A volte capitano fortune insperate, come quella di poter fare un viaggio in macchina Reggio-Milano con Flavio “The Voice” Tranquillo, e bisogna sfruttarle nel miglior modo possibile. Sarebbe stato quindi un sacrilegio non approfittare dell’occasione per chiedergli di rilasciare un’intervista per Play.it. Per nostra (e soprattutto mia) fortuna, Flavio ha accettato e abbiamo chiacchierato per un’oretta buona sui temi più caldi della NBA e del basket in generale.

Buona lettura.

Le due squadre favorite per arrivare in finale, Clevelend e Golden State, hanno entrambe regolato le avversarie di primo turno con un roboante sweep e sembrano partite molto bene anche in questo secondo turno. Quale delle due ti ha maggiormente impressionato?

Su un ipotetico cartellino del pugilato, ai punti avrebbero vinto i Warriors, ma la cosa più chiara è che, al momento, nelle rispettive conference non sembrano esserci per entrambe delle reali avversarie. Anche se, chi delle due faticherà meno nel raggiungimento dell’eventuale finale ne avrà ovviamente un sostanziale beneficio. L’elemento più importante emerso in questo periodo è però il problema di salute di Steve Kerr, che potrebbe incidere tanto quanto l’infortunio di un giocatore importante.

Restando in casa di Golden State, secondo te la sconfitta dello scorso anno ha aggiunto ulteriori motivazione e forza alla rincorsa di Curry e compagni, un po’ come era avvenuto per quei San Antonio Spurs sconfitti dall’incredibile tripla di Ray Allen e nella successiva gara 7 delle NBA Finals 2013?

Si possono effettivamente fare dei paralleli, anche se il valore delle due squadre e le modalità delle sconfitte sono sostanzialmente diverse. Di certo, tra Gara 2 e Gara 3 della finale del 2014 negli Spurs è scattato qualcosa, tra cui c’era anche il tiro di Ray Allen oltre a tutto il resto. Se succedesse la stessa cosa per Golden State di certo potrebbe essere per loro una spinta extra, ma è possibile anche il contrario e i fantasmi del passato potrebbero “paralizzare” la formazione della Baia e incidere nelle loro sicurezze. Ma questo lo scopriremo solo a Giugno.

Rispetto al passato però, come hai detto anche tu sembra un po’ più forte l’impressione che per queste due squadre non ci siano sostanzialmente delle rivali credibili nella corsa alle NBA Finals per la terza volta consecutiva. Ad Est, la sola presenza di LeBron James sembra sempre possa garantire di arrivare fino in fondo in relativa tranquillità, mentre ad Ovest, i cui playoff fino a poco tempo fa erano paragonabile ad un girone dell’inferno dantesco, le contender del passato (Spurs, Clippers, Oklahoma City) per diversi motivi sono quasi tutte sostanzialmente peggiorate. Quali potrebbero essere nel prossimo futuro le reali alternative ad un ripetersi di questo dualismo tra Cavaliers e Warriors?

È molto difficile fare i nomi di una, due o dieci franchigie che possano rompere questa situazione di stallo. La domanda può essere invece se ci sia un problema di “sistema” oppure no. Se siamo semplicemente in un periodo passeggero oppure se invece tutto il meccanismo dei rapporti di forza si stia concentrando intorno ad un numero limitato di formazioni, per cui tutti i giocatori più importanti tenderanno a concentrarsi in tre-quattro squadre, rendendo quindi molto difficile un cambiamento nelle gerarchie. Di certo l’NBA sta alla finestra ed eventualmente cercherà di trovare una strada per attenuare questa tendenza perché, a differenza di quanto accade da noi, negli USA l’assenza di ricambio al vertice è considerata un aspetto “dannoso” per il prodotto NBA. Ma per oggi non abbiamo abbastanza dati storici su cui ragionare per capire se questa sia solo una tendenza passeggera o meno.

Una discussione molto attuale tra gli appassionati riguarda la gestione di alcune chiamate arbitrali. Nel recente periodo infatti diversi giocatori (Harden, Paul, Westbrook, Durant e altri) in una determinata situazione tecnica approfittano scientemente di una piega del regolamento per lucrare dei tiri liberi, ai danni di situazioni difensive che probabilmente non dovrebbero essere sanzionate.

