1) I GIANTS DEVONO PRENDERE UNA DIREZIONE CON CELERITA’

Il punto a cui siamo giunti, fattore congiunto al pessimo record ad oggi detenuto dai Giants, impone non solo delle riflessioni, ma pure una presa di coscienza del fatto che è necessario agire al più presto. Era già successo durante lo scorso campionato, la differenza è che si stava in una fase più avanzata, oggi invece non si vede la convenienza nel giungere troppo a ridosso della chiusura della regular season, perché il tempo passa ed il futuro dev’essere necessariamente programmato. Il discorso non può non riguardare il giocatore più importante della squadra, il quarterback, gli anni passano ed Eli Manning non ringiovanisce, e senza un piccolo lume di competitività non ha senso tenere la situazione attuale senza conoscere le alternative che il domani può presentare.

Sia chiaro, l’analisi delle ovvie difficoltà dei Giants non può essere limitata alle prestazioni di Manning specialmente quando le medesime sono viziate da una linea offensiva fino a questo momento inadeguata, ci sono decine di concorsi di colpa da estrarre per capire i motivi del 1-5 con cui New York intravede solo la possibilità di un’altra scelta alta, pur considerando che la resa del regista è ben lontana da ciò che fu ai tempi d’oro dei due Super Bowl. Piuttosto, non ci è ben chiaro il motivo per cui i media continuino a criticare con insistenza la scelta di Saquon Barkley a sfavore del quarterback del futuro, dal momento che il running back sta tenendo in piedi la baracca offensiva in sostanziale solitudine. Tutti i big play principali giungono da una produzione fino a questo momento eccellente che individua un giocatore bi-dimensionale, il quale ha collezionato 6 mete con un computo di total yard pari a 811, con ovvie conclusioni da trarre proiettando queste statistiche sulle tradizionali 16 partite.

Quindi, a nostro modesto parere, i Giants nulla hanno sbagliato in sede di Draft, perché il nuovo regista potrebbe arrivare dalla prossima tornata di selezioni ed avere già il vantaggio di possedere un playmaker offensivo di totale garanzia, senza contare la presenza di Odell Beckham, nonostante la fatica a ritrovare affinità con la endzone e le continue distrazioni che quella bocca in perenne movimento provoca. Il quadro indica una possibile inutilità nel proseguire alle condizioni attuali, il record indica che sarebbe almeno necessario testare la consistenza delle alternative pur comprendendo il come l’ambiente sia debitore di una certa lealtà nei confronti di Manning, ma che ora, a differenza dello scorso anno, sia davvero giunta l’ora di voltare pagina.

Resta il fatto che chiunque si schiererà sotto il centro dovrà essere protetto in maniera adeguata, e qui il cantiere è apertissimo nonostante le ingenti somme versate per ottenere i servigi di Nate Solder, sinora deludente come tutto il fronte offensivo, il quale è appena passato dal taglio dell’ex prima scelta Ereck Flowers, mossa che ne ha definitivamente creato l’apposita etichetta di bust.

2) NATHAN PETERMAN HA NUOVAMENTE COMPROMESSO IL BILANCIO DEI BILLS

Chiariamo velocemente una cosa, non ci piace affatto inveire contro un singolo giocatore che ha fatto mille sacrifici per giungere in un roster professionistico di football americano, tuttavia la sommatoria di indizi conduce sempre alla formazione della prova definitiva, e nel caso di Peterman le prove sono addirittura più d’una. Senza rivangare inutilmente il passato basta fermarsi a quanto accaduto quest’anno, e capire che i Bills hanno completamente sbagliato la valutazione in fase di cesellatura estiva del roster individuando un titolare chiaramente non in grado di comandare a dovere l’attacco tenendo un livello decisionale accettabile, e, peggio ancora, dopo aver promosso Josh Allen a starter non ci si è resi conto – o lo si è fatto troppo tardi – di non avere nemmeno un backup all’altezza.

In ambedue i casi gli indizi portano a Peterman, impresentabile nell’esordio di campionato contro i Ravens e purtroppo decisivo nella sconfitta riportata in uno scontro tiratissimo come quello condotto con i Texans, andato a penalizzare una prova difensiva di certificata qualità. Con Allen fuori per infortunio a Nathan va attribuito il merito di aver costruito un drive vincente terminato con il touchdown di Zay Jones, tuttavia il pick-six che ha affossato per l’ennesima volta le speranze di Buffalo rappresenta l’ennesimo un nuovo errore di queste cinque deleterie apparizioni, una quantità di valutazioni negative quasi impossibile da sopportare per chiunque a livello psicologico. La questione non è tanto l’accanirsi con poco costrutto su un giocatore già abbondantemente demoralizzato, è il non poter più difendere le dichiarazioni estive del management di Buffalo, che ha sostenuto più e più volte che la consistenza di Peterman non poteva essere definita dai famosi cinque intercetti contro i Chargers.

