Mi sento come un cantante che per mandare a casa felice il pubblico giura sul proprio onore di non aver mai suonato davanti a qualcosa di simile, ma concedetemelo: nel 2023 la NFC North potrebbe essere la division più interessante in assoluto.
In una primavera – circa – è cambiato praticamente tutto.
Aaron Rodgers è svernato a New York, i Minnesota Vikings potrebbero essere la squadra reduce da un campionato da tredici vittorie con più incognite di cui io abbia memoria, i Chicago Bears hanno finalmente una ragione per attendere con trepidazione l’inizio del campionato e in tutto ciò i Detroit Lions potrebbero essere i veri favoriti.
Troppe cose da digerire, andiamo con ordine.

Davanti a una squadra da tredici vittorie non ci dovrebbe essere molto da dire: il bello dei record NFL è proprio questo, sono così eloquenti che un numero incapsula migliaia di parole e gigabyte di giudizi.
Tuttavia definire sospetto il 13-4 con cui i Minnesota Vikings hanno concluso lo scorso campionato sarebbe un eufemismo. Stiamo pur sempre parlando di una squadra che in barba al magnifico record è stata capace di terminare la stagione con un differenziale punti negativo, -3. Una sciocchezza, per carità, ma comunque una statistica interessante da snocciolare.
Così come lo è il fatto che delle tredici vittorie undici siano arrivate con uno scarto inferiore/uguale a un possesso.

Come l’omonimo cavallo diventato allegoria di Massimiliano Allegri, Minnesota ha spesso e volentieri vinto limitandosi a mettere il musetto davanti. I Vikings sono una squadra perversa, sanno spingere fino al proprio limite le prime della classe e al contempo abbassarsi all’infimo livello delle squadre più umili che concorrono per la prima scelta al draft.
Sono terribilmente incompleti, soprattutto lungo il versante difensivo, ma possono comunque vantare potenziali fenomeni generazionali dei quali un giorno sentiremo discorsi ispirati scanditi adornati da una giacca dorata.
I Minnesota Vikings sono veramente strani.

Sul rendimento del reparto offensivo non ho particolari dubbi. Restano la squadra di Kirk Cousins, quindi gli alti e bassi saranno fisiologici, ma quando il tuo attacco può vantare Justin Jefferson non ha alcun senso dilungarsi in inutili speculazioni.
Jefferson, attualmente il miglior ricevitore della lega nonché Offensive Player of the Year in carica, quest’anno potrebbe essere più pericoloso che mai. A suo fianco non ci sarà più il leggendario – sì, è una leggenda dei Vikings – ma attempato Adam Thielen, ma il rookie Jordan Addison, selezionato appositamente per rendere la vita più facile a Jefferson.
Osborn è un giocatore veramente solido e Hockenson, malgrado qualche malanno nelle ultime settimane, sarà molto più a suo agio dopo aver trascorso un’intera offseason a Minneapolis.

La dipartita di Dalvin Cook non mi impensierisce più di tanto, sono convinto che Alexander Mattison sia in grado di rimpiazzarne la produzione. Forse meno esplosivo e spettacolare, ma ogni volta che è stato chiamato in causa il suo l’ha sempre fatto.
Il lavoro della linea d’attacco non è sicuramente ineccepibile, ma negli ultimi anni la situazione è sensibilmente migliorata e ora garantisce un rendimento perlopiù dignitoso.
Ripeto, con Cousins under center la volatilità è implicita, ma non è sicuramente questa la sorgente dei problemi.

La difesa dei Vikings nel 2022 è stata disastrosa, spesso inetta e troppe volte inadeguata.
Terzultimi per punti concessi, penultimi per yard concesse, assolutamente incapaci di opporsi ai giochi aerei avversari. Per provare a regalare un po’ di ordine al caos sono andati a ingaggiare Brian Flores, ma per quanto tatticamente brillante possa essere non credo sia in grado di fare miracoli.
È un peccato, soprattutto se si considera quanto ci abbiano investito – specialmente al draft – negli ultimi anni.

