1) I SAINTS SONO UFFICIALMENTE UNA CERTEZZA

Continua a stupire la striscia più che positiva inanellata in quel di New Orleans, grazie ad una squadra in grado di mostrare un grado sempre maggiore di consistenza di settimana in settimana abbinando il tutto alla sacra capacità di sfornare giocate determinanti con una fondamentale costanza. Di fronte ad una serie di prove di questa caratura dovremmo asserire con una certa tranquillità che i Saints non sono più un qualcosa di affidato al caso ma una grande certezza della Nfc, e spicca il come abbiano ottenuto questo notevole traguardo cambiando completamente le loro caratteristiche di base.

Attorno alla squadra della Louisiana gira ancora molto scetticismo, ma i dubbi si stanno allontanando mano a mano che la striscia prende corpo. Le ultime sette partite sono state vinte con un margine attivo di 18.4 punti, e lo smantellamento dei Bills non può che impressionare dato che parliamo pur sempre di una squadra che sta lottando per i playoff della Afc e che è letteralmente stata annientata in casa propria, in un clima sempre poco piacevole in questi tempi vicini all’inverno, peraltro in possesso di una difesa che non è esattamente l’ultima della lista.

Quella di domenica è stata la seconda miglior vittoria in trasferta per margine (+37) nella storia dei Saints ed è nata grazie ad una poderosa prestazione corale di un fronte offensivo che ha controllato sistematicamente la linea di scrimmage, contribuendo a produrre 286 yard su corsa e ben sei touchdown giunti senza l’ausilio del gioco aereo, una statistica che ha dell’incredibile se correlata alla precedente natura di questa squadra, abituata a mettere in piedi autentiche contraeree macinando yard e punti in pochissimo tempo. Oggi i Saints vincono tenendo il controllo del possesso (41 minuti contro i 18 dei Bills) e con un Brees dalle linee statistiche in grado di far stropicciare gli occhi (184 senza passaggi da touchdown), e generando big play difensivi (Sheldon Rankins) che si accumulano con preoccupante (per gli avversari) puntualità.

Ed ora, sotto a chi tocca.

2) L’ATTACCO DEI VIKINGS SA ESSERE CREATIVO

Un’affermazione, quella relativa al titolo del paragrafo, che lascia certamente di stucco salvo aver trovato conferme direttamente sul campo in una domenica importante per le sorti della Nfc, con i Vikings impegnati a Washington contro una delle difese più cresciute del campionato se paragonate a quanto messo in mostra dodici mesi fa. L’essere in giornata e vedersi riuscire tutto ci sta, capita più o meno a tutti, tuttavia Minnesota è stata artefice del proprio successo grazie proprio alla creatività dell’attacco di Pat Shurmur, un notevole passo avanti rispetto al medesimo reparto visto maggiormente in stallo sotto le vecchie direttive di Norv Turner.

Solo con l’inventiva ci si può permettere di segnare 71 punti in due partite pur avendo perso quarterback e running back titolari per strada, e portare a felice compimento ognuno dei cinque viaggi all’interno della redzone in occasione della trasferta presso la Capitale, un esercizio che ai Redskins, per esempio, è riuscito molto meno bene per tutto il corso della stagione. La chiave di lettura principale di ognuna delle circostanze offensive riguardanti i Vikings è rappresentata dalla versatilità dei suoi giocatori, che possono essere allineati più o meno ovunque e fornire letture fuorvianti alla difesa. In occasione della segnatura occorsa verso il termine del primo tempo, l’attacco in porpora ha allineato tre tight end contemporaneamente, schierato Jerick McKinnon da slot receiver con il compito di correre un falso end-around e liberato David Morgan per il suo primo touchdown professionistico. La meta di Jarius Wright è nata invece da uno screen giocato con quattro ricevitori e nessun tight end in campo. E cinque sono stati i differenti giocatori di Minnesota a siglare un touchdown.

Shurmur, di formazione West Coast ma capace di installare elementi offensivi ad alto ritmo presi dall’esperienza di offensive coordinator sotto Chip Kelly agli Eagles, è uno dei motivi grazie ai quali i Vikings sono riusciti a sopravvivere all’ennesima ondata di infortuni importanti, conducendo la Nfc North con mano salda e con la prospettiva di un prossimo scontro con i Rams che porta già il sapore dei playoff. L’assenza di Aaron Rodgers non è certo l’unica ragione del successo della squadra del mai domo Mike Zimmer.