Quanto visto sul campo, però, suggerisce il contrario, e Peterman, per quanto dispiaccia, vede equivalere la sua presenza nel rettangolo verde ad un disastro annunciato. Crediamo che questo, oramai, non possa più essere cambiato e che ciò aumenti le perplessità nel già esposto tema della costruzione del roster nel ruolo, quando ci sarebbe stata la possibilità di avere anche A.J. McCarron e capire a quali prospettive la sua presenza avrebbe potuto condurre. Il peccato più grave è che tutto ciò porta inevitabilmente a giudicare i Bills una pessima squadra quando in realtà non lo sono, perlomeno non del tutto. Al di là delle scoppole ricevute nelle prime due uscite la difesa ha ritrovato presto l’identità dell’anno scorso, è un reparto in grado di pressare e contenere anche gli attacchi produttivi come quello dei Texans, riducendo la prestazione di Deshaun Watson ad un misero 61.6 di quarterback rating, oltre ad una notevole collezione di turnover. C’è una bella differenza tra un 3-3 e l’attuale 2-4 per il morale di uno spogliatoio e per i giudizi sul profilo della squadra, e purtroppo questa differenza si chiama Nathan Peterman.

3) BENGALS SCONFITTA RISCHIA DI COMPROMETTERE FIDUCIA

Non ci voleva. Non di nuovo. Questo avranno pensato giocatori ed affezionati ai Bengals, partiti così bene e verosimilmente attrezzati per scavare un importante solco tra loro stessi e gli odiati Steelers nella corsa al titolo della Afc North, un’occasione talmente ghiotta da non permettersi di poter nemmeno pensare di sprecarla. La giuria riunita al Paul Brown Stadium ha emesso un’altra sentenza difficilissima da digerire pur non compromettendo la posizione di classifica, ma crediamo che l’ennesima sconfitta riportata contro Pittsburgh ed il modo in cui la stessa ha preso forma possa produrre delle ripercussioni dalle quali Cincinnati potrebbe non riprendersi facilmente a livello psicologico.

I numeri parlano chiaramente: settima resa consecutiva contro gli Steelers, decima delle ultime undici, la sedicesima casalinga delle ultime diciotto. Tuttavia è il contesto a delineare il costo mentale di quest’ultima battuta d’arresto, perché oltre alla quantità di frustrazione che va a sormontare quella pre-esistente c’è da considerare che i Bengals si trovavano in perfetta solitudine al comando della Division – tetto ora condiviso con i Ravens – e lo stavano facendo in concomitanza della a dir poco problematica partenza stagionale degli uomini di Mike Tomlin, presi da mille problemi interni allo spogliatoio ed un rendimento non consono alle potenzialità, fattore decisivo nel decretare un distacco in classifica che una vittoria oramai acquisita avrebbe potuto solamente potenziare.

Per la terza occasione negli ultimi sei scontri diretti gli Steelers sono andati ad aggiudicarsi la partita negli ultimi 15 secondi. Il quadro, all’apparenza, sembrava perfetto: Cincinnati aveva costretto gli avversari ad accontentarsi di un paio di field goal, Antonio Brown non era stato un fattore, e la serie di 75 yard con cui i padroni di casa avevano messo la testa avanti – meta di Joe Mixon – giungeva a puntino dopo aver collezionato solamente 49 yard nei tre possessi precedenti, come a dire che la situazione di crisi offensiva del secondo tempo era stata presa adeguatamente in mano e gestita a dovere. Nel momento stesso in cui Mixon ha fatto ingresso in meta il cronometro recitava ancora un minuto e diciotto secondi di rimanenza, ed il commentatore tecnico della partita, Dan Fouts, aveva appena sottolineato l’importanza dell’aver segnato rispetto a quanto potenziale tempo venisse lasciato per la replica, una considerazione che personalmente ci aveva lasciato parecchi dubbi.