Hanno scommesso su Marcus Davenport e Byron Murphy in free agency, buonissimi giocatori che possono sicuramente contribuire in un reparto già affermato, ma difficilmente invertitori di tendenze.
Hanno perso Dalvin Tomlinson, Eric Kendricks, Patrick Peterson e Chandon Sullivan, veterani che non rientravano più nei loro piani. Fortunatamente sono stati in grado di raggiungere un accordo con Danielle Hunter e tenerselo stretto almeno per un’altra stagione, ma pure in questo caso ciò non mi riempie il cuore d’ottimismo.
Flores a parte, ciò che sto goffamente provando a dirvi è che in questo momento non me la sento di dire che siano tangibilmente migliorati rispetto all’anno scorso. Magari qualche giovane esplode, magari Hunter mette insieme un’annata da Defensive Player of the Year, magari la cura Flores sortisce effetti miracolosi.
Magari no.

Minnesota si trova in una posizione strana, hanno decisamente troppo talento per detonare il roster ma sono eccessivamente lacunosi per competere sul serio. Lo abbiamo visto negli scorsi playoff quando a smascherarli ci hanno pensato i New York Giants, non sicuramente il peggior inquisitore in cui potessero imbattersi.
Un minimo di regressione è da mettere in preventivo, è impensabile che replichino quanto fatto l’anno scorso uscendo inevitabilmente vincitori da ogni partita punto a punto.
Quali sono, dunque, le prospettive di questa squadra? Immagino una qualificazione ai playoff tutto sommato tranquilla… e poi?
E poi?

Uh, i Green Bay Packers.
Dopo anni di evitabile e avvilente tossicità il capitolo Aaron Rodgers è finalmente chiuso e, cari lettori e care lettrici, già questo è tanto. Ai miei occhi i Packers sono l’isola felice della NFL, il locus amoenus sfuggito alle ciniche logiche del tempo nel quale si continua a vivere il football come lo si viveva ai tempi di Vince Lombardi.
Sto chiaramente esagerando, ma col senno di poi mi sento totalmente a mio agio a ribadire l’ovvio, ossia che il braccio di ferro passivo-aggressivo fra Rodgers e la dirigenza abbia appesantito le ultime due stagioni fino al punto di renderle invivibili.

Jordan Love, dunque.
I parallelismi fra la sua vicenda e quella fra Rodgers e Favre sono tanti, anche se simili solo dopo un’occhiata superficiale. Sarebbe altresì superficiale aspettarsi che emuli quanto fatto da Rodgers una volta spodestato Favre.
Non ci è ancora dato sapere cosa sia veramente Jordan Love e, lasciatemelo dire, va bene così. Va bene così perché fra le cose per cui stiamo più attendendo l’inizio del campionato troviamo questa, scoprire finalmente l’identità di Jordan Love.
Mi sento di dire che dopo tre anni d’attesa si farà trovare sicuramente pronto, non può essere considerato “un rookie”, in questi anni ha sicuramente assimilato una quantità di conoscenze – ed esperienze – sufficienti per definirlo pronto per la vita da titolare.

L’attacco sarà molto simile a quello della scorsa stagione, anche se mi aspetto grandi passi in avanti da parte dei tantissimi giovani a cui Love indirizzerà il pallone.
Watson e Doubs potrebbero esplodere davanti ai nostri occhi e affermarsi immediatamente come una delle coppie di ricevitori più intriganti della lega, mentre i rookie Reed, Kraft e Dubose potrebbero giocare più snap di quanti ci si possa aspettare da un rookie qualsiasi.
La linea d’attacco dovrebbe essere finalmente sana e al completo e anche per questo mi aspetto ottime cose dal duo Jones-Dillon che, a onor del vero, negli ultimi anni quando è stato chiamato in causa con maggior convinzione ha sempre risposto presente.

