BEST

ODELL BECKHAM JR.

No, non si tratta di un miraggio o di un errore, il giocatore per il quale i Browns hanno effettuato la loro trade più vistosa degli ultimi anni è effettivamente la superstar di cui avevano disperata necessità. Ovvio che la sentenza vada in ogni caso verificata di domenica in domenica, perché fino a pochi giorni fa si parlava solo ed esclusivamente del come non vi fosse coesistenza tra Beckham e Mayfield, parlando spesso di uno scambio fallimentare e destinato a non funzionare in questo tipo di contesto.

D’un tratto i Browns sono rilevanti, guardano alla quinta settimana di campionato con tre vittorie in saccoccia dopo le prese in giro subite nella prima giornata di campionato, hanno certamente ancora molto da dimostrare ma di sicuro i progressi sono oggi visibili anche ad occhio nudo. Beckham ha senz’altro trovato benefici dalla creativa voglia di rischiare del suo capo allenatore, autore di due chiamate coraggiose che hanno fruttato due dei tre touchdown messi a segno dall’ex-ricevitore dei Giants. Forse il pallone gli riesce meglio riceverlo dall’amico fraterno Jarvis Landry, capace di sganciare una bomba mancina per una meta di 37 yard, oppure gli è sufficiente sorprendere tutti raccogliendo un hand-off in situazione di end-around, per una giocata rischiosa ma in grado di produrre 50 yard ed altri 6 punti a referto.

Due snap di corsa per 73 yard, cinque ricezioni per altre 81, tre mete totali ed il 42% di responsabilità per il fatturato totale di punti portato a casa di Cleveland contro la disperata difesa dei Cowboys, cifre degne del giocatore dominante che la franchigia intendeva possedere per dare una svolta al proprio reparto offensivo. Beckham ha fatto vedere tanti lampi ma poca continuità, a volte per essere stato completamente ignorato e frustrato dal suo quarterback, altre volte per non essere stato completamente a posto dal punto di vista fisico – una motivazione sempre troppo sottovalutata nel football – ma sono proprio prestazioni come questa a far ben sperare una squadra letteralmente disastrata e bistrattata, che ha solamente bisogno di gettarsi alle spalle tutte le eccessive aspettative dell’ultimo biennio e mettersi a giocare seriamente a football, proprio come mostrato domenica nel tempio edificato da Jerry Jones.

Otto dei cinquanta touchdown di carriera di Beckham sono arrivati contro i Cowboys, ma ora è giunto il momento di cominciare a scrivere numeri da superstar anche nella Afc North, dato che il record di Cleveland è oggi certamente sorprendente in positivo, ma la stagione è ancora lunga e serve dimostrare ancora parecchio soprattutto negli scontri diretti per la supremazia divisionale.

AARON RODGERS

Per tutti i mesi più caldi dell’anno si è discusso della strategia dei Packers al draft, della mancanza di risorse nel ruolo di wide receiver e della selezione di Jordan Love al primo giro, innescando tutta una serie di dubbi e domande sul possibile futuro nel Wisconsin da parte del già leggendario numero 12. Aaron Rodgers ha giocato un primo mese di campionato assolutamente dominante nonostante il suo reparto di ricevitori non sia sostanzialmente progredito tra una stagione e l’altra, facendosene un baffo di tutte le critiche apparse nelle principali testate giornalistiche e continuando a dimostrare che grazie alla sua presenza tutti coloro che si schierano con i suoi stessi colori possono diventare giocatori migliori.

Molto del football offerto dal quarterback raggiunge livelli quasi irreali, come dimostrato dal 70% abbondante di completi, 13 passaggi da touchdown e nessun intercetto, cifre valide per poter vantare di gran lunga il miglior reparto offensivo della Nfl grazie anche al prezioso contributo a terra fornito da Aaron Jones. Nella gara di lunedì notte contro Atlanta non si è sentita per niente l’assenza di Davante Adams, già fermo in precedenza per problemi fisici, e nemmeno quella di Allen Lazard, dato che le 327 yard prodotte per via aerea sono giunte grazie alla collaborazione del tight end Robert Tonyan, autore di tre mete in sei ricezioni, con il quarterback a confezionare guadagni di almeno 19 yard assieme a collaboratori di profilo non certo conosciuto come Darrius Shepherd e Malik Taylor.

