Ed eccoci, dopo aver analizzato la debacle dei Packers, a dove parlare dell’altra grande delusa di questi playoff: i Kansas City Chiefs.
Se Green Bay si mangia le mani per aver gettato alle ortiche un’occasione più unica che rara, ancor maggiore è però il rimpianto dell’Heart of America, dato che qui la sconfitta è arrivata al Championship e ad un passo dal Super Bowl, quando di avversarie ingiocabili non se ne vedeva assolutamente l’ombra.
Inoltre i loro futuri carnefici ad inizio torneo erano lontani anni luce dai radar di Vince Lombardi, più per una storia da continui underdog che per meritocrazia, visto che la prodigiosa scalata verso l’olimpo NFL di Joe “Cool” Burrow, Ja’Marr Chase, Joe Mixon, Trey Hendrickson e Sam Hubbard, fra i tanti, non poteva che terminare in questo modo!
Giocare però nel fortino da 80.000 posti del The Sea of Red ad Arrowhead Drive, dopo aver portato a casa la pelle contro i ben più attrezzati Bills, era un’opportunità da non lasciarsi sfuggire. Il modo in cui è poi avvenuta pone ulteriori dubbi sulla gestione delle partite da parte di una franchigia sì formidabile, geniale e stracolma di talento, ma incapace di chiudere per tempo le partite.
I Chiefs vanno elogiati per ciò che hanno dato a vedere dall’avvento in cabina di regia di Patrick Mahomes, superstar ante litteram di un gioco evoluto a sua immagine e somiglianza, quella cioè di una simpatica canaglia mediatica, sfrontata e senza paura di nessuno, anche per le protezioni arbitrali eccessive, abile a creare climax con gambe e braccio bionico, evadendo brillantemente dalle rincorse degli edge rusher e portando sempre a termine il suo compito: alterare il tabellino ad ogni scorribanda.
Lui in epoca recente ha superato nettamente Russell Wilson come prototipo di one man show istantaneamente determinante, un non plus ultra tecnico capace in autonomia di modificare il destino di un intero club.
Con Mahomes KC viene da quattro Championship consecutivi e un Super Bowl vinto, risultati eccellenti che per assurdo però non hanno riflettuto esattamente la reale forza della compagine di Andy Reid, che a parte la primissima esperienza andata a cozzare sul GOAT di New England, in ognuna delle restanti avventure non ha mai dato l’impressione di sfruttare appieno la propria superiorità tecnica.
Non dimentichiamoci infatti le clamorose rimonte per trionfare nell’inverno 2020, sotto di 21 sui Texans, di 10 con Tennessee e vicini al baratro nel Grande Ballo coi Niners, più per errori propri che virtù altrui.
Quali possono essere le cause di una delusione grande come quella odierna, pervenuta dopo aver – as usual – preso a pallate i diretti rivali prima di uscire dalla partita e non muovere più le catene?
Rispondiamo riportando alla memoria quel che è capitato a fine secondo quarto domenica scorsa: vicino alla meta ma con soli 5 secondi da sfruttare sul cronometro, senza time out e una fra le seguenti decisioni da prendere: calciare il field goal (soluzione classica tuttavia non da Chiefs), tentare il rilascio rapido laterale ed eventualmente uscire dal campo se privi di varchi oppure affrontare un placcaggio e tentare diritti la end zone.
Se chiunque sa come è andata a finire questa storiella forse non tutti ne ricordano un’altra, datata 7 febbraio 2021 nel Superbowl LV.
Sorpresi dal veemente start di un campione glaciale – lui si – come Brady e la sua Tampa Bay, Kansas City riuscì a riportarsi in scia grazie a un field goal di Harrison Butker per il meno 8 a 55 secondi dal primo ’halftime, limitando così i danni e preparandosi dunque a menare le danze, ovale in mano, ad inizio terzo.
Invece la mente iper offensiva di Andy Reid pensò bene di chiamare due scellerati time out dopo belle giocate difensive di Jones, Clark e Sneed, convinto di recuperare immediatamente palla e segnare ancora a fine secondo periodo. Risultato? Chiusura del terzo Down Buccaneers e via filati verso un altro TD a firma Antonio Brown, per il 21-6 a quel punto irrecuperabile.
Bene, avete inteso che il nostro maggior dubbio arrivi dall’abilità del decano NFL nella sideline red, gold & white di saper gestire una partita da dentro e fuori.
Con lui chiunque ha ammirato le meraviglie dei suoi allievi, partendo dagli Eagles nei quali permise la successione di Donovan McNabb con un altro “nichilista” come Michael Vick senza scalfire le eccellenti performance in attacco, fino a giungere alle recenti invenzioni coi Chiefs, nei quali elementi “anarchici” quali Hill, Hardman o appunto PM#15 la fanno da padrone.
