Negli ultimi anni la Nfl ha visto numerose evoluzioni offensive prendere forma, portando alla diversificazione delle singole caratteristiche previste per un ruolo specifico e di conseguenza alterando l’importanza di un determinato giocatore. La lega è sempre meno ricca di quarterback tipici, i giovani in uscita dal college posseggono braccia forti ma anche un istinto di sopravvivenza che conta di più della capacità di interpretare le difese, e le doti atletiche sono di gran lunga superiori rispetto a quelle del classico regista da tasca. La crescita nell’utilizzo della spread offense e dei concetti in option ha portato ad un maggior fabbisogno numerico di wide receiver, peraltro spesso eterogenei per caratteristiche fisiche, lo slot è diventato un ruolo indispensabile negli schemi base di chiunque, ragione per la quale mercato e draft vedono una sempre crescente attenzione verso la disponibilità di ricevitori, che dopo i quarterback rappresentano il ruolo in grado di strappare i contratti più onerosi di tutto il panorama professionistico.

Todd Gurley è stato rilasciato dai Rams, ora giocherà ad Atlanta.

In questo nuovo scenario il running back ha perso pesantemente d’importanza, e non solo per una questione di posizione di scelta al draft. Fino a non troppo tempo fa tale ruolo rappresentava il fondamento del football, senza un gioco a terra molto produttivo nessuna squadra Nfl poteva pensare di competere ad alti livelli ed ogni franchigia rispettabile aveva il suo asso a lungo termine nella specifica posizione. Un concetto ritenuto valido ancor oggi – basti pensare alla magica cavalcata di quei Titans letteralmente portati sulle spalle da Derrick Henry – che nella mappa della lega riveste una percentuale di minoritaria presenza.

Non significa certo che il running back sia divenuto un ruolo molto meno importante, teniamo debitamente da conto del fatto che la mono-dimensionalità degli attacchi non paga mai e le migliori squadre dispongono di un backfield produttivo in grado di chiudere le partite quando serve o di togliere la pressione dal quarterback quando quest’ultimo non è una superstar o è alle prime armi; la crisi del settore riguarda più i numeri, l’usura e soprattutto la possibilità di trovare risorse senza spese eccessive per un salary cap ancora in crescita ma per il quale sempre più general manager stanno trovando soluzioni per deviare i costi sui ruoli più essenziali, che oltre a quarterback e wide receiver vedono una grossa crescita dei pass rusher e la sempre dovuta attenzione alla composizione delle due linee di trincea.

Le più recenti indicazioni riguardanti la specifica posizione sono molto chiare: o il giocatore possiede un talento di quelli che arrivano una volta ogni dieci/quindici anni, oppure tutti sono perfettamente intercambiabili se non addirittura sostituibili a minor costo. In sostanza, o si ha la fortuna di essere Zeke Elliott, oppure il destino, dopo un certo chilometraggio, è già profondamente segnato.

Le’Veon Bell è finito ai Jets, in un contesto assai poco vincente pagando i suoi capricci.

In un mondo come quello in cui è vissuto Emmitt Smith – che in carriera ha guadagnato molto più dei suoi colleghi odierni nonostante un salary cap moltop più basso – giocatori come Le’Veon Bell, Todd Gurley e Melvin Gordon avrebbero dovuto terminare le rispettive carriere presso le compagini originarie con contratti assai onerosi fino ad arrivare di poter scegliere di trascorrere gli anni vicini al ritiro altrove dopo aver però già raggiunto ragguardevoli traguardi, proprio come fece l’ex-Cowboys ai suoi tempi.

Invece il panorama odierno è più crudele, perché nell’ultimo biennio solamente Elliott è riuscito ad avere la meglio sulla sua squadra dopo aver forzato un holdout chiedendo un contratto più adeguato alla sua straordinaria produzione sul campo, impresa invece fallita sia da Bell nei confronti degli Steelers che da Gordon verso i suoi Chargers, ed oggi entrambi i giocatori vestono non a caso un’altra uniforme e non hanno le stesse prospettive di prima. Il caso-Gurley è differente ma ugualmente emblematico, perché parliamo di una superstar indiscussa che ha dominato la lega a suon di touchdown, ma questo non ha impedito ai Rams di ammettere l’errore commesso al momento del suo rinnovo contrattuale – un quadriennale da 45 milioni garantiti che peserà per 8.400.000 dollari sul cap del 2021 mentre il ragazzo vestirà l’uniforme dei Falcons – con un taglio derivato da un rendimento chiaramente azzoppato dai continui problemi alle ginocchia, e sul quale rimarrà vita natural durante un alone di mistero che solo a Los Angeles conoscono veramente.