Grazie alla prestazioni di Rodgers i Packers hanno aperto il campionato segnando almeno 30 punti nelle prime quattro partite consecutive per la prima volta nella loro storia, un risultato ottenuto senza troppi patemi nonostante la maggior parte dei destinatari dei palloni del quarterback fossero un tight end mai scelto proveniente da Indiana State e due free agent presi l’anno scorso, uno dei quali in arrivo dalla practice squad. Ci sarebbero pure da considerare le assenze di qualche membro di troppo delle secondarie dei Falcons, tuttavia registrare un rating di 147.5 sbagliando solo sei passaggi dei 33 tentati e mettendo a referto quattro passaggi da touchdown in queste condizioni corrisponde ad una prestazione da rinnovato Mvp.

Merito della ritrovata serenità ottenuta attraverso il rapporto con LaFleur, che sta portando risultati di grande prestigio dopo una sola stagione dove Green Bay è giunta ad un solo passo dal Super Bowl.

JOE BURROW

Per essere una matricola gettata in pasto ai leoni del professionismo senza prima poter osservare da fuori, Joe Burrow ha sicuramente classe da vendere. La gara contro i Jaguars non presentava certo una sfida impossibile vista la difesa che gli stessi presentavano – non l’èlite della lega – e la scarsa prospettiva vincente che si portano appresso, tuttavia ciò che più interessa ai Bengals è valutare l’inserimento in Nfl del loro più grande investimento degli ultimi anni, un ragazzo dal notevole pedigree collegiale giunto per cambiare per sempre una cultura che si è oramai abituata a perdere, o a non raggiungere i risultati che si presumeva fossero alla portata.

Burrow ha ottenuto la sua prima vittoria professionistica ed è diventato il primo rookie di sempre a lanciare per almeno 300 yard in tre partite consecutive, numeri che piacciono tanto agli americani, ma l’aspetto più importante è che l’ex-LSU sta giocando con la sicurezza di un veterano e che l’attacco, sotto le sue disposizioni, sembra diventare ogni settimana più consistente della precedente. La linea offensiva ha svolto un lavoro senza dubbio migliore rispetto alle scorse settimane concedendo un solo sack, ma al di là di questo aspetto la giovane speranza tigrata sta compilando statistiche di tutto rispetto, sommando 6 passaggi da touchdown a fronte di un solo intercetto nelle ultime tre uscite, un notevole salto in avanti rispetto all’esordio giocato contro i Chargers.

Burrow ha centrato le mani di nove differenti ricevitori coinvolgendo sostanzialmente ogni sua arma, contribuendo alla grande giornata numerica di Joe Mixon e continuando a sviluppare l’ottimo rapporto con il suo compagno più gettonato, Tyler Boyd, oltre al fatto che sta crescendo in maniera promettente pure il rapporto con un altro rookie di prospettiva, Tee Higgins, giunto al secondo touchdown della sua brevissima carriera. Ora a Cincinnati si può pensare positivamente e digerire meglio il 2-14 dell’annata scorsa, un risultato che ha gettato le basi per un futuro più roseo come dimostrato dalla mini-striscia di due partite senza sconfitte che la franchigia non riusciva a replicare dal 2018. La prima scelta assoluta dell’ultimo draft sta mantenendo ogni promessa, e per il momento sta dimostrando di valere la sua posizione di chiamata.

HONORABLE MENTION: JUSTIN HERBERT

Altro rookie intrigante, entrato in campo per un curioso e singolare incidente capitato a Tyrod Taylor due settimane fa. Herbert ha costruito uno spettacolo interessantissimo al cospetto di sua maestà Tom Brady, permettendo ai Chargers di condurre a lungo prima di subire la rimonta del più grande di ogni epoca. 20/25 con due passaggi da touchdown di 53 e 72 yard sono cifre che dimostrano propensione al big play e fugano qualche dubbio offerto dagli scout in sede pre-draft, attendiamo con grande curiosità le prossime uscite per capire quali decisioni sarà costretto a prendere Anthony Lynn, ora che la sua matricola ha fatto ingresso in campo senza dimostrare il minimo timore di potersi misurare con i più grandi del ruolo.

