A Toronto si ritorna a sorridere dopo i periodi di magra che avevano abituato i milioni di supporters a dimenticare una storia incredibile che ha generato un’epopea all’interno della NHL.

I giovani Maple Leafs, letteralmente sbocciati da un paio di anni e divenuti praticamente ingestibili a livello offensivo, sono stati arricchiti ad inizio stagione del miglior prospetto sulla piazza dei free agent proprio per quel che riguarda il reparto avanzato.

John Tavares, con una mossa che non ha lasciato grandi ricordi in quel di New York, ha preso “coraggio” e proponendosi come primo tifoso della franchigia di casa a Bay Street 40, ha raggiunto un team che rappresenta oggi l’eccellenza nel gioco d’attacco. Attenzione però: se fino alla scorsa stagione gli ottimi risultati e le impeccabili performance a livello tecnico e qualitativo non avevano come scopo finale quello di una vittoria da ottenere a tutti i costi, quest’anno l’imperativo è vincere!!

Una delle due squadre storiche – insieme a Montreal – a rappresentare la vecchia tradizione hockeystica canadese deve difatti giustificare un investimento improbo che obbliga coach Mike Babcock e i suoi ragazzi a riportare la coppa di Lord Stanley in zona Ontario, dopo la bellezza di 52 anni.

Il contrattone da $77 milioni del ventottenne di Mississauga rappresenta un vero boom per un centro da sempre abituato a realizzare gol (30 di media con un minimo di 24) in tutte le partecipazioni al campionato nonostante rose non certo forti come quella attuale. Ha infatti condotto lo score degli Islanders in 7 delle sue nove stagioni finendo due volte secondo.

Quel che ne fa un campione e un top-10 centerman dell’intera Lega è l’abilità sia come playmaker che come cecchino. Con un numero altissimo di talenti al suo fianco e nonostante un ovvio minutaggio inferiore al passato è già in corsa per superare il record di segnature in carriera (38) e di punti (86). Tra i pregi che motivano l’oneroso investimento c’è quello di un fisico tosto e massiccio che gli ha permesso nelle ultime 5 annate di saltare pochissimi incontri nonostante gli hits a cui va pericolosamente incontro.

Il suo alter ego, in una virtuale sfida casalinga sulla leadership, è ovviamente Auston Matthews. La principale stella a roster, uno dei migliori in assoluto della lega a soli 21 anni, sta dimostrando una forza fisica, psicologica e caratteriale che lo pone agli occhi dei compagni come il vero modello a cui ispirarsi (a Toronto anche quest’anno nessuno possiede la C).

Un predestinato che iniziò la carriera NHL con un four-goal game. Il suo pericoloso infortunio alla spalla non ne ha frenato la voglia di imporsi visto che, appena rientrato, ha ricominciato a produrre come lui solo sa fare.

Il fenomeno californiano, votato capitano dell’Atlantic Division per l’All Star Game, dopo la vittoria del Calder Memorial Trophy, si è ripetuto nel 2017/18 con un plus 25, 13 power-play points e 5 game-winning goals aiutando il club a realizzare il record di vittorie (49) e di punti (105). Nella stagione corrente si sta avviando a migliorare ancora.

Ci sbilanciamo ponendolo tra i top 10 in circolazione e tra i dominatori del prossimo decennio avendo in dote le caratteristiche fondamentali per primeggiare nell’hockey su ghiaccio: fisico, tecnica, velocità, abilità e cattiveria agonistica. Unico punto interrogativo gli acciacchi e la sfortuna.

Prima di Tavares l’acquisto di valore all’interno del Team è stato certamente quello di Kyle Dubas, principale architetto della vittoria in Calder Cup da parte dei Marlies, passato e promosso per questo motivo a general manager al posto di un decano come Lou Lamoriello.

Un Enfant prodige delle stanze dei bottoni, la cui acquisizione sta a significare da parte della proprietà un voler ripartire da capo e resettare un ambiente saturo di frustrazioni e pronto sin da ora al grande salto. La sua bravura, oltre nello step per JT, l’ha dimostrata ancor di più nel rinnovo di William Nylander.