In questo momento l’NBA ha chiaramente un problema con un qualcosa che non aveva previsto, un po’ com’era accaduto quando ha cominciato a proliferare l’utilizzo del fallo intenzionale per mandare in lunetta i cattivi tiratori di liberi. La situazione purtroppo non è immediatamente risolvibile con una semplice modifica del regolamento, che in ogni caso dovrebbe essere introdotta a fine stagione. Nel mentre assisteremo sicuramente ad alcune distorsioni dello “spirito del gioco” ma rimane il fatto che, per quanto sia un problema avvertito da una nicchia di appassionati particolarmente attenti, questo resta un aspetto che il 98% degli spettatori dell’NBA non registra nemmeno come rilevante e che quindi non ha un’urgenza immediata nella sua risoluzione.

Parliamo un po’ anche di italiani. Ritieni che l’impatto di Danilo Gallinari nella NBA sia, nel nostro paese, troppo sottovalutato? È diventato così “normale” avere un giocatore italiano da 18 e rotti punti di media nel campionato più competitivo del mondo?

Premettiamo che avere dei giocatori che partono da un sistema così imperfetto come quello della pallacanestro italiana per arrivare nella NBA, dovrebbe essere non solo un motivo di orgoglio ma anche una presa di coscienza della portata di un traguardo simile. Il che non vuol dire organizzare delle parate di sbandieratori ogni volta che Danilo fa un canestro, ma nemmeno essere così superficiali da ritenere che sia scontato fare 20 punti nell’NBA una sera sì e una sera anche. Gallinari, ad esempio, è stato il secondo miglior giocatore per rating offensivo dopo la pausa dell’All Star Game, ma questo viene sottovalutato solo per il fatto che i suoi Nuggets non sono attualmente una squadra di primo piano. Siamo al punto che il fatto di essere “solo” uno dei migliori 25-30 giocatori della Lega passa quasi come una mezza delusione… e questo mi sembra quantomeno una visione piuttosto miope.

Cosa ne pensi invece delle possibilità di chi quest’estate potrebbe decidere di fare il salto verso gli States, ossia Niccolò Melli?

Con l’innalzamento esponenziale del valore dei contratti dovuto al nuovo accordo televisivo, sicuramente possono cambiare le prospettive per i giocatori di fascia alta di fascia alta dell’Eurolega, che si vedranno offrire contratti mediamente più remunerativi rispetto a quelli disponibili nel vecchio continente. Questo ovviamente potrà influenzare anche le scelte di Melli (ma anche quelle di Datome che potrebbe decidere di fare un altro tentativo n.d.r.), che è un giocatore che risponde a requisiti tecnici che nell’NBA di oggi sono molte apprezzati. Come sempre, il contesto in questi casi può fare tutta la differenza del mondo, perché tutto potrebbe cambiare a seconda del roster e della situazione tecnica in cui si potrebbe trovare inserito. Inoltre bisognerà poi aspettare la prova dei fatti perché, per esempio, all’epoca mi sembrava che Luigi Datome, uno dei più grandi tiratori naturali che io abbia mai visto, non avrebbe potuto trovare situazione migliore di quella della Detroit del 2013. La realtà però ha detto che Gigi in quegli anni non ha mai praticamente visto campo, quindi solo il tempo ci dirà se l’eventuale scelta di Melli di andare nell’NBA produrrà 10-15 punti di media a partita oppure una serie di DNPCD (Did Not Play by Coach’s Decision n.d.r.).

Cosa ne pensi invece della Nazionale Italiana? Come mai nel corso di questi ultimi anni un gruppo con così grande talento individuale non è mai riuscito a raggiungere grandi risultati?

Questo gruppo è stato sempre presentato e percepito come un insieme di talenti che avrebbero dovuto raggiungere dei risultati in campo internazionale per il solo fatto di essere assieme sul parquet. Purtroppo, anzi per fortuna, lo sport non è così semplice e il risultato finale non è quasi mai dovuto alla semplice somma algebrica dei fattori. Quest’estate la squadra avrà finalmente più tempo per lavorare assieme, rispetto ad esempio al Preolimpico dello scorso anno, e vedremo che tipo di risultati avrà il lavoro di Ettore Messina con i giocatori disponibili, che probabilmente non saranno tutti a differenza del recente passato. Però più che una medaglia, che se arrivasse sarebbe ovviamente una bella cosa, mi piacerebbe vedere una maturazione di questo gruppo, un aspetto che fino ad ora si è visto poco se non nelle parole dei protagonisti.

