

Quando a novembre ho avuto l’opportunità di vederlo mugugnare dal vivo risposte a mezza bocca nella sala stampa del Deutsche Bank Park di Francoforte dopo la sconfitta contro gli Indianapolis Colts, non ero al settimo cielo come mi sarei aspettato. Sapete cosa dicono, mai incontrare i propri miti: non era per quello.
Non era la mesta cacofonia il problema, tutt’altro, posso dire di aver vissuto “sulla mia pelle” l’esperienza Belichick definitiva, ossia lui che lottava con i propri demoni per non mandare a quel paese un manipolo di giornalisti più o meno veri che provavano goffamente a chiedergli se Mac Jones fosse arrivato al capolinea: malgrado la poca professionalità, quel momento me lo terrò per sempre stretto.
Il problema risiedeva tutto nel fatto che, per una volta, non avesse risposte.

Se avete aggrottato il sopracciglio vi capisco: come fa ad avere risposte un individuo che in decenni di onorato servizio non ha mai risposto veramente a una singola domanda postagli dalla stampa?
Dietro le sue non risposte – chiamiamole così – c’era un uomo già al lavoro per ciò che lo attendeva la settimana successiva, una persona totalmente proiettata sul futuro prossimo che, in quanto tale, processava il presente producendo spam verbale ché non c’era tempo da perdere in sofismi, ad attenderlo al varco c’erano i Bengals di turno.
Ecco, a Francoforte non ho visto il Belichick che ho imparato ad amare, ma un allenatore per la prima volta da decenni davvero senza risposte: Belichick senza un piano? In quella notte di riflessione e NFL Redzone in una location diversa da quella che tanto amo ho avuto modo di venire a patti con l’eresia: un cambio di scenario sarebbe stata la miglior scelta possibile.
Sia per lui che per i Patriots.

L’assenza di contromisure è stata il leitmotiv dello sciagurato 2023 dei suoi New England Patriots. Ogni tentativo di arginare il disastro cadeva inevitabilmente nel vuoto. Quella che per decenni è stata la squadra più smaliziata e disciplinata della lega aveva cominciato sistematicamente a tirarsi la zappa sui piedi.
Errori in attacco, errori in difesa ed errori negli special team rinnegavano settimanalmente il credo tattico e filosofico di Belichick, quella che un tempo era stata la sua macchina perfetta non solo aveva smesso di essere perfetta, ma non era più nemmeno sua. Il suo pensiero è stato forgiato da L’arte della guerra di Sun Tzu che fra le tante citazioni ce ne fornisce una piuttosto appropriata, «la guerra si fonda sull’inganno»: questi Patriots stavano prima di tutto ingannando sé stessi credendo di essere qualcosa che hanno smesso di essere da anni.

Hanno perso due partite consecutive con il punteggio cumulativo di 72 a 3.
A un certo punto si sono superati perdendone tre subendo complessivamente 26 punti: nemmeno un touchdown e un piazzato a partita.
Impensabile che una squadra di Belichick perda partite in questo modo, eppure è successo. Quella vista fino a pochi giorni fa non era la più la squadra di Belichick.
Se non altro trovo appropriato e buffo che l’ultima partita della sua leggendaria avventura ai Patriots sia coincisa con una sconfitta contro i New York Jets, la sua vittima prediletta sotto diversi punti di vista.

Doveva finire ed è finita.
È fondamentale mettere in risalto che Kraft abbia garantito a Belichick lo stesso trattamento riservato a Brady liberandolo dal contratto in modo da impedire alla sua futura squadra di sacrificare scelte al draft per portarlo fuori dal Massachusetts. Gli ha semplificato notevolmente la prossima mossa.
Belichick e Kraft sono persone profondamente diverse, ma commetteremmo un errore a definire conflittuale il loro rapporto. Vedete, il tempo logora i rapporti e immagino che avere a che fare con Belichick ogni giorno sia davvero estenuante. Per un proprietario desideroso di essere coinvolto e tenuto nel loop scontrarsi quotidianamente contro un muro di silenzio e stoicismo deve essere frustrante, così come non ricevere il suo saluto se lo si incrocia nei corridoi del centro di allenamenti nel giorno sbagliato.
Tuttavia, non fossero andati d’accordo non sarebbero stati insieme così a lungo.