3) LE DIFFICOLTA’ DEI COWBOYS NON SONO DA RICONDURRE ALLA SOLA SOSPENSIONE DI ZEKE

Quando un attacco è costruito attorno al talento di un solo giocatore la sua assenza è chiaramente determinante, ma i problemi dei Cowboys non cominciano esattamente da dove termina la presenza di campo di un Ezekiel Elliott costretto a guardare i compagni dalla linea laterale per qualche settimana. C’è di più. Anzitutto le difficoltà di una squadra che non è stata capace di replicare i livelli mostrati lo scorso anno ci sono state con o senza il suo miglior running back in campo, e la disfatta patita contro Denver ad inizio stagione dovrebbe fornire una più che concreta conferma da questo punto di vista, in secondo luogo è difficile soppesare con precisione quanta efficienza sia stata tolta nel confronto con i Falcons calcolando la sola mancanza di Elliott, semplicemente perché Zeke non era l’unico giocatore determinante a non essere presente domenica.

Il 7-27 di Atlanta nasce soprattutto dall’assenza del colosso Tyron Smith, senza il quale la pass rush georgiana si è rivelata a dir poco letale, lasciando il povero backup Chaz Green in pasto alle varie scorribande di un Adrian Clayborn autore di ben sei degli otto sack totali messi a segno dai Falcons, con sette di essi a giungere proprio dal lato sinistro della linea. Circostanze, queste, che hanno pesato moltissimo sulle economie generali della prestazione messa in piedi da un Dak Prescott impossibilitato ad effettuare delle letture precise ed a prendere un ritmo definito trovandosi con stordente puntualità avversari addosso da tutte le direzioni, dovendosi accontentare di terminare la partita come corridore più efficiente di squadra, segno che Elliott vale comunque tantissimo rispetto ad un improvvisato comitato di running back in grado di spremere solo 65 yard da tre differenti giocatori, ma anche che la tranquillità in fase di passaggio significa davvero tutto.

A quanto descritto finora vanno aggiunte altre due considerazioni importanti. Sean Lee non ha nemmeno terminato il primo quarto di gioco per il nuovo aggravarsi dell’infortunio al tendine posteriore del ginocchio confermando le statistiche raccolte in sua assenza, le quali vedono aumentare a dismisura le yard su corsa concesse dai Cowboys senza il loro capitano difensivo in campo. Infine Mike Nugent, che non ha inciso molto nella sconfitta di domenica ma che rischia di farlo in uscite che d’ora in poi saranno sempre più importanti, un problema consistente se considerato che la sua affidabilità non è nemmeno paragonabile a quella di un Dan Bailey ancora alle prese con l’acciacco all’inguine che lo ha escluso dai giochi ormai da parecchie settimane.

Una situazione tutt’altro che simpatica in previsione del Sunday Night contro gli Eagles, una gara che sa già di disperazione per le ridotte speranze di postseason dei texani.

4) PATRIOTS E STEELERS SI CONFERMANO AL TOP DELLA AFC

La storiella è già conosciuta da qualche anno, e tende pericolosamente a ripetersi. Nonostante gli avvertimenti nell’utilizzare la massima cautela nel giudicare troppo presto i Patriots, siamo giunti allo stesso punto di sempre: dopo il primo mese di gioco fatto di alti e bassi, la squadra di Bill Belichick inizia a prendere ritmi ben definiti ricominciando il dominio come se mai nulla fosse accaduto. Troppo rumore e troppo presto, ancora una volta.

La capacità di adattamento all’avversario ed i progressi difensivi registrati rispetto al primo disastroso mese di campionato sono i due fattori da cerchiare per motivare le prestazioni di una squadra uscita vincente da sette degli ultimi otto scontri, una striscia che non propaga l’effetto che dovrebbe probabilmente perché per i Patriots ciò rappresenta il minimo sindacale da produrre ogni santo anno, tanta è l’abitudine al dominio che i medesimi hanno saputo trasmettere tanto al loro pubblico quanto alla concorrenza. Quelli di domenica sera non saranno i Broncos che furono, per carità, ma restano sempre una delle migliori difese in circolazione che è stata letteralmente distrutta nelle fasce intermedie del campo, laddove il poderoso gioco delle secondarie comandate da Talib e Harris fatica ad arrivare. Il piano di gioco ha coinvolto poco i ricevitori e fornito parecchie possibilità alla vasta schiera di tight end – tra cui il misteriosamente redivivo Martellus Bennett – e running back, esaltando le doti in ricezione di cui si avvalgono tantissimi elementi della formazione. La difesa ha risposto presente concedendo 13.4 punti a partita nelle ultime cinque uscite.