Conoscendo Roethlisberger ci si poteva difatti attendere la magica apparizione di 77 yard in 68 secondi di gioco, e la conseguente segnatura decisiva nata proprio da un big play confezionato assieme a quel Brown tenuto tutto sommato buono per ampie porzioni della gara. Big Ben ha così ottenuto la rimonta numero 44 di carriera, l’ottava contro i Bengals, portando il suo record al Paul Brown Stadium a 16-2. Crisi Steelers o meno, gli stessi restano un ostacolo ad oggi insormontabile per i poveri Bengals, il cui panorama sinora davvero piacevole è stato bruscamente annebbiato dal nemico giurato di sempre. La capacità di scrollarsi di dosso il tutto avrà un serio collegamento con il prosieguo del cammino dei ragazzi allenati da Marvin Lewis.

4) I REDSKINS CONTINUANO A NON CHIUDERE LE PARTITE IN MANIERA ADEGUATA

La storia continua a ripetersi facendo sembrare il paragrafo che stiamo per spiegare come un disco rotto, tuttavia il susseguirsi di situazioni completamente identiche tra loro è sintomo della mancanza di una qualsiasi ricerca nella risoluzione di un problema che sta fortemente contraddistinguendo la carriera di Jay Gruden in quel di Washington. La consistenza di una squadra si giudica soprattutto dalla capacità di chiudere adeguatamente le partite, un aspetto da cui i Redskins sono lontani a causa della differenza nella produzione tra i primi ed i secondi tempi di un ampio campione di gare che permette di poter definire una tendenza ben precisa.

E’ accaduto ancora una volta domenica scorsa contro i Panthers, che la partita hanno più volte tentato di regalarla: il primo tempo è facilmente riassumibile, due turnover di D.J. Moore hanno aiutato non poco Washington nel prendere inerzia positiva e cogliere posizioni di campo a proprio favore, con Alex Smith a condurre due drive ben equilibrati e produttivi, terminati con le rispettive mete di Vernon Davis e Paul Richardson, ambedue nate da una corretta esecuzione dei presupposti di mismatch messi a punto dalle chiamate offensive, fino a quel momento certamente soddisfacenti. Il solito tragico vuoto si è inevitabilmente manifestato attraverso i soli nove punti segnati nei tre quarti conclusivi, niente più mete a referto, parecchie situazioni di stallo, improvvisa incapacità di trovare giocate consone alla situazione con notevoli risparmi del cronometro per consentire a Carolina più volte di poter rientrare, ed un pericoloso affidarsi ad una difesa fortunatamente efficace nell’opporsi a Newton mantenendo le distanze di sicurezza fino all’ultima serie di giochi, che ha lasciato aperti discorsi che una squadra più aggressiva avrebbe certamente chiuso molto prima.

Aggiungendo la gara di domenica, quest’anno i Redskins hanno segnato sei o meno punti in tutti i secondi tempi delle cinque gare sinora disputate, una statistica che spiega l’impossibilità di ottenere qualsiasi tipo di successo in prospettiva playoff a meno di un’improvvisa impennata di rendimento nei trenta minuti conclusivi, preferibilmente accompagnata da un maggior senso logico delle disposizioni offensive che arrivano dalla sideline. Fino a questo momento la relazione tra la produttività del gioco di corse e le vittorie ottenute non fa una piega, ma rischiare di farsi beffare all’ultimo minuto in una giornata dove i Panthers ne hanno azzeccate davvero poche è una fatica ingiusta, troppo grande per godere della considerazione pari a quella di una vera squadra di spessore.

Per tenersi stretti quel primo posto divisionale poco veritiero serve un’aggressività ben maggiore di questa.

5) LA DIFESA DEI JAGUARS DEVE RIGUADAGNARSI CREDIBILITA’

Quando il miglior piatto che la casa abbia da offrire è la difesa, e la stessa produce prove come quella letteralmente terrificante di domenica scorsa è chiaro che sia necessario correre urgentemente ai ripari. Se la sconfitta contro i Chiefs era stata causata dalla ritrovata inettitudine offensiva, la disfatta contro i Cowboys parla chiarissimo nei riguardi di come questo pesantissimo passivo sia pervenuto, individuando una serie di errori difensivi assai poco consoni per un reparto di quella qualità e che non ha vissuto modifiche radicali rispetto alla scorsa stagione.

Dallas ha letteralmente macinato gli avversari con 206 yard di corsa, senz’altro il dato che spicca maggiormente rispetto agli altri. Nulla da togliere al talento di Zeke Elliott e Dak Prescott quando si tratta di sprintare in mezzo ad omaccioni che vogliono tirarli giù a tutti i costi, tuttavia moltissime situazioni a favore dei Cowboys sono state generate da gravi disattenzioni del fonte difensivo, con parecchie finte in circostanze di zone read erroneamente interpretate, uomini di linea mal posizionati, e semplici dimostrazioni di superiorità atletica nell’uno contro uno, una sommatoria di fattori che ha certamente concorso nell’accumulo delle 82 yard con annessa meta che Prescott ha portato a casa, spesso trasformando giocate potenzialmente negative in guadagni persino esagerati, tra cui una galoppata di ben 28 yard allestita mentre ancora qualche difensore non aveva ben deciso da che parte girarsi per contrastare l’azione.