Lo stesso identico discorso vale pure per Brady. Di nuovo, il tempo logora i rapporti. Essere universalmente considerato il più grande di tutti i tempi e vedere il proprio allenatore continuare a trattarti come fossi un giocatore qualunque deve essere frustrante. Non avere un input nelle decisioni sul roster deve essere frustrante, soprattutto dopo aver sistematicamente trasformato onesti mestieranti in superstar durante l’ennesima cavalcata al titolo.
Il pessimismo esistenziale di Belichick ha finito per esasperare uno che di motivi per sorridere ne ha sempre avuti tanti.

Le dimensioni dell’ego di Belichick sono importanti, e sono generoso. Dovete capire che prima di arrivare ai Patriots la sua carriera come allenatore aveva i giorni contati. Il fallimento ai Cleveland Browns era stato così spettacolarmente catastrofico che solamente un folle poteva dargli una seconda opportunità. L’opinione comune era che non avesse le capacità relazionali per essere un allenatore. Come defensive coordinator, invece, avrebbe trovato spazio ovunque ché a vivisezionare film e a confezionare gameplan per sabotare l’attacco avversario non ha mai avuto rivali.
Un paio di scelte tanto coraggiose quanto fortunate e la volontà di mettersi in discussione come essere umano non solo gli hanno permesso di riscattare le delusioni in Ohio, ma pure di togliersi giusto un paio di soddisfazioni.

Il coraggio è il filo rosso che percorre trasversalmente questi ventiquattro anni.
Ha avuto coraggio a insistere sullo sconosciuto Tom Brady relegando in panchina un Drew Bledsoe che pochi mesi prima aveva firmato il contratto più oneroso nella storia della NFL: quanto sprovveduto doveva essere un allenatore per relegare in panchina il franchise quarterback per un perfetto sconosciuto? Soprattutto dopo aver concluso il 2000 con la miseria di cinque vittorie.
Ha avuto coraggio a sfidare il regolamento fino a violarlo in più occasioni. Che poi, in tutta sincerità, non ha violato un bel niente, ha semplicemente sfruttato a proprio vantaggio zone grigie del regolamento: quella dei Patriots non è diventata una dinastia per due videoriprese o per palloni leggermente sgonfi.
Ha avuto coraggio a concentrarsi su Cincinnati isolando sempre e comunque il rumore esterno in modo da controllare ciò che poteva controllare, ossia il prossimo impegno sul calendario.
Ha avuto coraggio a scommettere contro Brady e a lasciarlo andare. Con il senno di poi potremmo parlare di follia, ma il coraggio è prerogativa dei folli.
Ha avuto coraggio ad accettare il fallimento e il conseguente divorzio dalla franchigia di cui era diventato il volto.

La relazione fra Belichick e Brady era simbiotica, New England si è elevata a dinastia grazie a questa relazione. Nel momento in cui è andato via Brady è crollato tutto. Non possiamo però commettere l’errore di elevare il Super Bowl vinto da Brady a Tampa Bay a prova inconfutabile del fatto che non avesse bisogno del suo allenatore per vincere: è Brady il primo ad ammetterlo, non mi sto inventando niente.

Free agency e draft sono stati concepiti per impedire la creazione di dinastie, per ridistribuire la competitività e stroncare sul nascere quanto fatto da quei due durante il loro ventennio di convivenza. Sarebbe semplicistico attribuire al solo Belichick la paternità della Patriots’ Way, capolavoro del binomio Belichick-Brady più di quanto lo possano essere stati i sei anelli: il modus operandi di New England funzionava grazie alla loro simbiosi, non grazie all’acume tattico di Belichick e al mix di leadership e brillantezza storica di Brady.
Negli ultimi anni, infatti, senza Brady è crollato tutto. Il solo Belichick non è bastato.
Oltre che a logorare le relazioni, il tempo ha il potere di farcele rivalutare. Finalmente “liberi”, sia Belichick che Brady hanno avuto modo di constatare quanto l’uno avesse bisogno dell’altro e di apprezzare da una nuova prospettiva tutti quegli anni trascorsi assieme.