WORST

NFC EAST

Grottesco come i Philadelphia Eagles abbiano ottenuto la loro prima vittoria stagionale contro San Francisco e si ritrovino automaticamente al primo posto nella graduatoria di una division davvero pessima. Dei ragazzi di Doug Pederson abbiamo già parlato durante le scorse settimane, vi sono problemi un po’ ovunque a causa delle numerose assenze per infortunio che continuano anche nell’attualità a decimare una squadra che ha cominciato a perdere i pezzi già al training camp, in particolare nei settori di linea offensiva e ricevitori. Giustificazioni a parte, l’inizio del solitamente accurato Carson Wentz era stato aspramente criticato e visto come una sorta di involuzione, probabilmente alimentata dagli scarsi risultati di squadra e dalla conseguente voglia di tentare di fare il possibile per raddrizzare una situazione che, vista la concorrenza, è tutt’altro che sfuggita di mano come si poteva invece pensare nelle settimane scorse.

La sorpresa maggiormente negativa sono i Cowboys, che stanno letteralmente sprecando un’annata definibile come clamorosa da parte di un Dak Prescott mai così consistente, conduttore di un attacco ulteriormente migliorato ma corrisposto in maniera disastrosa da una difesa che sta subendo qualsiasi cosa gli venga scagliata contro. Non bastano le 566 yard di total offense prodotte grazie anche alla grande giornata di Cee Dee Lamb, autore di due mete, in quanto il reparto difensivo si è fatto trovare impreparato dinanzi alle rischiose ma fruttuose intuizioni di Kevin Stefanski, andando a subire altri 49 punti che portano il triste totale stagionale a quota 146, una media di 36.5 attualmente corrispondente alla peggiore di ogni epoca addirittura sotto i derelitti Giants dell’annata 1966.

A New York non se la passano certo meglio, dato che i Big Blue hanno segnato tre mete in quattro partite, tante quante l’ex Odell Beckham ne ha rifilate alla succitata difesa di Dallas, un dato che deve far riflettere sulla poca consistenza di Daniel Jones, di certo non l’unico responsabile della pessima situazione generale di tutto il roster, ma che non lascia nemmeno grandi aspettative per un campionato che doveva portare crescita con una certa sicurezza.

Non si sa se sia peggiore la situazione di New York rispetto a quella della vicina Washington, dove la vittoria all’esordio contro gli Eagles sembra un caso isolato più che un inizio promettente e la fervente discussione che sta tenendo banco nella capitale sta certamente facendo riflettere Dwayne Haskins, reduce da un colloquio in settimana con Ron Rivera, avente per oggetto la poca qualità del suo gioco offensivo e dalla retrocessione a backup a favore di Kyle Allen. A Washington se non altro hanno fatto l’abitudine a non coltivare particolari speranze dopo il primo mese di ostilità, la squadra non ha opposto sostanzialmente nulla al talento nettamente maggiore messo in campo dai Ravens e l’attacco, come spesso è accaduto, non riesce a produrre nulla di rilevante.

Vinca il peggiore.

HOUSTON TEXANS

Se la situazione attuale è questa, di sicuro va colpevolizzata tutta la struttura societaria, a partire dalla proprietà. Da lì è difatti partita la responsabilità per la troppa fiducia data a Bill O’Brien, che ha ricoperto i ruoli di head coach e general manager eseguendo tutte le disgraziate mosse che hanno tolto al roster alcune risorse presenti e future di non poco conto. L’ombra più grossa rimane quella di DeAndre Hopkins, un’autentica superstar che per anni ha retto quasi da solo il peso del gioco aereo dei Texans facendo coppia fissa con DeShaun Watson, spedito in Arizona senza troppi complimenti in cambio di un secondo round, un valore che poteva essere ben più alto. Chi credeva che firme come quella di Randall Cobb o lo scambio che ha portato a Brandin Cooks potessero rimpiazzare la produzione dell’ex-Clemson è stato prevedibilmente smentito dai fatti, dato che il reparto offensivo è negli ultimi posti di lega per punti e yard, ed il gioco di corse, che vede quale protagonista David Johnson, parte della merce di scambio per Hopkins, è sostanzialmente nullo. Andare più indietro nel tempo e ricordare il costo della trade che portò a Laremy Tunsil e al relativo rinnovo significa solamente infierire ancor più.

Sarebbe stato più utile non lasciare completa carta bianca ad un allenatore già così tanto assorbito dalla sua posizione principale, e dargli il benservito dopo solamente un mese di gioco non significa altro che alzare bandiera bianca su un’annata che si poteva già annunciare come disgraziata. Il problema vero riguarda l’impossibilità di mettersi a perdere un numero cospicuo di gare pena il fare un grosso favore ai Dolphins, che detengono il primo e secondo giro 2021 di Houston quale ricompensa per essersi presi cura dell’appena menzionato Tunsil, da questo punto di vista è già una buona notizia che il calendario proponga delle partite più abbordabili rispetto ad un inizio tutto sommato brutale, ma il discorso dell’assenza di risorse determinanti per il futuro della franchigia resta in ogni caso valido, per quanto in basso possano andare le selezioni cedute a Miami.