In fase pre-stagionale parlavamo invece degli Steelers come unici veri candidati a contrastare le forze del Massachusetts, ed anche se la loro strada è stata maggiormente tortuosa e ricca di dubbi da sfatare, il risultato è esattamente lo stesso. Pittsburgh possiede all’attivo un ruolino di marcia con quattro affermazioni consecutive e sta solidificando la sua appartenenza al top della Afc, seppure con qualche vittoria-thriller di troppo (leggasi: Colts) ed incertezze ricorrenti riguardo il presunto calo d’efficacia patito da Ben Roethlisberger, usufruendo nel contempo di un reparto difensivo tornato alla tradizione, ovvero capace di dominare le partite proprio come le care vecchie edizioni vincenti di questa grande franchigia.

Proprio domenica si è presentata l’occasione consona per mettere a tacere – almeno momentaneamente – una discreta schiera di malelingue assistendo alla quarantesima rimonta della carriera di Big Ben con la squadra sotto ad inizio quarto periodo, grazie ad un secondo tempo giocato come meglio non si poteva. Chiaro che una squadra con mire playoff non possa pretendere di non essere criticata dopo essere caduta in un parziale di 3-17 contro un’avversaria poco degna di nota, ma Roethlisberger ha dimostrato che Pittsburgh è difesa ma non solo, confezionando un 12/16 per 164 yard e due mete nei due quarti conclusivi e centrando il 100% di completi nel drive che ha portato al field goal decisivo per la vittoria, un segno che – chiacchiere di ritiro o meno – chiunque abbia pretese all’interno della Afc dovrà intavolare una seria discussione anche con gli Steelers. La solidità di una squadra si giudica anche dal come sa vincere contro avversarie deboli in circostanze avverse.

5) I CHARGERS POSSONO VINCERE MOLTO, MA DEVONO IMPARARE A FARLO

Los Angeles (la tastiera stava scrivendo San Diego, come sempre…) ha dimostrato di non aver imparato la lezione di inizio anno, e nemmeno quella del campionato scorso. Quella osservata in azione contro i Jaguars non è una squadra degna delle ultime posizioni di rilevanza nella Afc, non per la difesa che propone, non per la consistenza generale che è in grado di mettere in campo. Quella di Jacksonville sarebbe in ogni caso stata una trasferta difficilissima da portare a casa vista l’estrema solidità di un reparto difensivo che sta letteralmente trasportando di peso la franchigia ai playoff, ragione per la quale il fatto che i Chargers siano rimasti in partita fino alla fine lottando ad armi pari significa solamente che i medesimi una squadra cattiva non lo sono affatto. Il fatto che poi non sappiano gestire a modo le gare, quello è un discorso completamente differente.

Sopra di tre punti nei minuti conclusivi, peraltro con due intercetti rimediati da Tre Boston che avrebbero dovuto chiudere a doppia mandata qualsiasi tipo di discorso, Los Angeles ha perso una partita più che incredibile. Gli errori si sono sommati a dismisura: una penalità per delay of game, un fumble di Austin Ekeler, un three & out dopo aver recuperato un altro pallone ed un fallo di Joey Bosa per aver colpito il quarterback in ritardo costituiscono tutti gli elementi necessari che hanno tenuto in vita dei Jaguars impossibilitati a creare qualsiasi tipo di ritmo offensivo, consentendo il drive del field goal del pareggio e la conseguente vittoria in overtime. Due minuti di pura follia, andati a rovinare una giornata dove la difesa dei Chargers – grazie anche al rientro di un efficace Denzel Perryman – ha giocato ad un livello non certo inferiore rispetto alla più blasonata avversaria, nonché una partita dove la principale arma offensiva, Melvin Gordon, è stata tenuta sostanzialmente al guinzaglio.