Inutile tornare sulla telenovela che ha tormentato questi mesi, fatto sta che ad un solo minuto dalla deadline che avrebbe permesso o no al funambolico figlio d’arte di disputare questa stagione, è arrivata la tanto agognata firma per i prossimi 6 anni a $6,9mln.

Dopo aver fatto registrare il career high nel 2017 con 61 punti, il ventiduenne dell’Alberta era divenuto restricted free agent. Ovviamente la ruggine di queste poche prime esibizioni (meno di 15) si fa sentire ma il suo innesto amplia un potenziale offensivo inarrivabile che solo dalle parti di Tampa e Calgary possiamo trovare al pari livello.

Piano piano e a causa di qualche infortunio di troppo sta scalando gerarchie rientrando progressivamente nelle top lines, nella seconda power play unit e aumentando il minutaggio. Il suo bellissimo primo gol stagionale è giunto nella recente sconfitta con Minnesota.

Poter schierare nelle prime due linee Tavares insieme a Mitch Marner e Zach Hyman (sui 120 pts totali) e Matthews con WN29 e Patrick Marleau non è da tutti. Ma l’enorme profondità offensiva non finisce qui: Andreas Johnsson, ultimo MVP dei playoff in American Hockey League, insieme a Kasperi Kapanen e Nazem Kadri (70 punti combinati), allungano a dismisura la qualità di quattro “tridenti” che lasciano intatta ansia e pericolosità per tutta l’ora di gioco.

Oltre agli ottimi canterani Brown e Gauthier e allo svedesone al primo anno Lindholm merita una menzione d’onore Tyler Ennis, veterano con una vita passata a Buffalo e arrivato dalla free agency, costretto ad abdicare dopo un dignitoso start per un incredibile infortunio alla caviglia: in pratica un fortissimo point shoot gli è finito sul piede procurandogli una frattura. Il suo posto viene preso oggi da Trevor Moore.

D’altronde l’importanza della salute ed integrità di un roster è alla base per ottenere successi. Nel momento in cui parliamo si trova nella Injured Reserve un pezzo da novanta come Hyman, costretto a saltare qualche settimana per un problema alla caviglia palesato nella win contro i Devils.

Mostruoso come detto il rendimento nella top line di Mitch Marner, scoring leader e terzo violino. Il ventunenne di stanza nell’Ontario e quarta scelta dell’entry draft 2015 si ritrova a metà stagione con quasi 60 punti, – avvicinando così il best score del 2017 – un plus 17, 16 Pppts e un prodigioso 13% come shooting percentage.

Con funambolici e veloci giocatori da schierare sia nelle quattro linee che nelle powerplay unit non sorprende vedere Toronto così in alto nelle medie offensive di Lega (dietro ai Lightning e al pari dei Flames), ancor di più in una stagione pazzesca per quanto concerne le realizzazioni.

Dopo gli ultimi “accorgimenti” della NHL per tentare di spettacolarizzare il gioco, come ridurre le dimensioni di pantaloni, gambali, scudo, pinza e pettorine dei goaltenders, ci ritroviamo infatti ad assistere ad un record nelle segnature, aumentato vertiginosamente rispetto al recente passato, dove giocatori simbolo in queste statistiche stanno performando in maniera inimmaginabile.

Oltre ai Leafs approfittano della maggior average per reti a partita (poco meno di 3 per squadra lo scorso anno e oggi a 3.16) anche un campione come Ovechkin e la rivelazione a tinte Sabres Jeff Skinner. Se le proiezioni saranno mantenute, oltre ai due, più di 10 giocatori supereranno i 50 gol.

I problemi inversi che attanagliarono nel passato fenomenali goalies come Patrick Roy, Martin Brodeur e Dominik Hasek (minori protezioni, inferiore velocità del gioco e poche innovazioni tattiche dei coach) si stanno presentando di nuovo oggi per Carey Price e colleghi.

E’ grazie a franchigie così propense al bel gioco e allo spettacolo che gli introiti di lega sono sostanzialmente aumentati nel corso degli anni, provocando l’arrivo del tetto salariale al quasi 25%. Per tutto ciò un sospiro di sollievo lo ha tirato il giovane GM dopo le parole di Gary Bettman, visto che prossimamente si vedrà costretto a dover firmare rinnovi importanti.

