Come si inserirà Juraj Slafkovsky nell’attuale roster di Montreal?

Il first overall pick del 2022 ha un nome: è lo slovacco Juraj Slavkovsky. È così: dopo anni di piagnistei vari perché non si riesce a trovare un buon centro in un Draft, Montreal ed il loro GM Kent Hughes decidono di dimenticare il buon Shane Wright e di scegliere invece il colosso europeo.

Scelta sbagliata? Difficile a dirsi.
Slavkovsky è un passatore nato, ha un tocco veramente ottimo: sa dosare velocità e rotazione per mettere in condizione i compagni di rilasciare il tiro nel miglior modo possibile. È un buon tiratore a sua volta, anche se non eccelso, ma soprattutto sa già come utilizzare la propria potenza fisica, ed è atleticamente un fenomeno.

La domanda classica, ovvero “è pronto per il salto da professionista?”, in questo caso non serve neppure farla: è assolutamente pronto, più pronti di lui non ne vedo. Ma dove finirà a giocare tra le mani del sorprendente Martin St. Louis, probabilmente l’head coach con meno esperienza in panchina dell’intera lega?

La soluzione più logica è quella di una “power line” verde: Suzuki e Caufield sono già una coppia affiatata, con Cole che sa spaziare tanto sulla destra quanto sulla sinistra. Aggiungere Slavkovsky al mix e far crescere il trio alla MacKinnon-Landeskog-Rantanen è una suggestione.

Personalmente, però, confido in una alternativa: come sarebbe gestire per l’avversario un cambio di linea che vede alternarsi una dinamo velocissima di dimensione ridotta come Caufield ad un gigante su pattini come Slafkovsky? Il possibile shock a livello tattico che una mossa del genere può portare non è da sottovalutare, oltretutto distribuirebbe per bene lo star power di Montreal, lasciando la coppia già collaudata a fare il suo e cercando invece una amalgama diversa per il first pick, magari al fianco di Brendan Gallagher e del fresco acquisto in cerca di rivincita Kirby Dach.

Carey Price confermerà il ritiro?

34 anni ed un contratto fino al 2026 sembravano tradursi nella frase “Carey Price rimarrà l’icona dei Canadiens ancora per qualche tempo”. La salute però ha messo i bastoni tra le ruote al fenomeno canadese: da una parte, l’età non è proibitiva ma inizia ad essere un campanello d’allarme, dall’altra Carey ha fatto capire che se non potrà vincere con la maglia degli Habs, non tenterà di farlo con altre jersey addosso.

Va detto che Price, però, è fino ad ora rimasto uno dei pochissimi capisaldi di una travagliata era per Montreal, abituata agli sfarzi e alle vittorie come la franchigia di maggior successo nella storia della NHL. Ma se me lo permettete, aggiungerei un altro commento: Carey ha una cap hit di 10.5 milioni all’anno che i Canadiens andrebbero a risparmiare per ben 4 stagioni, quindi è anche nell’interesse degli Habs che Price potrebbe prendere questa scelta, soprattutto se non è sicuro che le sue ginocchia riescano a tenere.

Nell’ipotesi che il ritiro fosse confermato, chi prenderebbe il suo posto? Le opzioni non sono molte, a cambiare potrebbe essere l’atteggiamento: una scelta potrebbe essere quella di utilizzare Jake Allen, in un contract year, come goalie titolare e far crescere, dietro di lui, un paio di giovani goalie per poi lanciarli (almeno uno) nel 2024.

La seconda scelta consisterebbe invece di lasciare ad Allen il ruolo di backup, magari condiviso, e di lanciare un giovane come titolare. È però momento di scelte ardue per Kent Hughes: tutti gli attuali prospetti di Montreal in porta sono unsigned.

Cayden Primeau e Sam Montembault sono i due nomi: il primo ancora molto promettente e potenzialmente pronto, il secondo sempre rilegato in un ruolo di ripiego, ma che a 25 anni potrebbe rivelarsi un late bloomer. Personalmente, confermerei Primeau e gli darei una verà chance, mentre per Sam dipende la richiesta a livello finanziario.