Dal punto di vista delle coperture in fase aerea le cose non sono certo andate meglio: i due touchdown di Cole Beasley nascono difatti da dimenticanze in fase di marcatura derivanti da assenza di un’adeguata comunicazione, nella seconda delle due esemplificazioni la difesa ha pressato solamente con due uomini di linea per un’errata intesa tra Jackson e Dareus, entrambi indietreggiati per andare in copertura, mentre in un’altra azione solo un’adeguata pressione ha costretto Prescott a recuperare in tutta fretta un fumble in una circostanza dove Elliott era sfuggito alle coperture trovandosi completamente libero in area di meta. A questo aggiungiamo delle decisioni assai dubbie prese da Bortles, che ha ottenuto un intercetto con il suo ricevitore in tripla copertura, ed alcune chiamate di difficile comprensione come un end around per il tight end Niles Paul – infortunatosi gravemente al ginocchio nel gioco specifico – e comprendiamo il come le quotazioni dei Jaguars siano improvvisamente in forte ribasso.

E parliamo della stessa squadra che aveva trionfato e convinto contro i New England Patriots. Misteri della Nfl.

6) LA RICOSTRUZIONE DEI COLTS E’ ANCORA MOLTO LUNGA

Sembra che non ci sia molto da salvare dei Colts edizione 2018, o almeno questo sostengono i risultati perdenti fino a questo momento archiviati. In qualche partita era sembrato di vedere dei progressi poi non corrisposti dalla serie di quattro sconfitte attualmente detenuta, altre gare – vedi il giovedì notte di due settimane or sono contro i Patriots – sono state condizionate dalle numerose assenze oltre che ad una differenza qualitativa assai notevole, ma alla fine dei conti si possono estrarre tutte le scusanti plausibili ed accampare le giustificazioni di sorta, fatto sta che i bilanci stagionali sono sempre quelli che indicano il da farsi. E questo, nella specifica situazione di Indianapolis, è un aspetto direttamente relazionato alla quantità di pressione che il general manager Chris Ballard sta affrontando in queste settimane.

Ci sono tanti giocatori giovani nei Colts, ma c’è anche poco talento. La questione è stata chiaramente sollevata dall’assenza di T.Y. Hilton, il cui problema al quadricipite non ha ancora una data di possibile risoluzione, ed il fatto ha chiarito che il veterano è l’unica opzione credibile del roster per quanto riguarda il suo ruolo. I wide receiver alternativi, nonostante abbiano segnato qualche meta contribuendo alla causa, hanno commesso una quantità di drop assai poco accettabile, spesso i tight end – soprattutto Eric Ebron – hanno dimostrato di essere gli unici in grado di sobbarcarsi la responsabilità di compilare un congruo numero di big play, e Luck, nonostante le 16 mete accumulate nel giro di sei confronti, non sempre ha preso decisioni brillanti (pesa il pick-six che ha aperto le segnature contro New York), con tutta probabilità per l’assenza di un vero e proprio punto di riferimento che non porti il nome di Hilton. Il gioco di corse, problema oramai di lunga e dolorosa risoluzione, vede gli spiragli di crescita offerti da Marlon Mack ma siamo ancora lontani dalla vera consistenza di un vero backfield Nfl, come dimostra la pressoché totale assenza di produzione di yard e touchdown per via dello scarso equilibrio tra le chiamate di corsa e passaggio, con Luck costretto a scagliare ben 48 passaggi di media a partita.

Il problema più grande della difesa riguarda invece le secondarie, bruciate con disarmante puntualità e soggette alla concessione di touchdown a lunga gittata, parte delle motivazioni per cui la squadra ha già concesso più di trenta punti in quattro delle sei occasioni sinora a avute. La cosa è accettabile se si tratta di giocare contro Tom Brady, un po’ meno se si regala una giornata eroica ad un rookie come Sam Darnold, che arrivava da un momento di difficoltà ed è pur sempre un giocatore privo di chissà quale esperienza. Giusto la settimana scorsa si parlava della grossa affermazione dei Jets contro Denver e di come il tutto nascesse dal gioco di corse, mentre Darnold è passato dal 50% di completi di quella gara al 80% inanellato con grandi ritmi a discapito di Indianapolis, non un grande biglietto da visita per un reparto difensivo fermo alla trentesima posizione Nfl per punti concessi di media.

