Negli Stati Uniti lo chiamerebbero un incredible turn of events.

Un'immagine impensabile: Peyton Manning vestirà una maglia diversa da quella dei Colts.

Nello scorso fine settimana è accaduto l’impensabile, che poi a pensarci davvero bene tanto impensabile non era, visto che era ben noto a tutti che Peyton Manning non avrebbe mai più rivestito l’uniforme dei Colts, un’immagine difficile, per non dire impossibile, da focalizzare per chi ha abituato gli occhi per 14 lunghe stagioni all’abbinamento tra il bianco-blu ed uno dei quarterback più forti nella storia Nfl.

Stride ancora, per chi è affezionato alla tradizione ed è costretto per natura a sentire il piacere dell’abitudine, l’istantanea di Manning con la maglia numero 18 dei Denver Broncos tra le mani, pronto a farsi fotografare per immortalare l’inizio della sua nuova avventura, una sensazione molto strana da provare per chi aveva pensato che con la maglia di Indianapolis Peyton si sarebbe ritirato, anzi, che l’avrebbe vestita anche nella vita di tutti i giorni dopo aver smesso di giocare a football. Legami che sembrano indissolubili sono invece smontati dagli imprevisti della vita e dal business, due variabili di cui è sempre necessario tenere conto.

Per Manning si è trattato di un imprevisto notevole, che nello scorso settembre fece già sobbalzare il cuore al ricevimento di una notizia incredibile tanto quanto un suo trasferimento. Sì, gli Indianapolis Colts avevano già giocato una stagione intera senza di lui, per colpa di quattro operazioni al collo che avevano momentaneamente messo in pericolo la carriera del loro giocatore simbolo, facendo rimanere un pò tutti impietriti, con la bocca aperta per la sorpresa, nel tentativo di interiorizzare il fatto che non solo i Colts, ma pure la stagione Nfl medesima, avrebbe dato inizio al suo spettacolo sapendo che una delle sue stelle più luminose sarebbe stato a breve dichiarato fuori per tutto l’anno.

Catena di eventi, questa, probabilmente ben nascosta alla stampa da tutta l’attenzione che era invece stata catalizzata dal litigio tra proprietari ed unione giocatori, e che proprio per questo motivo, una volta resa pubblica aveva suscitato uno scalpore ancora maggiore, proprio perchè inatteso.

Con i Colts padroni della prima scelta assoluta in un Draft che proporrà un paio di quarterback che raramente passano da queste parti, la scelta, seppur inimmaginabile, è stata logica e comprensibile. Manning è diventato il free agent più ambito forse di tutti i tempi, dopo l’ufficializzazione del suo rilascio l’interesse delle altre squadre Nfl è immediatamente schizzato alle stelle, con Denver, Arizona, Tennessee, Washington e San Francisco pronte ad assicurarsi i suoi servigi. Se i Redskins erano già stati fatti fuori da Manning stesso, una volta chiarito che la destinazione non gli interessava, non restava che scegliere tra le altre possibili destinazioni.

Peyton ha seguito lo stesso processo decisionale che l’aveva portato a scegliere di frequentare il college a Tennessee, tracciando difatti delle similitudini tra i reclutamenti universitari e le modalità di esecuzuione di una free agency che per lui era una novità assoluta, tanto da non sapere nemmeno come muoversi esattamente, all’inizio. Tale percorso decisionale l’ha portato al colloquio con i dirigenti delle franchigie, a provini trascorsi a lanciare palloni per verificare la reazione del collo agli sforzi, ad appuntamenti con i medici per esporre tutte le cartelle cliniche in modo trasparente.

Quindi, i colloqui con le persone più strette, soprattutto papà Archie ed il fratello maggiore Cooper, che non hanno però influito su una decisione finale che Peyton ha preso come al solito da solo, in tutta serenità, cercando di capire quale scenario potesse essere il migliore per un giocatore con problemi medici, con la fine della carriera in avvicinamento, e desideroso di vincere un altro Super Bowl.

Peyton Manning ed i Colts parevano essere legati a vita.

Lo scorso lunedì mattina è iniziato il giro di telefonate. Prima di tutto Manning ha chiamato i rappresentanti delle squadre che aveva escluso, ringraziando per la disponibilità e per il tempo dedicatogli, poi è arrivata la telefonata a John Elway, GM dei Broncos, che proprio in quel momento stava studiando una strategia per ottenere una risposta dalla superstar. Manning aveva esordito dicendo che stava avvertendo una ad una le franchigie per cui non avrebbe giocato, e sentendo questo Elway già stava sudando freddo.

Poi la felice conclusione del discorso. “Ho deciso che giocherò a Denver”.

Elway si volta verso Fox e gli mostra il pollice alzato, immaginiamo con lo stesso sorriso di quando sollevò i due Vince Lombardi Trophy vinti in carriera, e la festa comincia. Denver si trasforma istantaneamente in una contender per il titolo 2012, ed il vortice che porta agli eventi così come sono oggi è appena cominciato.

I Denver Broncos si assicurano così il loro asso, e lasciano contemporaneamente andare il quarterback che ha rubato la scena a tutti nel corso di un 2011 surreale, che l’ha visto prendere in mano la squadra a quota 1-4, trascinarla di forza ai playoff e vincere pure la Wild Card.

Per mesi si è discusso sul fatto che Tim Tebow fosse/non fosse un quarterback in grado di fare la differenza nella Nfl, sul suo essere un leader per il quale conta solo ed esclusivamente il risultato finale scritto sul tabellone facendosene un baffo delle sue statistiche personali, che possono essere piacevoli o no, l’importante è sempre che la lettera W sia dalla parte dei suoi colori.