Il reparto che mi porta a pensare – ma non a dire pubblicamente – che Green Bay possa serenamente competere per i playoff è però quello difensivo. A patto, ovviamente, che l’attacco dia il suo puntuale contributo.
Probabilmente è più un discorso algebrico che logico, ma sommando acriticamente gli investimenti compiuti durante le ultime primavere mi riesce difficile non esaltarmi.
Walker, Wyatt, Van Ness e Stokes sono tutti – più o meno – giovani ricolmi di potenziale che più snap giocheranno insieme più affineranno un’intesa che potrebbe diventare letale. Il tutto con veterani di primissima qualità come Alexander, Campbell, Gary e Clark sullo sfondo.
Vedete che sommando i vari addendi otteniamo un risultato potenzialmente magnifico? Joe Barry permettendo, ovviamente.

Che ve lo dico a fare, le incognite sono tantissime, a partire da quella under center: nel 2023 non vai da nessuna parte senza un buon quarterback, quindi affinché possano fare qualcosa sarà necessario che Love si dimostri essere perlomeno quello, un buon quarterback.
Ciò che gioca a loro favore è però la giustificata assenza d’aspettative nei loro confronti. Nessuno sa cosa sia giusto pretendere da questa squadra e, forse, questo basta a renderla pericolosa.
Oltre che a un quarterback, chiaramente.

Poi ci imbattiamo nei Detroit Lions nell’inedita veste di favoriti: ascoltatemi.
Guardando il roster è veramente difficile individuare punti deboli. Il reparto difensivo è ovviamente zeppo di incognite – non possiamo dimenticare che siano stati loro i principali responsabili dietro la mancata qualificazione agli ultimi playoff -, tuttavia mi sento sereno ad affermare che il front office abbia fatto il necessario per renderlo perlomeno competente.
Andiamo con ordine.

Possono vantare un quarterback che ha ritrovato l’efficienza dei giorni migliori, un gioco di corse rinnovato ma potenzialmente devastante, una batteria di ricevitori intrigante – anche se la squalifica di Jameson Williams proprio non ci voleva -, una linea d’attacco dominante e un reparto difensivo plausibilmente migliorato. Tutto stupendo, ma basterà?
Se ci basiamo esclusivamente sul valore tecnico della squadra credo proprio di sì, non sono convinto che in NFC in questo momento ci siano sette squadre migliori di quella di Campbell, anche se ammetto di essere preoccupato per la loro tenuta mentale. Sfiorare la postseason a termine di una stagione verso la quale non nutrivano alcun genere d’aspettativa è una cosa, concretizzare il proprio potenziale quando chiunque si aspetta grandissime cose è un’altra.

Molto dipenderà da Jared Goff, mimetizzato da MVP nella seconda metà della scorsa stagione. Non sto scherzando, nelle ultime nove partite del campionato ha lanciato quindici touchdown senza mai sparacchiare un intercetto dimostrandosi sempre efficiente e solido, se non addirittura spettacolare: non credo sia un caso che di queste nove partite ne abbiano vinte sette.
Il supporting cast a sua disposizione è intrigante, anche se Gibbs e Williams al momento sono due oggetti del mistero su cui preferirei non sbilanciarmi. Senza dimenticare un altro rookie, il tight end Jake LaPorta.
Insomma, potenziale che va di pari passo all’imprevedibilità, ma abbiamo valide ragioni per aspettarci buone cose da loro, soprattutto se teniamo presente che possono contare su una delle migliori linee d’attacco della lega.
Sono genuinamente curioso di vedere all’opera il tandem Montgomery-Gibbs, sulla carta più affidabile e talentuoso di quello costituito da Williams e Swift.

Come vi ho accennato, tanto – se non tutto – dipenderà dalla difesa. Specialmente nella prima metà della scorsa stagione, muovere la palla via aria contro di loro è stato comicamente semplice: sopravvivere a una difesa del genere è possibile solo se a dirigere il tuo attacco c’è Patrick Mahomes.
Molto saggiamente il front office ha deciso di investire massicciamente sulla secondaria andando ad aggiungere Cameron Sutton, Emmanuel Moseley, G.J. Gardner-Johnson e il rookie Brian Branch, da molti considerato il miglior safety disponibile al draft.
Forse dobbiamo stemperare le aspettative, ma non è fuori luogo aspettarsi un deciso cambio di passo che permetta loro di rientrare “nella media”.