7) I PATRIOTS SONO ANCORA LETALI NELLE GARE CHE CONTANO

Passano gli anni, ma non le buone abitudini nell’applicazione del più semplice comandamento griffato Bill Belichick: do your job. I Patriots sono stati protagonisti del fantastico Sunday Night giocato contro gli ex-imbattuti Chiefs, non sono certamente esenti dall’avere problemi abbastanza evidenti (la difesa su tutti…), ma alla resa dei conti hanno portato a casa una gara difficilissima, dove si sono misurati colpo su colpo contro l’immensa potenza offensiva di Kansas City. E’ stata una partita di cui ci sarebbe da parlare per ore per tutti gli aspetti che si potrebbero toccare, una gara divertentissima, piena di colpi di genio offensivi, grandi guadagni, belle giocate ed una conclusione che non poteva essere sceneggiata in un modo migliore, con continui cambi di leadership nel punteggio, grandi incertezze ed il consueto, puntuale calcio risolutivo di Stephen Gostkowski, un giocatore che quando la pressione si alza riesce a mantenere una temperatura glaciale nella sua circolazione sanguigna.

Seppur di poco, l’esperienza ha vinto ancora sulla gioventù. I Chiefs continuano a fare paura, sia chiaro, perché hanno dimostrato ancora una volta che basta un semplice schiocco di dita e le conclusioni di Mahomes si trasformano in improvvisi passaggi da touchdown per chiunque senza farsi troppi patemi d’animo sulle distanze da coprire, ma New England, guidata da un Brady capace di scrivere un parziale di 9/12 per 158 yard nel quarto che conta più degli altri, ha creato i presupposti di cui siamo testimoni da quasi un ventennio. Dopo le numerose incertezze iniziali i Patriots sembrano aver trovato un assetto offensivo consono e versatile, i cui protagonisti contribuiscono sfilando in una sorta di rotazione che, a seconda della situazione, trova pronto all’azione un volto sempre differente. Ricordiamo le numerose chiamate per Josh Gordon in un primo tempo contraddistinto anche dalle corse dell’ottimo Sony Michel, la lenta ma inesorabile entrata in gara di James White, il prezioso rientro di Julian Edelman, un Chris Hogan a tratti determinante ed un Rob Gronkowski cancellato dal campo per tre quarti ma mortifero nel periodo conclusivo con due ricezioni di capitale importanza per il destino di quelle due distinte serie di giochi, più che decisive.

Brady ha lanciato una sola meta ma ha permesso a ben cinque ricevitori di racimolare un minimo di 42 yard, ha corso di persona per un’inusuale segnatura di 4 yard – alimentata dall’evidente errore di valutazione del rookie Breeland Speaks, ed ha reagito alle esplosioni offensive di Mahomes, Hill e Hunt con la tradizionale calma glaciale, dimenticandosi del fatto che New England stava rischiando di essere sopraffatta dopo essere stata avanti per 24-9 ed aver giocato un primo tempo difensivamente degno di nota, prima di lasciar intravedere numerose crepe nelle coperture contro il gioco aereo. E, visto che c’è sempre una prima volta, mai nella sua storia la franchigia di Foxboro era uscita vincente da un confronto nel quale aveva subito 40 punti al passivo, che nel nostro caso specifico ricorda la quantità di lavoro da svolgere per rendere questa difesa perlomeno vicina all’accettabile, ma fornendo nel contempo un promemoria sul fatto che gli inutilmente discussi Patriots, partite come questa, possono ancora riuscire a portarsele a casa.

Da squadra in crisi in un recente Monday Night contro Detroit a realtà in grado di tallonare i Chiefs ad una partita di distanza nella Afc: non è passato nemmeno un mese, e la squadra di Bill Belichick sembra essere tornata letalmente puntuale, rispecchiando in toto quella che è sempre stata la sua essenza.

8) I DOLPHINS CONTINUANO AD ESSERE INSOSPETTABILMENTE CONSISTENTI 

Qualche settimana fa, prima della debacle giunta per mano dei Patriots, avevamo sostenuto Miami e la sua essenza di squadra arrivata in punta di piedi all’inizio del presente torneo, ma volonterosa nel produrre un rumore sufficiente nel richiedere il rispetto da parte dei detrattori godendo dei frutti del lavoro di coach Adam Gase e del recupero di Ryan Tannehill da una disgraziata serie di infortuni, ivi aggiungendo la capacità di generare azioni decisive sia in attacco che in difesa, un aspetto evidente in tutte e quattro le vittorie che i Dolphins sono riusciti ad intascare in questa prima frazione di cammino.