Per lui John Fox e Mike McCoy, l’offensive coordinator di Denver, avevano rivoluzionato il playobook al fine di plasmarlo secondo le capacità del ragazzo, sul quale i dubbi circa l’efficacia del gioco aereo sono sempre pesati in maniera ingombrante e pressante, con la sola conseguenza che lui, dei suoi mezzi, è sempre e comunque rimasto convinto. Sono ancora fresche nell’aria rarefatta delle montagne rocciose le sue epiche rimonte, coadiuvate comunque da una difesa che ha dimostrato di potersela giocare ad alti livelli, così come ancora fresco è il ricordo di quel passaggio da TD per Demaryus Thomas, prima azione del supplementare della gara di playoff vinta a sorpresa contro gli Steelers, azione che aveva ulteriormente cementificato lo status magico che attornia il ragazzo sin dai tempi di Florida, facendo dilagare una Tebowmania di cui si è parlato tantissimo, spesso anche a vanvera.

Ora è tutto finito, con la stessa rapidità con cui era cominciato.

Il percorso che ha portato Peyton Manning sulle orme di John Elway, quarterback scelto dai Colts quando ancora risiedevano a Baltimore ed immediatamente scambiato con i Broncos una volta compreso che non avrebbe mai giocato per i bianco-blu, è lo stesso che ha portato alla logica dipartita di Tim Tebow, per il quale è stata – non senza difficoltà – orchestrata una trade con i New York Jets, una mossa di mercato strana, comprensibile da un punto di vista tecnico/tattico, ma parzialmente  insensata se si pensa al prolungamento contrattuale dato a Mark Sanchez e all’acquisizione di Drew Stanton, segno di confusione nella gestione manageriale della franchigia.

Tim Tebow porterà la sua leadership ai New York Jets, ma giocherà da riserva.

La Tebowmania abbraccia quindi un mercato grande come quello di New York, anche se Timmy è arrivato (o meglio arriverà, la trade sarà ufficiale domani alle ore 16.00 americane per questioni di un bonus da pagare a carico di Denver) nel New Jersey esclusivamente per fare il giocatore di situazione, togliendogli quindi l’opportunità di essere il protagonista principale dei Jets. I quali, va detto, si trovano in una situazione alquanto bizzarra che li vede alle prese con critiche mosse nei confronti di Sanchez per questioni di mancanza di leadership all’interno dello spogliatoio, che ora vede arrivare un giocatore che di carisma ne ha da vendere a pacchi e che avrà i gradi di riserva, che vista così può essere una controversia che può scoppiare da un momento all’altro. E dato il pentolone polemico che avvinghia i Jets ultimamente, forse è il caso di dire che tale decisione andava ponderata meglio.

Si diceva delle questioni tattiche e della loro maggiore comprensibilità, ed ecco quindi che i discorsi cominciano a tornare. I Jets sono una squadra a cui piace correre spesso e pseantemente, e quando questo aspetto del loro gioco offensivo ha funzionato, sono arrivate due qualificazioni consecutive al Championship della Afc. Nel 2011, quando Sanchez ha avuto tanta pressione sulle spalle e le corse hanno fortemente diminuito la produzione, non è nemmeno arrivata la qualificazione ai playoff. Considerando ora che il nuovo offensive coordinator  sarà Tony Sparano, che da head coach dei Dolphins ha re-introdotto la Wildcat Formation nel professionismo con risultati positivi, l’utilizzo di Tebow diventa immediatamente chiaro e consono, e gli restituirà quella dimensione di giocatore di situazione che si porta dietro dai tempi del college, quando giocava occasionalmente alle spalle di Chris Leak.

L’appena acquisito Drew Stanton, improvvisamente vistosi retrocedere al ruolo di terzo quarterback dopo aver firmato in seguito alle promesse che sarebbe stato lui il backup, ha già richiesto la trade o il rilascio, altro episodio che va a sottolineare lo stato caotico in cui spogliatoio, management, ed organizzazione in generale è attualmente tangibile dentro le mura bianco-verdi.

Le cose, nella National Football League, cambiano davvero in fretta.

Nella lega dei cambiamenti, basta qualche giorno, e Peyton Manning diventa improvvisamente un giocatore che affronterà le intemperie di Denver, e che non godrà più della coperuta del Dome sotto il quale aveva giocato finora, mentre Tim Tebow, il salvatore dei Broncos, andrà a predicare all’interno di un ambiente posseduto da un head coach avvezzo alle parolacce come Rex Ryan, cercando di mettere stabilità nell’ambiente, ispirando i nuovi compagni e segnando più mete possibili con le sue corse potenti.

Se poi questa fermata sarà provvisoria, e Tebow riuscirà a coronare il proprio sogno di tornare a giocare a casa sua – e qui i Jaguars aspettano segnali – è completamente un’altra storia che potremmo trovarci a trattare più avanti. Nel frattempo, la free agency si è appena aperta, il Draft promette scintille ed i  Saints sanzionati ospiteranno il Super Bowl senza poter ambire a parteciparvi.

Per una stagione che deve ancora iniziare, così tante fonti di discussione  non sono davvero male.

4 thoughts on “Mile High Manning e Manhattan Timmy

  1. Ottimo articolo sulla storia dell’offseason.

    Unica cosa, si sente sempre dire che a Denver c’è freddo, maltempo ecc, ma non è vero. Non ricordo una partita sotto la neve a Denver da almeno 10 anni, e anche in dicembre le giornate sono meno fredde che in altri posti. Quindi anche a livello climatico, pur non essendo la Florida o la California, è una posto discreto in cui giocare. Non credo il clima influirà troppo sulle performance di Manning.

  2. sì, il clima tutto sommato puo’ influire poco: ma per esempio la linea offensiva sì, e a quell’eta’ e dopo quell’infortunio, Manning rischia di essere protetto poco e male…

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