I Chargers possono fare grandi cose e valgono molto, molto di più del loro 3-6 attuale, ma senza l’esecuzione e la testa corretta nei momenti decisivi (Boston ha preferito esultare in maniera sciocca uscendo dal campo nel secondo intercetto dimenticandosi di riportare il pallone molto più avanti…) grossi risultati non si possono certo ottenere.

6) L’INETTITUDINE DI GIANTS E BROWNS SI NOTA DALLE PICCOLE COSE

La settimana scorsa abbiamo parlato di linguaggio del corpo, un fattore che di certo può far meglio comprendere il bilancio di una determinata squadra. I Giants hanno lasciato andare la loro sgraziata stagione già da qualche settimana, ed il fatto che Ben McAdoo abbia perso il polso del suo spogliatoio per strada è chiaramente indicato dalla reazione in campo dei suoi giocatori, come dimostrato dagli errori/orrori messi in scena due domeniche fa durante la ripassata presa contro i Rams. Segni piccoli ma inequivocabili hanno fatto capolino anche nello scontro diretto (verso il basso) contro i 49ers creando ulteriori mal di testa per un head coach che in breve tempo sarà sollevato dal suo incarico, su tutti le clamorose gesta di un Janoris Jenkins al rientro da una sospensione per violazione delle regole di squadra, un atteggiamento chiaramente volto a farla pagare al suo capo allenatore. Nulla di sorprendente per un giocatore dagli accentuati problemi comportamentali, tuttavia responsabile di sei placcaggi mancati – tra i quali il patetico tentativo di fermare Garrett Celek – di un touchdown pass di 83 yard al passivo, e di un quarterback rating perfetto (158.3 punti) nei lanci scagliati contro di lui nella sola partita di domenica. Aggiungiamo, giocando contro C.J. Beathard, non contro Dan Marino…

Ai Browns, oltre che saper concludere gli scambi prima della deadline, qualcuno dovrebbe invece insegnare la gestione dell’orologio e la corretta lettura delle situazioni, evitando chiamate circensi da posizioni di campo molto favorevoli. Se non altro Hue Jackson è stato ancora una volta corretto e si è preso tutte le responsabilità del caso pur non essendo tenuto a farlo, ma tale presa di coscienza non rende certo più accettabile quanto visto sul campo negli ultimi quindici secondi del primo tempo. La chiamata offensiva relativa alla specifica situazione (voci di corridoio sostengono che fosse il risultato di un audible di Kizer) non è in alcun modo comprensibile: una quarterback sneak dalla linea delle due yard senza timeout a disposizione e con la necessità di mettere punti a referto non può avere nessun senso, se non quello di essere interpretata come una scelta dettata dalla disperazione di vincere la prima partita della stagione. E’ un qualcosa che va contro le regole di buonsenso del football americano, e che riassume in pieno il senso di disgrazia che i Browns rappresentano per la Nfl in questo preciso momento.

7) MIKE MCCARTHY HA TROVATO L’ENNESIMA STRADA PER RENDERE COMPETITIVI I PACKERS

A parere del tutto personale Mike McCarthy è uno degli allenatori che riceve meno credito di quanto dovrebbe: negli anni ha dimostrato di sapersi adattare alle avversità, di saper porre in atto le strategie corrette ovviando a problemi apparentemente non risolvibili, di poter mantenere intatta la credibilità della sua squadra anche quando si perdono pezzi fondamentali come Aaron Rodgers. E’ un dilemma che McCarthy si è già trovato ad dover affrontare in altre circostanze, uscendone sempre da vincente.

Semmai esiste una conferma di tale teoria questa dovrebbe essere al meglio rappresentata proprio dalla gara vinta domenica contro i Bears, una partita che aveva l’ingrato compito di sfatare il pensiero generale secondo il quale la stagione di Green Bay è terminata nel momento stesso in cui Rodgers si è infortunato, e che la squadra soffrisse di una generica mancanza di energia che aveva generato prove piatte come l’infelice uscita casalinga contro i Lions. Ciò non dimostra che i Packers vinceranno il Super Bowl contro ogni pronostico, chiaro, dimostra però che la squadra può ancora esprimere un’opinione all’interno del contesto Nfc, perché anche senza pezzi determinanti sussistono le motivazioni per ritenerla competitiva.