L’ultima di queste, ottenuta sul filo di lana contro i buonissimi Chicago Bears, è andata a confermare alcuni trend molto importanti che fino a questo momento hanno fatto girare positivamente le fortune di squadra, una serie di indicazioni sia offensive che difensive le quali stanno emergendo sempre più nei successi della compagine, adeguatamente ripresa dalla mini-striscia di due partite consecutivamente perse e rimessa in carreggiata nonostante l’inattesa assenza di Tannehill, bloccato da un problema alla spalla. La difesa sta giocando bene, le notevoli prove di contenimento esercitate nelle ultime yard di campo sono la testimonianza di un’efficienza che in alcuni casi non è eguagliata da nessun’altra squadra Nfl. Miami è difatti la migliore di tutto il panorama di Lega nella percentuale di concessione di touchdown una volta che l’avversario ha valicato il muro delle ultime 20 yard (57.4%), nonché per tendenza a concedere mete quando l’attacco opposto si trova in situazione di un qualsiasi tentativo & goal (36.4%), percentuali che si sposano assai bene con il miglior numero assoluto di intercetti ottenuti, 11, per un totale di 14 turonover complessivamente forzati.

Miami ha pure scritto una delle migliori prove di sempre contro i Bears, ottenendo ben 541 yard di total offense, la cifra più alta ottenuta dal 1988 ad oggi, e parte della responsabilità va ad uno degli aspetti che avevamo sottolineato essere tra le maggiori qualità disponibili, ovvero la capacità di generare il big play a seguito della ricezione corta. Quindi no, Brock Osweiler non è diventato un supereroe d’un tratto e sì, Albert Wilson e Jakeem Grant sono tra le principali motivazioni di tali esplosioni, grazie a loro i Dolphins guidano la Nfl anche per giocate aeree superiori alle 20 yard con 8, e ben 280 delle 380 yard su passaggio registrate da Osweiler – career high, non c’era bisogno di sottolinearlo – sono state generate dai guadagni dei ricevitori dopo la cattura dell’ovale.

Un bella collezione di statistiche, non c’è che dire, alla quale aggiungeremmo un calendario non troppo irresistibile che metterà dinanzi a Miami una manciata di partite davvero abbordabili in attesa del nuovo momento della verità, il secondo test annuale contro Bill Belichick, parte di un cammino dove i Dolphins potrebbero togliersi più di qualche soddisfazione senza farsi troppa pubblicità, continuando a percorrere la strada dell’efficacia e cercare di lottare per uno dei pochi posti disponibili ai playoff nella Afc.

9) I BUCCANEERS STANNO RISCHIANDO DI RISCRIVERE LA STORIA NEL PEGGIORE DEI MODI

L’epoca Fitzmagic sembra terminata da un pezzo, e le follie di inizio stagione hanno già lasciato il posto al ritorno ad una normalità più consueta per le nostre abitudini, una realtà nella quale Tampa Bay è tornata ad essere una squadra mediocre. Il licenziamento del defensive coordinator Mike Smith non è che il primo disperato tentativo di fermare un’emorragia che sta realmente rischiando di far riscrivere i libri di storia ai Buccaneers – peraltro già ben presenti quando si tratta di ricordare alcuni dei peggiori record della storia Nfl – ovvero una squadra in possesso di una difesa che sta viaggiando a ritmi negativamente allucinanti che, se mantenuti, potrebbero sfociare nel maggior numero di punti mai subiti in singolo campionato.

Il disastro ce lo si sta portando appresso dallo scorso anno, momento nel quale i Bucs si sono classificati ultimi di Lega per sack prodotti, yard al passivo e percentuale avversaria di conversione di terzi down, statistiche ulteriormente peggiorate nonostante gli investimenti organizzati in una free agency che ha portato al calduccio della Florida gente come Vinny Curry e Jason Pierre-Paul, e dal Draft, con il primo round, il tackle Vita Vea. Oggi Tampa ha concesso 16 viaggi all’interno delle proprie 20 yard, e 15 di questi sono terminati con un touchdown, e pesano come macigni i 30 punti abbondanti di media presi nei soli primi tempi delle ultime tre gare disputate.