Quel che difetta, come visto, nella sua storia recente, però, è il saper dare umiltà a dei ragazzi troppo spesso esaltati e agitati nel performare un football individualistico ad alti livelli.
I Chiefs se ripresi o controllati durante un win or go home, d’improvviso danno la sensazione di sparire dal match più a livello mentale che tecnico, portando eventualmente la partita a casa solo con la spericolata inventiva dei propri funambolici leader. Da qui le liti clamorose tra wide receiver per un target non assegnato loro, le isteriche sceneggiate di veterani come Mathieu dopo flag al limite e la convinzione di Mahomes di poter sopperire ai cali dei compagni in autonomia, cosa non possibile in un Championship contro avversari affamati.
Da qui le valutazioni sciagurate contro i Bengals, che potrebbero restargli appiccicate a vita qualora non aggiorni un domani la bacheca personale.
In ricezione poi big play e guadagni after catch sono un mantra da queste parti, a costo di virare, retrocedere e di conseguenza perdere terreno e conquista del down, senza mai accontentarsi di corse minime o tag da mid range, utilissimi per congelare le lancette allorquando l’attacco ristagna, come visto domenica.
Il dubbio è se i Chiefs allenati da una mano sapiente e disciplinata alla Belichick o Shanahan possano diventare più oculati nella direzione degli incontri, accontentandosi magari di un calcio oppure far trascorrere tempo senza stressare una difesa inferiore solo a livello statistico.
Kansas City ha un roster di alto livello e siamo convinti perciò che competerà a lungo in futuro, ma il sospetto che aleggia è che una presunzione smodata e latente nella propria testa e in quella dell’HC li convinca che il colpo ad effetto possa sempre salvarli dalle sconfitte. Non funziona così nello sport, e senza scomodare campioni di altre discipline prendiamo l’esempio Tom Brady, fresco di ritiro ma più forte giocatore di sempre grazie anche a modestia e umiltà!
I Chiefs ed Andy Reid rappresentano tout court la nouvelle vague del football moderno, geniali menti offensive in ostinata ricerca di quel momentum che li distanzi dai rivali, e lontani dagli stereotipi anni 80 e 90, nei quali le zolle di terreno libero si rimpicciolivano in postseason, i quarterback lottavano per liberarsi da feroci pressioni e i cornerback se la giocavano alla pari nei matchup out wide.
Per questo la loro presenza al vertice sarà costante nei tempi a venire, a discapito di una resilienza mentale oggi completamente assente e causa – ahi loro – di ingiustificate uscite di scena.
“Malato” di sport a stelle e strisce dagli anni 80! Folgorato dai Bills di Thurman Thomas e Jim Kelly, dal Run TMC e Kevin Johnson, dai lanci di Fernando Valenzuela e dal “fulmine finlandese”. Sfegatato Yankees, Packers, Ravens, Spurs e della tradizione canadese dell’hockey.
Analisi che condivido in toto.
Voglio vedere come smaltiranno e sesapranno fare tesoro di questa sconfitta, che io reputo peggiore di quella del SB l’anno passato.
Analisi perfetta, aggiungerei troppo presuntuosi.
La svolta della partita è stata nell’ultimo possesso del secondo quarto….. Mahomes perde la testa e i Chiefs la partita. Terzo e Quarto pura formalità per i Bengals.
Analisi che trovo corretta.. probabilmente si sono sentiti troppo sicuri e con la vittoria in pugno, daltreonde nei primi 29.50 minuti non avevano incontrato nessuna difficoltà a cvivisezionare la difesa dei bengals
chiaro che si son presi un rischio con la chiamata dell’ultimo possesso, ma con i se e con i ma nn si vince mai e inoltre dubito che ci fosse qualcuno che dubitava che non sarebbero riusciti a segnare
Ma a quel punto, con il vantaggio che avevano e soprattutto con la difesa Bengals che piano piano stava salendo di colpi, era solo logico e razionale andare per i tre punti. Ma la presunzione li ha portati all’incipit della disfatta. Ben gli sta’.
Probabilmente tra qualche anno ci diranno cosa è realmente successo tra primo e secondo tempo… perché al di là di qualsiasi analisi tecnica (per altro molto corretta) lo sguardo di Mahomes nel secondo tempo era vuoto e privo di fuoco. Emblematico l’ultimo possesso dei regolamentari, in cui è rimasto imbambolato con la palla in mano aspettando il sack