Brett Hundley non è Rodgers e mai lo sarà, probabilmente il coaching staff aveva semplicemente e comprensibilmente bisogno di tempo per riuscire ad inserire il giocatore all’interno di un sistema di gioco che per ovvi motivi noi poteva più essere lo stesso di prima e di studiare delle alternative valide senza avere il tempo materiale per farlo, e qualche risultato si è cominciato a vedere. McCarthy ha vinto le sue piccole scommesse, si è procurato delle opzioni per un gioco di corse sostenuto da un ex-wide receiver e da un gruppo di giocatori privi di esperienza professionistica nel settore ottenendo in cambio segnali di crescita che gli hanno permesso di non mettere troppo sotto pressione Hundley, e cambiando il volto di un attacco che, qualora l’efficienza del backfield rimanesse tale al netto degli infortuni (Montgomery è tormentato dai problemi alle costole, Jones al legamento posteriore del ginocchio), potrebbe permettere un maggior equilibrio offensivo.

La capacità di cambiare pelle determinerà l’esito di ciò che rimane della stagione dei Packers, e sotto questo punto di vista McCarthy ha dimostrato – ancora una volta – di possedere le soluzioni per i suoi problemi. La squadra non avrà un running back dominante, ma se con la collaborazione di tutti (salute permettendo) si possono accumulare 160 yard mettendosi all’improvviso a giocare di fisico e non di finezza, allora l’efficienza di Brett Hundley può davvero cambiare come dimostrano le sue statistiche contro Chicago. Mettersi a martellare le difese con le corse nutrendo speranze sul miracoloso rientro di Rodgers per gli eventuali playoff e sulla tenuta della propria difesa (ootima nei terzi down contro i Bears) è una scommessa che, per quanto dimostrato negli anni, è assolutamente alla portata di uno dei migliori head coach in circolazione.

8) LA OFFSEASON DI DENVER DEVE ESSERE SPESA ALLA RICERCA DI UN QUARTERBACK DI ESPERIENZA

A Denver si sommano le umiliazioni e la soluzione del futuro nel ruolo-chiave non è a roster, ragione per la quale John Elway dovrà trascorrere la prossima offseason dando massima priorità al ruolo di quarterback, dato che il conto delle stagioni perse per strada per evidenti responsabilità in quel ruolo sta per salire a due. Trevor Siemian e Brock Osweiler non necessitano certo di ulteriori conferme nel provare la loro impossibilità nel gestire la squadra a lungo termine, il primo non ha mostrato costanza nei margini di crescita infarcendo le proprie prestazioni di errori ridondanti, il secondo ha dimostrato già ampiamente di non essere più di un buon backup tendente anch’egli all’errore frequente, riducendo il portafoglio di soluzioni future al solo Paxton Lynch.

Nemmeno l’ex-Memphis potrà tuttavia fornire prove convincenti nel breve termine, Lynch ha difatti trascorso l’inizio di stagione recuperando da una distorsione alla spalla non ancora completamente guarita e questo è il motivo per cui non l’abbiamo ancora visto in campo, un incidente di percorso di non poco conto se pensiamo alla preziosa esperienza che il giovane regista avrebbe potuto accumulare in questa sorta di audizione di fine anno. Per Lynch, attivato a roster ma non ancora in grado di lanciare palloni lunghi senza fastidi, si tratta di un anno perso, di un mancato accumulo di snap sul campo che non possono di conseguenza porlo nelle condizioni di migliorare la sua posizione nelle attuali gerarchie di squadra, un fatto che costringerà sicuramente la franchigia a cercare un veterano in grado di rendere nuovamente competitivo questo attacco lasciando ancora una volta la giuria inespressa dinanzi a possibili sentenze sul futuro di un Lynch comunque già battuto da Siemian in fase di training camp, e che quindi ha ancora tutto da dimostrare.

Si parla tantissimo di un Eli Manning pronto a lasciare New York e dell’ennesima possibile free agency di Kirk Cousins, solo due dei nomi che, possibilità reali o meno, saranno abbinati ai Denver Broncos per tutta la stagione primaverile.