Impossibile esimersi dal relazionare le differenti carature tra le prestazioni di difesa ed attacco, considerando una produzione offensiva qualitativamente poco eccepibile – se non per l’altissimo numero di turnover subiti – che vede i Buccaneers davanti a qualsiasi altro rivale per yard e mete su passaggio (già quattro le scollinate oltre le 380 yard aeree), il che può solamente far immaginare come potrebbe essere differente l’attuale 2-3 se solo la difesa avesse retto almeno per il minimo sindacale. Come sempre, in particolar modo in questi momenti dell’anno, difficilmente si può trovare beneficio dal licenziamento in corso di una persona che non è in campo e non commette fisicamente gli errori visti, ma questo è un business ed il cambiamento drastico ha sempre fatto parte di questi tempi dove la pazienza non se la può più permettere nessuno. Dirk Koetter per il momento è salvo, sul quanto a lungo lo sia ci consentiamo di nutrire più di qualche dubbio, facendo fede alle previsioni pre-stagionali di tanti esperti del settore.

10) I PANTHERS HANNO PROBLEMI DI CONTINUITA’

La stagione è tutto sommato ancora giovane e spesso le squadre trovano la loro identità durante il corso della stessa. E’ già capitato un anno fa, più o meno di questi tempi, a dei Panthers fermi a quota 4-3 poi capaci di inanellare una striscia vincente piuttosto dominante, che avrebbe poi traghettato la franchigia del North Carolina a qualificarsi per i playoff con un bilancio di 11-5. Oggi i ragazzi di Ron Rivera sono fermi a quota 3-2, hanno perso partite che avrebbero dovuto vincere e sono usciti invece vincenti da confronti che non meritavano di aggiudicarsi, una confusione correlata all’alternanza nei risultati e alla mancanza di continuità che ha portato la squadra ad una gara di distanza dai Saints nella Nfc South, in un confronto diretto che la crisi di Atlanta ha sostanzialmente ridotto a due sole compagini.

Uno degli aspetti che maggiormente colpisce è la mancanza di esplosività offensiva. Norv Turner ha certamente reso il gioco di Cam Newton più preciso, il 66% di passaggi completati mantenuto sinora rappresenta la sua miglior percentuale di sempre, ben più alta del 59% dello scorso campionato e delle medie di carriera, il problema è che tutto questo si è tradotto in un gioco più conservativo sorretto dalla mancanza di connessione nei giochi aerei di lunghezza maggiore alle 20 yard, un digiuno rotto solamente domenica a Washington in occasione dalla ricezione vincente di Devin Funchess nel secondo quarto. Parte della soluzione del rebus potrebbe riguardare un maggior coinvolgimento di atleti veloci come D.J. Moore – atteso al riscatto dopo i due fumble contro i Redskins – e Curtis Samuel, e cercare di trarre il meglio dal rientro di Greg Olsen, pur considerandone le precarie condizioni fisiche che il medesimo si porterà appresso fino al termine di questa campagna.

La difesa ha offerto, come tutta la squadra, delle prove chiaro-scure. Contro i Giants, partita vinta solo grazie al miracolo di 63 yard firmato Gano, il reparto ha tenuto Saquon Barkley a 3.2 yard per portata dopo aver elargito 170 yard complessive ad Atlanta, concedendone susseguentemente 97 ad Adrian Peterson, una problematica che evidenzia la necessità di inserire Thomas Davis a ritmo-partita in tempi brevi e qualche difficoltà degli uomini di linea nel liberarsi dai blocchi del fronte offensivo. Un altro esempio indicativo è rappresentato dalla pressione, che ha generato un solo sack contro la linea offensiva dei Giants – una delle peggiori di Lega – ma ha atterrato in tre occasioni Alex Smith grazie anche alla tenuta nelle marcature dei cornerback. Tali alternanze generano medie per le quali i conti tornano perfettamente visto il quindicesimo posto occupato oggi per yard concesse sia su corsa che su lancio, ma sono altresì indicative della necessità di eliminare tutti questi alti e bassi e facilitare i compiti complessivi della franchigia.

ll prossimo pacchetto mensile di partite rappresenta una congrua occasione per eliminare i dubbi, e cercare di creare una striscia di successi simile a quella del 2017. Domenica arrivano gli Eagles, in crescita ma non imbattibili come in passato, nelle settimane successive ci sarà invece di che occuparsi con Ravens e Steelers, tentando di generare i corretti presupposti per la potenzialmente eccitante corsa nell’ipotetico testa-a-testa che potrebbe e dovrebbe vedere i Panthers duellare da vicino con i Saints, in un doppio confronto che fornirà i propri esiti nel giro di soli quindici giorni a ridosso del termine della regular season. Prima di immaginare quel preciso momento, magari con una bella sfida all’ultimo sangue con in palio i playoff, è obbligatorio che in Carolina si giochi con una consistenza di rendimento nettamente maggiore di questa.

