Sono trascorse pochissime ore dal clamoroso annuncio di Andrew Luck, ed ancora la notizia è difficile da digerire adeguatamente. Non capita spesso, difatti, di trovarsi a scrivere una storia così fluida ed apparentemente perfetta per la situazione che i Colts si trovarono costretti a superare a causa dei problemi al collo del leggendario Peyton Manning, con conseguenze disastrose per la stagione successiva in termini di bilancio tra vittorie e sconfitte, una squadra troppo dipendente dal suo indiscusso leader per poter presentare qualcosa di veramente competitivo in campo, ma dal lato opposto anche una grazia, perché di lì a poco il Draft avrebbe portato proprio un giovane da Stanford che di Manning ricopriva il medesimo ruolo, ripromettendosi di far trascorrere nuove ore di felicità ai frequentanti del Lucas Oil Stadium e all’Indiana tutta, all’insegna della continuità.

Non è la prima volta che la franchigia si trova a dover assorbire un colpo del genere, le traversie dei Colts sono ben documentate e non sempre le cose sono andate come da programmi. Luck si è infatti trovato a dover rivestire i panni di Manning non solo per il suo saper adeguatamente rappresentare la figura di franchise quarterback, ma pure nel dover affrontare una simile – ed a posteriori ancor più pesante – sorte nei riguardi degli infiniti problemi fisici patiti in questi anni, lasciando Indianapolis ad affrontare ulteriori tempeste agonistiche in attesa di poterlo riavere a disposizione, ponendo termine alla lunghissima convalescenza nei riguardi di quella maledetta spalla in maniera sorprendente, costruendo la miglior stagione di carriera in un 2018 dove la squadra, grazie anche alla sua ritrovata presenza, era tornata ad essere una rilevante concorrente nel quadro playoff della Afc.

Per molti esperti è un colpo letale per le ambizioni di franchigia e per il futuro a breve termine, ma non è affatto detto che la situazione debba prendere questi esatti risvolti. Reazione comprensibile, certo, un quarterback di quel talento che ha sempre dimostrato di valere la sua posizione di scelta e di possedere tutte le caratteristiche fisiche e morali per trascinare una squadra a successi assortiti per oltre un decennio non è sostituibile con il primo ragazzo che passa per strada, ma se non altro a Indianapolis ci si è costruiti una discreta esperienza in materia, ed a conforto viene senza dubbio l’operato che il general manager Chris Ballard ha svolto nel ricostruire una franchigia che stava affondando per chiarissime lacune nei ruoli chiave più elementari, su tutti una linea offensiva neanche vicina ai limiti della decenza. Nel ragionamento va inoltre tenuto debitamente conto dell’alto tradimento perpetrato a suo tempo da Josh McDaniels, promesso sposo della sideline blu e bianca mai presentatosi all’altare, avviando una serie di meccanismi che ha portato alla veloce e fruttifera assunzione di Frank Reich, segno che da quando c’è Ballard si può prendere una decisione ottimamente calibrata anche senza avere il tempo materiale per farlo.

Chiaro che la persona ove tutti volteranno il proprio sguardo ora è Jacoby Brissett, peralro già in passato incaricato di traghettare la squadra tra un infortunio di Luck ed il successivo recupero, ma la grande differenza tra questi e quei i Colts risiede nel poter oggi presentare una squadra più completa e competitiva rispetto al 2017, l’anno che la logica porta a prendere quale analogia rispetto alle circostanze sviluppatesi in queste ore. E’ cambiato molto rispetto ad allora: c’è una linea offensiva ringiovanita ed amalgamata, edificata sulle intuizioni di un general manager che nel giro di pochi mesi ha centrato un successo dietro l’altro (le chiamate al Draft di Quenton Nelson e Braden Smith, il raccattare dai waivers Mark Glowinski) un lavoro avvalorato dall’essere riusciti a passare dal peggior al miglior rendimento di settore nel giro di una sola stagione; il gioco di corse ha bilanciato bene la rete di passaggi grazie all’inserimento di Nyheim Hynes a supporto di Marlon Mack, un tandem rivelatosi assai produttivo; non ultimo una difesa oggi portata sotto i venticinque anni di media e che conta su assi come Darius Leonard, il più inatteso degli All-Pro, come pure i preziosi Malik Hooker, Kenny Moore, Anthony Walker, un gruppo futuribile e compatto cui manca solamente un pass rusher di comprovata consistenza per eseguire quello che dovrebbe essere il passo conclusivo di un maquillage coi fiocchi.