Con l’annuncio di giovedì si è chiuso definitivamente un capitolo che ha ridefinito la National Football League. Ripeto, è inconcepibile che, in un’era in cui i roster sono perennemente stravolti da free agency e draft, una squadra riesca a dominare per vent’anni una division, una conference e una lega intera.
Per decenni, infatti, la strada per il Super Bowl è passata inevitabilmente da Foxborough. Per ambire anche solo al Lombardi bisognava prima di tutto trovare un modo per battere i New England Patriots.

L’asettica razionalità di Belichick ha trasformato un ragazzo invidioso in un adulto adorante. Adoro Bill Belichick, adoro il suo modo di fare apparentemente burbero, adoro il suo rispetto religioso per la storia di questa lega e di questo gioco e, soprattutto, adoro ciò che ha dato al football americano in tutti questi anni.
Insieme a Brady ha ridefinito il concetto di possibile riadattandolo alle sue esigenze così bene da spingere alcuni a pensare che siano riusciti a vincere così tanto e così spesso solo “barando”. È quanto di più umano possa esserci trovare spiegazioni semplici a fenomeni terribilmente complessi.

Non ho citato numeri e record perché oramai li sapete a menadito. Nessun allenatore ha preso parte ad altrettanti Super Bowl. Nessun allenatore ne ha vinto un numero maggiore. Nessun allenatore ha collezionato più vittorie ai playoff. Nessun allenatore si è portato a casa più titoli divisionali.
Ma non può essere questo il punto.
Ciò che più mi ha impressionato è il percorso di crescita umana che da defensive coordinator con enormi limiti relazionali lo ha portato a diventare quello che ai miei occhi è il miglior allenatore di tutti i tempi. Un despota senza cuore non può vincere così tanto, così a lungo: la tirannia in nessun caso può produrre risultati simili.

Vederlo arrancare nei bassifondi della AFC mi faceva male. Non sono mai riuscito ad abituarmi all’idea dei New England Patriots di Bill Belichick come squadra materasso. La nuova “incompetenza” dei Patriots mi disorientava e alla lunga il bisogno di ricostruire si è imposto sulla volontà di portare avanti qualcosa che era diventato incompleto per definizione.
Probabilmente il record all-time di vittorie per un allenatore lo raggiungerà alla guida di un’altra squadra. Sarà dura metabolizzarlo indossare un colore diverso dal navy dei Patriots, ma va bene così, l’importante era porre fine a un’inerzia che aveva snaturato sia lui che i Patriots.

Credo che la sua creatura sia stata lasciata in buone mani, anche se pretendere che Jerod Mayo ristabilisca la supremazia della Patriots’ Way non ha alcun senso dato che questa è ufficialmente defunta. No, non sto in alcun modo dicendo che New England non riempirà mai più di ditate un Lombardi, ma la Patriots’ Way non può esistere senza Tom Brady e Bill Belichick.
Sarebbe in ogni caso ingiusto pretendere che un allenatore alle prime armi resusciti la più longeva dinastia nella storia della disciplina, perché alla fine i Patriots sono stati proprio questo, la più grande dinastia nella storia della National Football League: hanno dominato così a lungo che potremmo dividerla e creare due dinastie.

Devo concludere con un ringraziamento: grazie Bill.
Grazie per avermi accompagnato per mano in un percorso che mi ha permesso di apprezzare la grandezza indipendentemente dal colore della divisa. Il me quindicenne avrebbe vomitato all’idea di sentirsi inconsolabilmente spaesato per il tuo divorzio con i New England Patriots, ma fortunatamente hai perseverato con la tua opera di distruzione fino a costringermi ad apprezzarti, celebrare la tua unicità, i tuoi traguardi e il tuo posto nella storia.
Solo una domanda: ora on to cosa?