Si riparte da Romeo Crennell, nominato head coach sino al termine della stagione, il quale dovrà partire a sistemare le varie faccende di casa con una difesa in grado di elargire un quantitativo esagerato di yard su corsa, cercando nel contempo di innescare un David Johnson per il quale non sembrano esserci varchi e ripristinare la fiducia di Watson, che dopo aver accettato di far parte della squadra per il futuro a lungo termine rischia di pentirsi di tale decisione, dato che l’anno il draft non porterà talento di prim’ordine e le scommesse eseguite su Cooks e Cobb, oltre ad un Kenny Stills sotto-utilizzato, non lasciano ben sperare per il futuro del reparto offensivo.

MIAMI DOLPHINS

Nonostante le forze si presentassero sulla carta impari, i Dolphins hanno senza dubbio dato del filo da torcere a Seattle, sprecando tuttavia l’occasione di vincere una gara molto importante per morale, campionato e prospettive future. Si è invece caduti nel solito vortice di negatività, Ryan Fitzpatrick, quando non fa notizia per le sue pittoresche interviste, si è confermato essere un quarterback inconsistente e l’ombra di un Tua Tagovailoa oramai in perfetta salute incombono tanto da far esitare coach Flores nella conferenza stampa dello scorso lunedì quando interrogato sull’immediato futuro del ruolo.

Tutto bene quando emerge la versione Fitzmagic che fa strabuzzare gli occhi per la capacità di improvvisazione e la mobilità più che apprezzabile per un regista con 16 stagioni alle spalle, è chiaro che la responsabilità non può ricadere su un solo giocatore a patto che si accetti anche l’altra parte della luna, quella più scura, dove si legge la conferma degli alti e bassi di un giocatore che ancora una volta si trova ad avere più intercetti che passaggi da touchdown a conferma delle decisioni non sempre brillanti, al contrario del look post-partita. Domenica contro Seattle è mancata proprio la capacità di segnare mete, e se conteggiato un differenziale di soli 8 punti nel tabellino finale si comprende molto chiaramente come i dettagli avrebbero potuto giocare un’enorme differenza permettendo ai Dolphins di prendere maggiore coscienza delle loro possibilità.

C’è ancora molto disequilibrio nella proporzione tra lanci e corse, con Myles Gaskin a capeggiare il backfield con una decina di portate tutto sommato produttive ma una conseguente rotazione del tutto assente, che non giustifica la presenza né di Breida né tantomeno di Howard, che si pensava potesse rappresentare un’arma adatta ad un gioco più fisico e decisivo nelle ultime 20 yard, un fattore che avrebbe certamente aiutato a ridurre gli errori cui Fitzpatrick è da sempre soggetto. Alla fine i due intercetti rimediati presentano il loro conto, e pesano tanto quanto l’inefficienza dimostrata in redzone, dove Miami aveva ottenuto risultati decisamente superiori nelle tre settimane precedenti a questa.

Pare inadeguato il fatto di chiamare una corsa per un terzo e nove in zona favorevole con il touchdown del possibile sorpasso a portata di mano, fallirne la conversione ed accontentarsi dell’ennesimo field goal, in quanto si mette in luce una gestione delle chiamate non sempre convincente, dato che Flores dovrebbe sapere che restituire il possesso a Russell Wilson affidandosi alla propria difesa non è la miglior ricetta per tentare di sconfiggere i Seahawks.

HONORABLE MENTION: DETROIT LIONS

Non sembra proprio essere l’anno in cui i Lions riusciranno mai a gestire un vantaggio in doppia cifra, in quanto la tendenza a sparire dal campo dopo primi quarti giocati molto bene sta lentamente facendo crollare una squadra oggi ferma ad 1-3 e dal futuro apparentemente compromesso. La difesa non riesce a fermare nessuno ed ora ci si mette anche la poca produttività offensiva, con la linea incapace di proteggere adeguatamente Stafford e vecchi protagonisti come Marvin Jones oramai dati per dispersi. Il tutto porta a sei il conto delle partite consecutive perse dopo aver inizialmente detenuto un vantaggio di dieci punti, abbassando sempre più le quotazioni di un Patricia la cui panchina sta cominciando a scaldarsi molto pericolosamente.

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