Il commissioner ha infatti annunciato un sensibile ampliamento del salary cap fino a circa $85mln. Dopo Nylander e oltre a quella di AM#34, si potranno verificare così con più calma le situazioni economiche delle altre stelline in rosa come Marner, Kapanen, Johnsson e Gardiner.

Quest’ultimo, insieme a Morgan Rielly, forma una grandissima coppia di sinistra nelle prime due defensive line (ben 70 pts col secondo ai vertici di lega), nel reparto maggiormente preoccupante per i tifosi e che lascia dubbi sulla reale consistenza del gruppo come contender finale. Con loro in DL3 anche Dermott giunto l’anno scorso dalla AHL.

La parte destra lascia molte perplessità e pensare in un’eventuale sfida ai playoff di contrastare Ovechkin, Panarin, Guentzel o Marchand con Hainsey, Zaitsev e Ozhiganov (dalla KHL) mette i brividi lungo la schiena. Dubas tiene gli occhi aperti, anche alla luce dei rumors che danno il capitano Blues Alex Pietrangelo sul piede di partenza. Sembra fantahockey ma immaginare una coppia con Rielly trasformerebbe la linea in una Top Pair.

Un blocco che come lo scorso anno – con l’esperto Roman Polak in più – viene bersagliato dai tiri altrui (28° e 24° posto) ma che nonostante questo sopravvive nei gol subiti (12° e 6°).

I meriti, ovvio, vanno ascritti a Frederik Andersen, 91 wins dal 2016 e campione di continuità, secondo solo a Cam Talbot per starts negli ultimi due anni (140 a 132), capace di ottenere almeno 20 vittorie in ogni partecipazione al campionato (6) e di avere una save percentage in carriera di .918! Un mostro sacro giunto ormai ai livelli di Bobrovsky e Rinne.

E’ lui il segreto della “sopravvivenza” difensiva dei Leafs. Il suo recente infortunio day-to-day ha comunque convinto la dirigenza ad ingaggiare da Florida Michael Hutchinson (perentorio nello shutout contro Vancouver) in cambio di una quinta round pick al Draft 2020, anche perché Garret Sparks, Calder Cup’s winner pure lui, non convince e di recente si trova in concussion protocol.

Dopo più di 50 anni quel che si chiede alle foglie d’acero è riportare la coppa in casa di una delle franchigie “Original Six” grazie alle quali si decretò la nascita della NHL!!

Chi ama l’hockey ma soprattutto la meravigliosa tradizione che porta oggi a strabiliarsi per il quotidiano spettacolo che questi gladiatori offrono sul ghiaccio, non può non provare ammirazione e rispetto per questa “casata” che ha fatto storia, leggenda e mito!!

Certo la Eastern Conference è ricca di forza e di contendenti. Per arrivare alla fine, come in tutti gli sport ma qui ancor di più, la voglia di vincere, la mentalità e la ferocia agonistica sono importanti al pari della tecnica e dell’abilità.

Sono infatti queste le caratteristiche che hanno permesso ai Capitals (in particolar modo contro i più tecnici Lightning) e sovente ai Penguins di superare una serie di temibili ostacoli che sia l’Atlantic che la Metropolitan mettono di fronte prima di arrivare a giocarsi la Stanley Cup.

Tutto ciò permetterebbe ai ragazzi di Babcock di bypassare i limiti difensivi emersi nelle ultime due annate. In postseason, come ampiamente dimostrato dallo scontro coi Bruins lo scorso anno, cattiveria, esperienza e furbizia in alcune situazioni la fanno da padrone.

Il roster costruito inoltre, nonostante la giovane età, non permette esperimenti; il team è completo in tutti i settori per competere e arrivare al traguardo, ma soprattutto è difficilmente migliorabile.

La voglia e l’orgoglio di rifarsi dopo anni di sofferenza c’è, così come la spinta e il tifo di un popolo unico, fiero delle proprie origini e di “esserci stato per primo”.

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