Attenzione poi a due prospetti europei: Frederic Dichow si è comportato benissimo alle Olimpiadi per la Danimarca, e potrebbe essere Freddie Andersen 2.0, mentre Jakub Dobes sta facendo il suo ad Ohio State in NCAA, e se non subito, potrebbe entrare a far parte del giro una volta che il campionato universitario si sarà concluso.

Jeff Petry è o meno sul trading block?

Ormai è chiaro che Montreal sia su un percorso di svecchiamento della rosa: Suzuki e Caufield come pilastri principali, Slavkovsky subito pronto a dare un’iniezione di qualità, la scelta di scambiare e prendersi Kirby Dach. Il ritiro di Price, come già detto, può velocizzare il processo. Ma la difesa?

Jeff Petry risulta essere una variabile molto importante: ha 34 anni e tre anni rimanenti di contratto con una cap hit non da poco di 6.25 milioni. Non c’è dubbio che possa ancora dire la sua, ma è sicuramente un’opzione più da squadra matura che da giovane squadra in rebuild.
Certo non sarebbe il primo a rimanere per fare da mentore ai giovani, ma economicamente l’opportunità di darlo via seduce sicuramente Hughes: dopo aver visto Brent Burns andare agli Hurricanes, sia Dallas che Ottawa sembrano essere partner interessate, per quanto non gridino “titolo subito”.

È chiaro che una svendita andrebbe evitata, e va detto che il trade di Romanov ha fatto aumentare le domande sulla gestione defensemen da parte di Montreal, ma è difficile immaginare Petry con i Canadiens ad inizio stagione, o comunque per tutto l’anno: è un candidato per essere scambiato troppo caldo per essere ignorato.

Ci sono giocatori pronti per il proverbiale “breakout”?

Il primo nome sulla lista è quello di Justin Barron: arrivato nel trade di Artturi Lehkonen con gli Avs, chiuso a Denver da un gruppo di assoluta qualità, Barron è un first rounder di indubbie qualità fisiche e tecniche, che potrebbe tranquillamente essere il post-Petry. Vero che ha ancora tutto da dimostrare.

Ci si aspetta di più anche da Jesse Ylonen: il finnico ha potenziale, fatica in difesa ma può essere arma ideale per fare da goalscorer di supporto in powerplay e magari in una linea a stampo difensivo.
È ovvio poi di voler vedere l’ennesimo passo avanti da parte di Suzuki e Caufield, già stelline ma ancora non a livello top: è in particolare Cole il giocatore che sembra essere ancora lontano dal suo top a livello di potenziale, e con maggiore stabilità, ed il supporto da parte di una terza stella ad alleggerire il carico, chissà che non riesca ad aggiungere un’ulteriore marcia al suo gioco.

Quali sono le aspettative?

Non i playoff: sarebbe inutile tentare una corsa per la quale il gruppo non è pronto. Suzuki voleva conferme sul progetto, ma serve pazientare e capire che una squadra vincente non si costruisce da un anno all’altro. Sicuramente quelle Finals contro Tampa in una stagione, ricordiamolo, scombussolata dal COVID hanno illuso molti, ma va detto che veterani come Price, Weber, Domi e molti altri non ci sono più e che il “sentimento” in certe situazioni fa tanto.

Squadre come Montreal, Dallas, St. Louis o Nashville sono arrivate in fondo a causa di una morale di gruppo, di un’emozione comune che ha dato la proverbiale marcia in più a tutti, ma non per una costruzione di successo. A dimostrarlo è stato il fatto che Montreal è crollata su sé stessa, in una favola da cenerentola finita molto presto.

Far crescere Slavkovsky è una priorità, confermare Caufield a livello contrattuale, convincendolo del progetto, è un’altra. Serve scegliere a chi dare fiducia, ed essere pazienti con gli errori che arriveranno: è lo stesso processo che squadre come Anaheim, Detroit ed Ottawa stanno vivendo. Il medesimo che Colorado ha dovuto vivere prima di arrivare al trionfo.
Dev’essere una stagione alla ricerca di conferme e di profonda analisi su quali, dei tanti giovani a disposizione, siano elementi da confermare per costruire una base solida per il futuro.

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