Torniamo all’NBA per parlare di alcune realtà che in questi ultimi anni fanno veramente fatica per uscire da una mediocrità di risultati che ormai è quasi diventata parte dell’organizzazione. Ad esempio, per quanto riguarda i Philadelphia 76ers, cosa pensi della tanto vituperata gestione Hinkie?

Non sono un tifoso di quello che ha fatto Hinkie di per sé, ma quando si analizza quello che fa una squadra NBA bisogna sempre cercare di mettersi nella prospettiva corretta. A volte le scelte di un GM dipendono da quello che ha ereditato dalla gestione precedente, vedi appunto Sam Hinkie a Philadelphia oppure il povero Sean Marks a Brooklyn, che nemmeno può sperare nelle future prime scelte perché chi c’era prima di lui le ha regalate in giro in cambio di contratti-capestro. Se a inizio stagione una valutazione del tuo roster non ti permette oggettivamente di pensare di lottare quantomeno per un posto ai playoff, la scelta di vincere meno partite possibili per assicurarti le maggiori possibilità di una scelta alta al draft è razionalmente comprensibile. Anche i Clippers, i Celtics, gli Spurs o i Cavs in passato hanno “fatto schifo” per guadagnare prime scelte, solo che è ovviamente diverso se poi ti capitano Tim Duncan o Anthony Davis invece di Olowokandi o Bennet. La sostanza è che il draft è una lotteria, ma se per caso esce fuori un LeBron James diventa una possibile miniera d’oro e ogni squadra è giusto che cerchi di seguire i propri interessi. Per questo, in certe condizioni il cosiddetto tanking può essere una scelta logicamente e managerialmente corretta, quantunque criticabile dal punto di vista strettamente etico.

E per quanto riguarda i New York Knicks? È vero che sono forse la più bella telenovela della storia dello sport, ma in teoria dovrebbero essere una franchigia di basket nella città più importante degli Stati Uniti. La gestione Dolan ha combinato disastri epocali nel corso degli ultimi quindici anni e ultimamente neanche l’arrivo di Jackson ha migliorato granché la situazione. Anzi, se possibile l’ha persino peggiorata…

I principi che seguono i Knicks, ma in realtà anche i Lakers della gestione di Jim Buss, sono totalmente diversi da quelli che abbiamo descritto in precedenza: invece di puntare sul draft, sono perennemente alla ricerca di un “colpo” di mercato che di botto li riporti alle glorie del passato. La scelta di Phil Jackson è stata proprio frutto di questa impostazione, ossia quella di scegliere il pesce più grosso disponibile sulla piazza e sperare che lui da solo possa sprigionare una sorta di fluido magico in grado di sbrogliare la matassa. Il problema è che questo genere di impostazione produce solo una grande confusione. In più Jackson non è un uomo “di processo” che arriva per riorganizzare un sistema, ma una persona che considera la sua sola presenza ai Knicks come qualcosa per cui tutta la franchigia dovrebbe essergli eternamente grata. Le motivazioni dietro alle recenti scelte di Jackson sono poi abbastanza incomprensibili, è perfino possibile che stia segretamente cercando di farsi mandare via per qualche suo oscuro motivo. Ma sinceramente, avrei quasi paura di scoprire la verità…

Continuiamo a parlare di General Manager, ma anche di un giocatore che recentemente divide molto gli appassionati. Negli anni 2007/2008/2009 Sam Presti scelse in rapida successione tre giocatori (Durant, Westbrook e Harden) che ad oggi potrebbero benissimo arrivare primo, secondo e terzo nella classifica dell’MVP della Lega. Come mai Oklahoma City non è riuscita a raccogliere nulla più di una Finale NBA persa con gli Heat nel 2012? Dove sono stati gli errori e cosa ne sarà del futuro di Russell Westbrook?