9) AI TITANS PIACE VINCERE…DIFFICILE

Nel Tennessee ci si è trasformati in maestri nel vincere le partite a scarso differenziale di punteggio, abituando il proprio pubblico a vivere sempre sul filo di lana. Andando a ritroso e comprendendo anche la scorsa stagione i Titans hanno difatti raccolto un 7-0 di bilancio in gare decise da quattro o meno punti di scarto, dimostrando di conoscere molto bene ogni metodo con cui complicarsi la vita, ma anche il come trovare rimedio ad ogni circostanza negativa, fornendo l’ennesimo attestato di ciò durante la gara vinta contro Cincinnati.

I Titans si sarebbero potuti risparmiare parecchi patemi ma vincere è sempre la miglior cura ad ogni male, un particolare che ha curiosamente accomunato tutte le vittorie che Tennessee ha riportato nei confronti di tre delle quattro avversarie provenienti dalla Afc North, contro le quali la squadra ha giocato molto bene senza tuttavia riuscire a creare quello stacco decisivo nel punteggio che la differenza di prestazioni in campo avrebbe potuto suggerire. Alcune delle singole azioni più evidenti riguardano sicuramente una mancata ricezione da touchdown di Rishard Matthews su un comodo invito a nozze di Mariota, che a seguito di un recupero di possesso da parte della sua difesa ha prontamente restituito l’ovale ai Bengals, ed infine uno sprint di Corey Davis verso la endzone con tanto di perdita del pallone ad una yarda dal traguardo.

I Titans avrebbero potuto chiudere i conti a piacere, ma il susseguirsi errori hanno generato la situazione grazie alla quale A.J. Green ha realizzato la meta del sorpasso a cinque minuti dal termine, e proprio qui è uscita ancora una volta la solidità emotiva di Mariota, freddo nel gestire l’attacco sotto pressione ed in grado di prendere ottime decisioni nel costruire il drive della vittoria, una qualità che sta accompagnando molto bene i progressi che i Titans hanno già compiuto a livello tecnico. Una mentalità vincente è tutto ciò che serve ad un quarterback per condurre le sue truppe con inattaccabile fiducia, e questa sensazione è esattamente ciò che Mariota sta trasmettendo ai suoi compagni. Il prossimo passo di maturazione è quello di imparare a mettere via le partite senza più fare tutta questa fatica, proprio ciò che serve per fare dei Titans una sicura squadra di vertice.

10) IL QUADRO-PLAYOFF DELLA NFC E’ ELETTRIZZANTE

Se la vostra squadra del cuore non è più in corsa per i playoff nella Nfc non avete nulla di cui preoccuparvi, perché osservare dall’esterno l’elettrizzante competizione che si sta evolvendo ogni settimana rappresenta un qualcosa di molto vicino al godereccio, peraltro alimentato dalla nutrita serie di scontri diretti che avranno luogo in questo ultimo mese e mezzo di regular season.

Si parte già da questo fine settimana con un match di assoluto fascino tra Rams e Vikings che vale le primissime posizioni della griglia playoff, seguito da un Cowboys-Eagles serale che potrebbe spingere ancor di più i texani nel baratro o riaprire i giochi per la prima posizione assoluta, per poi terminare con un Monday Night da leccarsi i baffi tra Seahawks e Falcons. La partita di cartello della dodicesima settimana vedrà invece l’incrocio tra i Rams ed i caldissimi Saints, i quali sette giorni dopo affronteranno lo scontro divisionale con i Panthers nella stessa identica domenica in cui il Sunday Night proporrà un altro piatto forte, Eagles contro Seahawks.

Annoiati dal Thursday Night? Ecco ancora i Saints di scena nel primetime che aprirà la Week 14, settimana nella quale i Panthers andranno ad ospitare i Vikings e gli Eagles dovranno giocare a Los Angeles contro i Rams. Il prossimo sarà un mese di gioco determinante nel rimescolamento delle forze della National Football Conference, ed il panorama attuale potrebbe non essere più lo stesso che ci troviamo ad analizzare oggi, una prospettiva di sicuro interesse.

2 thoughts on “Ten Weekly Lessons: Week 10

  1. complimenti……questi non sono articoli….sono molto ma molto di più, la precisione i dettagli con cui descrivi ogni situazione sono bellissimi, per me che seguo il football il lunedi sul sito del NFL i vostri articoli sono molto graditi e piacevoli…complimenti di nuovo.

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