Al termine di una dominante cavalcata nei playoffs, Florida ripete l’impresa dello scorso anno e trionfa ancora alle Stanley Cup Finals, battendo – anche qui un remake – gli Oilers, che ritardano perciò il ritorno in Canada della coppa più bella, un’assenza più che trentennale.

Sono il terzo team di sempre a centrare questa impresa, successivi alla Tampa Bay 2020-2021, e il secondo con tre finali consecutive dopo la vecchia Edmonton 1983/85.

Nelle sei gare della serie finale soltanto due OT hanno impedito uno sweep ai danni di Edmonton, rispetto ai Panthers molto meno profondi e aggressivi in avanti, cosa palese in ognuna delle 6 sfide svolte, dove Florida ha dato l’impressione di fare il bello e il cattivo tempo ogni qualvolta riusciva a manovrare il disco nella metà campo avversa e soprattutto in tutti gli shift e con qualunque linea.

Solo le invenzioni della formidabile coppia McDavid/Draisaitl hanno quindi mantenuto in leggero equilibrio una serie segnata dalla forza corale di un vero e proprio dream team, capace di schierare in terza linea un futuro hall of famer come Marchand e due underrated forward quali Luostarinen e Lundell. Le stats parlano poi chiaro, con quasi 12 elementi in doppia cifra per punti e 8 a +20!

Oilers e Panthers erano d’altronde le favorite per il back to back Finals secondo le odds a Vegas di inizio anno, con in ordine Stars, Devils, Hurricanes, Leafs e Colorado ad inseguire. Tutto facile dunque e nessun problema per le due corazzate durante l’anno?

Ovviamente no, anzi, tornare a battagliare la coppa di Lord Stanley consecutivamente per due anni è stata impresa galattica, dato che il consueto inizio stentato dei canadesi e la prolungata assenza di Tkachuk a Sunrise le avevano fatte arrivare a fine torneo a sudare più per una wild card position che per vincere Division o Conference.

Gli Oilers hanno addirittura visto la “morte sportiva” negli occhi, quando i Kings parevano finalmente aver esorcizzato la loro nemesi, per poi prendere la solita fiducia offensiva appresso a McDavid e Draisaitl, col veteranissimo Perry inaspettato terzo violino alla seconda giovinezza, e filare verso l’epico scontro conclusosi ieri notte.

Florida, invece, ha letteralmente messo il proprio marchio nell’epoca recente, passando da uno storico Presidents a tre apparizioni di fila al Grande Ballo, vincendo le ultime due, e innalzandosi pertanto oggi a più forte e longeva dinastia NHL, sostituendo così definitivamente Penguins e Lightning!

Motivo primario di questo grandioso risultato sportivo va ascritto senz’altro a coach Maurice, alla 1.000° vittoria di carriera dopo gara 3, che ha conquistato lo spogliatoio con modi bruschi e veritieri ma pure onesti e alla luce del sole, “open” come rimarcato da Evan Rodrigues, gridando spesso ai suoi uomini verità sì difficili da accettare, ma che hanno poi consentito loro di prendersi delle responsabilità sul ghiaccio che prima si vedevano solo in regular season da 122 punti, unendo quindi nelle partite da dentro o fuori qualità e cattiveria.

La combo Maurice/Tkachuk rappresenta al massimo questo concetto, dato che è proprio dalla blockbuster trade messa in atto dal gm Zito tre estati fa che i due “comandano” inconsciamente morale e tattiche di squadra.

Infatti, da quando il figlio d’arte venne barattato con Huberdeau e Weegar, i Panthers hanno messo da parte lo spettacolo per una più ermetica mentalità two way, espressa dall’armonia che ha consentito ai due di dettare legge sia nella locker room che sul ghiaccio, dove oltre all’ex Flames si è confermato capitan Barkov, grandioso giocoliere con la mazza in power play ma pure defensive forward seconda nessuno, come dimostra la nomination insieme a Reinhart per il Selke Trophy.

Ed è così che Florida, 11 serie vinte su 12 in questo lasso di tempo, sfruttando pure la tuttora eccelsa verve di Bobrovsky (28 parate su 29 tiri in gara 6), ha sostanzialmente controllato con foga gli assalti rivali, grazie alla totale disponibilità dell’intero roster, catapultandosi poi però in avanti con almeno 10 skater d’elite: una differenza abissale che è emersa sia contro Edmonton priva di Hyman che Carolina, Leafs e Tampa Bay, loro invece ancora troppo monodimensionali nelle top six.

Parole al miele per lo skipper sono perciò arrivate anche da Reinhart e Verhaeghe, i due elementi maggiormente decisivi nella nuova era, fiorente e vincente, sbocciati ed esplosi sotto di lui, con l’ex Sabres sesto giocatore della storia a siglare 4 gol in una gara singola da Finals dopo Maurice Richard (1957), per non parlare del duro Nosek e soprattutto Sam Bennett, leading scorer da postseason (15), cecchino e imprevedibile Conn Smythe winner, primo nella storia di franchigia, il quale ha eguagliato come reti in trasferta i primati di Propp, lo stesso Richard e Kevin Stevens, e quelli di Crosby, Ovechkin e lo Zack Hyman dell’anno scorso per almeno 15 reti in post season singola!

Tornando alla stagione in corso, dopo aver comunque faticosamente controllato le posizioni di vertice senza però competere per le prime seed, una manna dal cielo si è rivelato il “doppio acquisto” fatto in prossimità della postseason, ovvero sia il rientro di Tkachuk dal fastidioso infortunio all’inguine e soprattutto l’all in su Brad Marchand in scadenza di contratto, “pagato” una seconda scelta 2027 poi convertitasi in prima grazie ai due turni playoff passati dai Cats.

Ebbene l’ex Bruins, a 37 anni suonati, è stato il vero crack che ha permesso a Florida di sbaragliare la concorrenza, allungando qualità in terza linea da ala destra e nella seconda power play unit a sinistra. Un campione infinito clamorosamente ancora in prime time, capace tuttora di filare in gabbia a velocità supersonica, muovere il disco a 360°, nasconderlo negli uno contro uno con qualità uniche e assistere da qualunque slot, divenuto il primo giocatore della storia a siglare almeno 5 reti in due Finals diverse con altrettanti team, e a vincerle a 14 anni di distanza l’una dall’altra, terzo primato dopo Chelios (16) e Recchi (15), cambiando il corso di gara 5 a Edmonton e della serie conclusiva con 2 reti vitali.

Iniziare i playoff con queste due aggiunte, assieme a Seth Jones, è stata una sterzata diabolica che in pratica ha chiuso ogni discorso sul successo finale.

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