Quando nell’estate successiva a quella finale ci fu da fare una scelta su chi puntare con più decisione tra Harden e Ibaka, posto che in realtà cercarono di trattenere entrambi, Presti fece la scelta che all’epoca era la più logica. E non certo perché non sapesse quant’era forte Harden, perché fu lui a sceglierlo con la quarta chiamata assoluta quando nessun altro dei suoi colleghi avrebbe probabilmente fatto lo stesso. Lui però credeva che, anche senza Harden, quel nucleo di giocatori sarebbe stato sufficiente per arrivare al titolo. La storia dice che non è andata così, ora Westbrook è rimasto addirittura “solo” e le prospettive future di OKC non sono certo quelle di una probabile contender. Però, per come li abbiamo visti proprio recentemente, siamo sicuri che Harden e Westbrook avrebbero trovato un modo proficuo per giocare assieme, aggiungendo all’equazione anche Kevin Durant? All’epoca, Presti ritenne che Ibaka avrebbe potuto fare determinate cose in un ruolo che per la squadra era più “scoperto” rispetto a quello di guardia. Vogliamo dire che Presti ha fatto degli errori? Certo che li ha fatti. Vogliamo però concedergli che, con le informazioni disponibili all’epoca dei fatti, le sue scelte potessero essere logiche e condivisibili? Io lo farei, perché se misuriamo la bontà delle scelte di un GM solo in base ai risultati ottenuti facciamo a parer mio un grave errore. Per quanto riguarda Westbrook, è un giocatore offensivamente devastante con una furia agonistica che ho visto pochissime altre volte, ma per compiere la definitiva maturazione dovrà capire che ogni tanto deve fare qualche passo indietro e fidarsi un po’ di più dei suoi compagni.

Vorrei chiudere questa chiacchierata parlando di Nowitzki, un giocatore che occupa uno spazio speciale nel mio cuore di appassionato di basket. Dirk è stato sicuramente uno dei più grandi giocatori dell’epoca moderna, ma che posto occupa secondo te nella storia dell’intera NBA?

Di certo Nowitzki ha avuto un ruolo importantissimo, anche al di fuori di quanto, ed è tantissimo, ha fatto sul parquet. Ha sconfitto molti pregiudizi che all’epoca c’erano ancora verso i giocatori europei e l’ha fatto in un periodo in cui ancora Facebook e YouTube non esistevano, quindi era molto difficile avere tutte le informazioni che abbiamo adesso per valutare un giovane prospetto. Per fare un paragone, quando Antetokounmpo è arrivato in NBA dall’A2 greca, erano disponibili decine di partite da vedere in streaming, centinaia di highlights e di resoconti tecnici. Di Nowitzki invece all’epoca si sapeva che era tedesco e che era alto, stop. Oltre a questo e ai 30.000 punti, Dirk ha anche dato una clamorosa identità alla squadra in cui ha giocato, che prima di lui era una mezza barzelletta, e ha interpretato con grande rigore teutonico la sua professione del primo all’ultimo giorno. Merita quindi una considerazione speciale, quella che si riserva ai giocatori che hanno cambiato la storia del Gioco, ma spero comunque di vederlo giocare ancora per qualche anno.

Per finire, l’ovvia domanda che tutti vogliono sapere: chi vincerà quest’anno il titolo della NBA?

Se tutto va come deve andare, i Warriors sono troppo forti, troppo profondi, troppo belli da vedere per non vincere. Ma per fortuna lo sport è imprevedibile e non c’è mai niente di scritto, quindi può comunque succedere di tutto. In fondo, una scivolata su una chiazza di sudore (come quella dell’anno scorso con cui si infortunò Steph Curry n.d.r.) è sempre dietro l’angolo e il citato problema di Steve Kerr sarà qualcosa con cui Golden State dovrà fare i conti da qui alla fine.

2 thoughts on “Play.it a tu per tu con Flavio Tranquillo

  1. E’ sempre un piacere sentir parlare Tranquillo di basket e di NBA in particolare. Le parole su OKC, su New York ad esempio sono precise, ben argomentate e pienamente condivisibili. Grande Flavio. Ho apprezzato moltissimo anche le parole su WonderDirk, in particolare come spesso non venga ricordato, nel commentare la grandezza del tedesco, che questi veniva da una realtà completamente diversa e lontana rispetto alla NBA e se furono bravi coloro che lo scelsero pur avendo poco materiale(rispetto ad adesso)per giudicarlo, estremamente bravo è stato anche il 41 ad adattarsi ad un mondo NBA che era molto meno conosciuto che adesso.

  2. Al primo anno in NBA, sembrava destinato al massimo ad un ruolo tipo Detlef Schrempf (che non sarebbe stato poi tanto male) e invece… è forse il miglior europeo di sempre.
    Tornando a Flavio, non so se condivido in toto il giudizio negativo sulla persona-Phil Jackson. Sul suo lavoro, ok, ci sta, ma sull’uomo ci andrei più cauto (anche se so che Tranquillo non la pensa così, e avrà sicuramente motivi più fondati dei miei per pensarlo).

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