Oggi il running back sa fare tutto, correre in mezzo ai tackle, esplodere all’esterno, e giocare da ricevitore aggiunto. Tanti protagonisti del ruolo accumulano statistiche sempre più simili a quelle di Marshall Faulk, un tempo una mosca bianca per l’unicità nello skill set ma che oggi avrebbe con tutta probabilità una concorrenza più folta. Il maggior utilizzo comporta un’usura più rapida ed una più probabile frequenza negli infortuni, motivo principale per cui non è così strano vedere un protagonista del ruolo privato del suo rinnovo dopo la scadenza del contratto da rookie, proprio l’errore che i Rams hanno commesso agendo al contrario.

I Chargers non hanno sentito molto l’assenza di Melvin Gordon.

La lega è piena di ragazzi che si sono ritagliati un ruolo da titolare o da comprimario senza il blasone di numerosi loro colleghi. I Chargers hanno puntato su Austin Ekeler, che non ha certo fatto rimpiangere l’assenza di Gordon e che permette alla squadra di schierare un tuttofare alla modesta cifra di 15 milioni garantiti per quattro anni, con 6 milioni di signing bonus, importi ben inferiori rispetto a quanto Gordon richiedeva come adeguamento un anno fa, cifre che nemmeno oggi riceverebbe dopo aver giocato uno spezzone di 2019 a livelli assai inferiori rispetto ai due anni precedenti. L’approdo di Gordon ai Broncos dimostra più cose in un solo colpo: anzitutto che il giocatore rappresenterà solo una parte del contributo del backfield perché giocatori come Philip Lindsay – originariamente un free agent mai scelto – possono vincere il posto da starter pur essendo titolari di contratti modesti (1.800.000 dollari di entrate totali in tre anni), e che per il ruolo non vale sempre la pena di svenarsi in fase di draft, come dimostrano le prime due stagioni giocate da Royce Freeman, un terzo round mai in campo per più di metà degli snap offensivi di squadra nei suoi primi due anni da professionista, risultato certamente inferiore rispetto a qualche ragazzo uscito dal college e mai selezionato.

La tesi è altresì avvalorata dal fatto che Le’Veon Bell è finito per firmare con i Jets alle stesse cifre che aveva rifiutato a Pittsburgh accettando peraltro una realtà perdente, una dimostrazione dello scarso potere contrattuale oggi in dote al ruolo, nonché dalla trade che ha portato a Houston David Johnson per DeAndre Hopkins, squilibrata sotto tutti i punti di vista in primis perché trasporta sul salary cap dei Texans il terzo contratto più pesante di lega per la specifica posizione a vantaggio di un giocatore vicino ai trent’anni, con gravi infortuni alle spalle e che sembra aver già dato il meglio di sé negli anni passati per il significativo utilizzo che si è accollato. Ed è proprio con questo concetto che i Titans hanno posto il franchise tag su Derrick Henry, garantendo a loro stessi di poter spremere il giocatore per un altro anno senza vincolare troppo il salary cap degli anni successivi, potendosi permettere di valutare opzioni meno costose in futuro ma non per questo inferiori come talento.

Damien Williams, da undrafted free agent a titolare della vincente al Super Bowl.

Non sono più i tempi di Adrian Peterson e questo è fuori discussione. I Rams possono permettersi di tirare avanti con Darrell Henderson e Malcolm Brown. I Chiefs hanno vinto un Super Bowl con Damien Williams (undrafted free agent all’epoca prelevato da Miami), assoluto protagonista delle ultime due edizioni dei playoff per touchdown messi a segno. Gli infortuni hanno azzoppato il valore di mercato di Devonta Freeman, che solamente pochi anni fa aveva prodotto circa 1.500 yard e 13 mete, ed oggi è un non-fattore, una sorte che potrebbe costare diversi milioni di dollari anche a Dalvin Cook, free agent al termine della prossima stagione semmai questa avrà luogo. Investimenti troppo alti al draft non hanno pagato, come nel caso di Ronald Jones II, per il quale i Buccaneers hanno speso una seconda scelta per avere di ritorno una produzione mediocre rispetto a quanto mostrato al college, e se commisurata al rendimento del già citato Lindsay e di Gus Edwards, entrambi pescati dalle matricole non scelte rispettivamente da Broncos e Ravens.

Il mercato dei rinnovi dei prossimi due anni sarà invece intrigante per capire il come le franchigie intenderanno procedere nei confronti di alcuni tra i nomi più grossi del ruolo come l’onnipotente Saquon Barkley, Alvin Kamara – un contratto incredibilmente basso in rapporto alla produzione – e soprattutto Christian McCaffrey, il motore offensivo dei Panthers. Non tutti potrebbero pensarla allo stesso modo decidendo di investire le cifre che tali giocatori richiederanno in un mercato di settore che si sta livellando sempre più verso il basso per quanto le statistiche di questi ragazzi indichino esattamente il contrario, perché un numero molto significativo di general manager non è disposto ad intasare le casse di squadra per un ruolo non più di primaria importanza.

Aggiungiamoci un draft carico di talento tra i wide receiver, ed il futuro del running back rischia di essere sempre più nebuloso.

 

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