In un periodo asettico come quello dell’offseason NFL prendersi delle sbandate è assolutamente naturale, ma a mio avviso quello che avvolge i Lions non è solamente hype, è qualcosa di ben più legittimo e radicato nella realtà. La ricostruzione iniziata un paio d’anni fa potrebbe già essere considerata conclusa, hanno assemblato un ottimo roster in tempo record e pretendere che diano continuità a quanto fatto vedere da novembre in avanti è più che legittimo.
Dall’addio di Stafford in avanti credono abbiano sbagliato veramente poco, ma un conto è stupire il pubblico distratto dando prova di competenza quando le aspettative sono basse, un conto è tenere una condotta da grande squadra quando è arrivato il momento di diventarlo a tempo pieno.
Fra le squadre che attendo con più ansia.

Ultimi, ma non per forza ultimi, troviamo i Chicago Bears che per la prima volta da anni possono guardare al futuro con razionale ottimismo.
La trade che ha dato ai Carolina Panthers l’opportunità di mettere le mani su Bryce Young ci dice tutto quello che dobbiamo sapere sulla fiducia riposta in Justin Fields dal front office che, finalmente, ha deciso di metterlo nella posizione di fare bene.
Non mi aspetto un’esplosione à la Jalen Hurts, però credo che alle spalle di una linea d’attacco apparentemente competente e un parco ricevitori rivoluzionato dall’innesto di Moore possa compiere fondamentali passi in avanti come pocket passer.

Mi rifiuto di individuare un quorum di vittorie che se non raggiunto ci obbligherà a bollare la loro stagione come un fallimento. Non dobbiamo commettere l’errore di dimenticare che il progetto tecnico è ancora estremamente giovane e hanno finito giusto l’altro ieri di smantellare il reparto difensivo che qualche anno fa li aveva condotti alla rilevanza. Tuttavia, dobbiamo aspettarci un miglioramento, così come dobbiamo pretendere molta più competitività di quella esibita nelle ultime stagioni.

Con a disposizione Moore, Mooney, un Claypool potenzialmente più a suo agio – e concentrato – e altri buoni comprimari, Fields ora è nelle condizioni di affermarsi definitivamente come franchise quarterback, senza però rinnegare il proprio lato corridore. Non ha senso conformare un talento straordinario come il suo ai dettami tradizionalisti per cui un quarterback non può e non deve correre, tuttavia quello visto nei primi due anni fra i professionisti non è un quarterback attorno a cui costruire le fortune del futuro.
Deve imparare a sbarazzarsi del pallone e accettare uno snap buttato, deve navigare la tasca con la consapevolezza di voler lanciare, non di decollare con le proprie gambe alla prima occasione buona. L’aria nella tasca dovrebbe essere decisamente più salubre grazie alle aggiunte di Nate Davis e Darnell Wright.

Seppur giovane, il reparto difensivo sta cominciando ad assumere una forma intrigante.
La secondaria è estremamente promettente, mentre il front seven appare rivoluzionato dagli innesti di Edmunds, Edwards e Ngakoue. Forse sono ancora troppo fragili lungo la defensive line, ma non è assolutamente un problema, hanno il tempo e le risorse per costruire qualcosa che non metta in imbarazzo la ricca storia difensiva di questa franchigia.
Ammesso che fra i tanti giovani arrivati via draft ci sia qualcuno particolarmente voglioso di distinguersi fin da subito.

Il 2023 non può essere visto come un punto d’arrivo per i Chicago Bears, semmai è un checkpoint che permetterà al front office di tirare le prime somme su quanto iniziato non troppo tempo fa. L’importanza delle vittorie sarà secondaria, tutto ciò che conta è che Justin Fields dia incontrovertibili segnali di essere l’uomo giusto su cui puntare per tornare a essere rilevanti e, meglio prima che poi, vincere.
Non dovrebbe essere poi così difficile fare meglio dell’anno scorso, o sbaglio?

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