6 thoughts on “Ten Weekly Lessons Week 6: quando conta Patriots e Steelers ci sono sempre

  1. Sui colts purtroppo hai perfettamente ragione, la ricostruzione è ancora parecchio lunga, anche se non sono d’accordo su una cosa, il talento c’è, non a livello dei team di vertice ma c’è… a parte la sifda con i pats le sconfitte sono arrivate tutte di un possesso o comunque rimanendo in corsa fino all’ultimo drive, sintomo anche di inesperienza, la squadra è giovane e crescerà. I lati positivi sono sicuramente il netto miglioramento della OL, che domenica per la prima volta dal mesozoico non ha concesso sack agli avversari, il ritorno di luck ai suoi livelli e darius leonard di cui sentiremo molto parlare… le note dolenti sono tre, secondarie pessime, parco ricevitori imbarazzante e l’aver passato al draft quel fenomeno pazzesco di saquon, scelta veemente senza senso.

    • Ciao Indy, credo che se i Colts avessero un RB forte (magari Mack lo diventerà, chissà…) toglierebbe tanta pressione a Luck. Lo stanno facendo impazzire con quello che ha avuto in passato. La scarsità di talento secondo me è proprio nel parco ricevitori e nelle secondarie, tutti quei drop sono un indice. Non stanno ricostruendo male, ma ci vuole più tempo del previsto. Hunt e Leonard sono due punti di riferimento futuri.

  2. Complimenti per l’analisi perfetta innanzitutto.

    Vorrei dire un paio di cosette su Giants, Pats e Dolphins. A mio parere, i primi hanno rischiato nel draft scegliendo un fenomeno come Barkley (che è l’unica vera nota positiva della squadra) ma è pur sempre un HB, gettando alle ortiche la possibilità di iniziare una vera ricostruzione prendendo un giovane QB rookie col pick n. 2 (vedi Darnold, Rosen o Allen). Manning già dall’anno scorso pareva in forte calo e la linea offensiva non gli sta dando una mano (anche il nuovo tackle sinistro Nate Solder preso dai Pats sta giocando in maniera pessima inspiegabilmente). Questa stagione è andata, la ricostruzione deve partire prestissimo! I Pats sono in calo, Brady è in calo (in queste prime 6 partite l’ho guardato molto attentamente e ho notato che le volte in cui ha bisogno di qualche attimo più del solito per scegliere il target…stanno aumentando di parecchio!!! E non solo per colpa dei movimenti dei ricevitori!), ma non stanno affondando. Dopo le prime balbettanti partite, sono comparsi due nuovi ricevitori freschi freschi come Edelman e Gordon e il buon Brady ha tirato subito un bel sospiro di sollievo. Anche quest’anno nei playoffs si dovranno fare i conti con loro. Insomma la dinasty sta volgendo al termine, ma molto molto lentamente. Per i miei Dolphins va invece elogiato il lavoro del coaching staff che sta abilmente mascherando la pecca principale di questa squadra: la mancanza di un QB affidabile. Tannehill è meglio di Osweiler (che dopo tante lodi per la scorsa domenica, speriamo limiti la sua specialità…ovverosia gli intercetti!, ma non è il QB trascinante che si vorrebbe. La difesa fa miracoli con un Alonso in forma strepitosa. La linea offensiva tiene nonostante una falcidia a livello di infortuni e Grant Stills e Wilson sono frecce in ricezione. Aspettando un reale contributo di Gesicki al ruolo di TE ancora…Non so bene come continuerà la stagione in termini di risultati, però per adesso non si può non essere soddisfatti di una squadra che era data per spacciata a inizio stagione.

    • Ciao Deolone, io penso che uno come Barkley devi prendertelo a prescindere, escono sempre tanti qb ogni anno, qualcosa di simile a Darnold e Rosen secondo me si può trovare anche l’anno prossimo. Se fosse invece stato disponibile Mayfield ci avrei pensato seriamente. Sui Patriots in calo ho dei dubbi, se la difesa giocasse meglio forse avrebbero chiuso la partita nel terzo quarto. Miami mi piace, profilo basso, belle giocate creative in attacco, giovani in ascesa come Howard in difesa. Bel lavoro di Adam Gase.

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