7 thoughts on “In NFL si è chiusa un’era: Bill Belichick non è più l’allenatore dei New England Patriots

  1. Lo dici a me che neanche ho deciso di tifare Seahawks e ho dovuto fare i conti con IL Superbowl

  2. In ogni caso la conferenza di presentazione di belichick riassume perfettamente il personaggio in quel momento, come hai detto tu ripescato dalle macerie e preso dal doversi presentare a dovere. Oggi dovesse andare in un altra squadra direbbe si e no tre parole. Età e ego.
    Per riagganciarmi ad un altra cosa che hai scritto, con Brady mi è successo la stessa cosa avvenuta con Djokovic: prima “odio” (sportivo non bastassero le virgolette), poi rispetto e infine consapevolezza di cosa si stava parlando e dei personaggi. TB lo sto scoprendo più adesso che si è ritirato. Penso che se qualcuno ti fa cambiare radicalmente idea sulla propria persona è per forza di cose un numero uno

  3. Da tifoso dei Patriots contentissimo che se ne sia andato (è stato licenziato, la storia dell’accordo è una cortesia nei suoi confronti) e veramente dispiaciuto per chi lo prenderà, non credo abbia molto mercato ma qualche franchigia alla canna del gas ci proverà, portandosi a casa tutta la sua corte dei miracoli fatta di parenti e lacchè vari, il figlio, Patricia, Judge, McDaniels…. tutta gente che ha fallito ovunque.
    Cercherà di trascinarsi ancora per due tre stagioni alla ricerca di quel benedetto record, se ce la fa, poi smetterà.

    I miei migliori e sinceri auguri a Mayo che eredita probabilmente il peggior roster della NFL.

  4. Articolo stupendo!

    Viviamo in un’epoca in cui tutti invocano il cambiamento, ma ammetto che a me i cambiamenti destabilizzano: vorrei che tutto restasse come è sempre stato. Immaginate il mio magone nel veder saltare Carroll e Belichick nel giro di 24 ore.

    Gli auguro il meglio, specie se dovesse andare in una squadra che non ha mai vinto nulla: vederlo vincere il “Super bowl” ai Chargers o ai Falcons sarebbe impagabile.

  5. Madonna che liberaZione. L’allenatore più antipatico del 21esimo secolo, pronto per la pensione, andrà finalmente a zavorrare il destino di qualche squadraccia invece di cedere al naturale destino di sparare briciole ai piccioni di Central Park. CoincidenZa karmica, pure quel Pete “Worst Call Ever” Carroll che gli ha così gentilmente regalato il superbowl 49 si ritrova a spasso e sperabilmente diretto verso un’ospiZio in Florida, dopo aver inchiodato per 10 anni di fila un’ottima squadra alla mediocrità più grigia, fra scelte al draft in nome dell’inclusività e gestione assurda delle free agencies.
    Addio Bill, e non molestare i piccioni se non capiranno i tuoi schemi.
    Oh, finalmente potrai mettere una camicia.

  6. Paga il fatto di non essersi evoluto, di non aver modernizzato il proprio football, in una Nfl in continuo cambiamento.
    Avrebbe dovuto prendere assistenti nuovi, confrontarsi con idee nuove, anzichè i soliti Judge, Patricia.. certe cose confesso di non averle capite, tipo far fare a Patricia l’offensive coordinator.
    Ha deluso anche come GM, non ricordo draft memorabili dei Patriots in questi anni, ad oggi la qualitá del roster è bassa.

  7. Odioso oltre ogni limite sicuramente, ma vincente come nessuno!
    Giusto mandarlo via, ormai ha fatto il suo tempo a Boston e …forse nell’intera NFL.
    Fossi in lui la finirei qui, ma non credo che lo farà sinceramente. Con la penuria di buoni coaches che c’è in giro, sicuramente qualcuno gli farà la corte (ho letto di interessamenti dei Falcons e forse dei Commanders).
    Il suo smisurato ego non ha potuto tenerlo a galla senza talento intorno e quindi ha fatto la fine di tutti gli allenatori: senza grandi giocatori, nessuno è un grande allenatore!
    E’ stato un grandissimo allenatore perchè ha sempre saputo sfruttare le sue stelle presenti nel roster (cosa non facile….), ma poi ha pensato di essere onnipotente e di poter da solo trasformare in oro tutto ciò che toccava come Re Mida: no Bill, non funziona così, se hai Mac Jones al posto di Brady, se hai TE normali e non come Gronkwosky, se hai ricavitori decenti ma non come Amendola o Edelman e se non hai grandi difensori…non sei nessuno!

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