Brissett riprende le redini offensive con un cast profondamente rinnovato, ed una situazione personale sicuramente più agevole. La trade che i Colts orchestrarono con i Patriots quel 3 settembre del 2017 era derivata proprio dall’urgenza di colmare l’assenza di Luck, ma inserire un quarterback privo della necessaria esperienza a distanza così ridotta rispetto al kickoff del campionato non era certo un’impresa semplice. Nuovo playbook, nuova filosofia offensiva, ricevitori con peculiarità differenti, e soprattutto un trasloco da organizzare in tutta velocità, un aspetto sempre molto sottovalutato per quanto questi ragazzi siano psicologicamente preparati ad ogni evenienza in qualsiasi istante del loro percorso professionistico.

Oggi l’ex-North Carolina State ha invece una più elevata conoscenza di questi meccanismi offensivi e si trova a gestire una situazione tecnica a lui più consona rispetto a due stagioni fa, quando si era distinto per la durezza caratteriale dimostrata nonostante i colpi fatti generosamente passare da una trincea disastrosa, e per essere un giovane fortemente caratterizzato da una capacità di leadership del tutto matura, che risiede tra le motivazioni per cui i Colts hanno rifiutato ogni richiesta di trade una volta che Luck era tornato ad essere lo starter regolare della regia. Idilliaca a dir poco è la possibilità di poter ascoltare le direttive di Reich, uno che da giocatore ha solamente inscenato la più grande rimonta nei playoff di tutti i tempi sostituendo l’infortunato Jim Kelly e che dell’essere backup affidabile ne ha fatto un’arte, modellandola fino a preparare personalmente Nick Foles ad affrontare il percorso poi vincente di Philadelphia nel mezzo della burrasca del primo infortunio di Carson Wentz.

Brissett non sarà mai Luck vista l’unicità di quest’ultimo, ma non per questo la stagione dei Colts dovrà necessariamente frequentare i bassifondi della Lega. In fin dei conti quella linea offensiva così coesa ritorna intatta assieme alla coppia di running back di cui sopra, i quali dovranno togliere pressione al quarterback seguendo il già buon operato dell’anno passato, ed il perennemente affidabile T.Y. Hilton sarà affiancato dal nuovo acquisto Devin Funchess, un buonissimo complemento per le sue differenti caratteristiche fisiche, nonché importante minaccia aggiuntiva in fase aerea, tutti pezzi di un puzzle che Brissett potrebbe ritrovarsi a comporre con difficoltà, ma non certo con impossibilità, a maggior ragione avendo condotto la first team offense per lunghissimi tratti del training camp.

Estendendo ulteriormente l’orizzonte sarà invece interessante comprendere che accadrà dopo il campionato, quando il quarterback sarà free agent e Ballard sarà chiamato ad una decisione determinante. Il rendimento di Jacoby sarà di fatto l’unità di misura con cui il general manager dovrà confrontarsi e decidere se investire subito su un talento collegiale confermando nel frattempo Brissett per il tempo necessario alla crescita della draft pick (ma anche qui, si dovranno fare i conti con la futura posizione di scelta, che non è detto sia così alta…), oppure esaminare quali saranno le opzioni disponibili via free agency e trade, fino all’opzione di tenere in considerazione un rinnovo importante per l’attuale titolare qualora le cose andassero decisamente bene. Visto quanto dimostrato sinora, ci sono pochi dubbi che Ballard saprà prendere la miglior via possibile.

L’unico risvolto positivo della decisione di Luck risiede nel fatto che i Colts al momento sono davvero in buone mani grazie ad un front office che ha risanato la situazione salariale di squadra ed ha ringiovanito tutti i settori lacunosi del roster, iniettandovi forti dosi di talento. Reich, inoltre, si è costruito una doppia carriera volgendo la sua eterna  sottovalutazione a favore, per cui affrontare una tale impesa una volta in più non gli farà certo differenza.

Le carte sembrano quindi essere destinate ad una giocata produttiva. Non resta che togliere l’asso, e vedere che succede.

 

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