In matematica, un numero è un modo di esprimere una quantità, oppure la posizione in un elenco di elementi, oppure il rapporto tra grandezze dello stesso tipo.

Nella nostra vita invece, i numeri, spesso e volentieri si associano ai giorni, ai mesi, agli anni del nostro cammino ed è per questo che la loro visualizzazione permette che tornino in luce, nell’angolo di cervello dedicato ai ricordi, dei fatti, degli avvenimenti dolci, amari, belli o brutti.

Ecco dunque che nello sport, qualsiasi tipo di sport, i numeri cambiano ancora la propria pelle e lo fanno diventando probabilmente ancora più importanti; quante volte avete sentito la frase “per lui parlano i numeri” quando nei numerosi programmi sportivi si citano le imprese o le vittorie di qualche squadra o di qualche giocatore?

Dal tanto amato calcio del nostro bel paese dove i numeri danno ragione alla Juventus ed al suo bomber Gonzalo Higuain, al football appena terminato in USA con la vittoria al 51esimo spettacolare Superbowl dei New England Patriots guidati dal “G.O.A.T.” quarterback Tom Brady, dal tennis dove il sensazionale Roger Federer ha alzato poche settimane fa il 18esimo Slam in carriera, sino ad arrivare all’hockey su ghiaccio giocato in nord America dove tre fenomeni hanno raggiunto una quota (chiamata “milestone” negli States) decisamente importante nella propria carriera: mille punti (somma data da goal ed assist messi a referto durante la stagione regolare, playoffs esclusi dunque).

I numeri dunque ci danno modo di poter porre delle considerazioni che senza di essi nemmeno ci sogneremmo di trarre.

In ordine cronologico, durante questo inizio di 2017, Alexander Ovechkin (Washington Capitals), Henrik Sedin (Vancouver Canucks) e Sidney Crosby (Pittsburgh Penguins) hanno messo a referto il millesimo punto di tre splendide carriere, alcune meno vincenti di altre, ma pur sempre mitizzate da questa milestone che rimarrà scritta in maniera indelebile negli almanacchi della NHL.


E’ il 20 gennaio 2017 e con un goal al “compagno di una vita” Roberto Luongo (ora goalie dei Florida Panthers) Henrik Sedin mette a referto il punto numero 1000 della sua carriera in NHL

Partiamo dal giocatore più anziano dei tre, Henrik Sedin, svedese di Ornskoldsvik, località che conta ad oggi 28 mila anime, due delle quali nate nel lontano 1980 con il dono di saper giocare molto bene ad hockey su ghiaccio, divenuti col tempo icone della franchigia canadese dei Vancouver Canucks in NHL.

Al Draft del 1999 sbarcano in NHL due gemelli svedesi con grandi aspettative…i Sedin!

Henrik e Daniel Sedin nascono il 26 settembre e vivono vite parallele in cui ogni decisione viene presa in simbiosi; “Dove vai tu, vengo anch’io fratello” sembra il motto dei gemelli Sedin, selezionati al Draft del 1999 dai Vancouver Canucks rispettivamente come terza e seconda scelta assoluta.

Grazie alla impostazione tecnica che anno dopo anno maturano sul ghiaccio i “twins” deliziano il pubblico canadese: se Henrik è un fenomenale playmaker abile a servire assist ai compagni, ecco che Daniel risulta il goal scorer, ossia colui che sfrutta il lavoro del gemello per insaccare le porte avversarie.

Ma oggi celebriamo Henrik…e dunque ecco un po’ di cose che forse non sapete di lui.

Se i primi anni in National Hockey League risultano essere piuttosto difficili, la vera esplosione di Henrik Sedin a livello realizzativo arriva dalla metà degli anni 2000 in poi; la stagione migliore (2009/2010) culmina con la conquista dell’Art Ross Trophy (ossia leader dell’intera NHL nella statistica dei punti) quando mette a referto qualcosa come 29 goal ed 83 assist per un totale di 112 punti. Nella stessa stagione vince inoltre l’Hart Memorial Trophy, premio che viene indirizzato al giocatore più importante per la propria franchigia dell’intera lega.

Il 2010 è un anno magnifico per Henrik ed il famoso sito web Sporting News lo celebra inoltre come il “giocatore dell’anno” per il mondo dell’hockey su ghiaccio; il 9 ottobre dello stesso anno in occasione della cerimonia per festeggiare il quarantesimo compleanno della franchigia e l’inizio di una nuova promettente stagione, Henrik diventa il nuovo capitano della squadra, per l’esattezza il tredicesimo (ed ultimo sino ad ora) assoluto dei Vancouver Canucks.

E’ la stagione della Stanley Cup sfiorata, vista da vicino nella folle notte del 15 giugno 2011 di Vancouver, quando i sogni del popolo canadese svaniscono di fronte alla prepotenza dei Boston Bruins, che infiammano non solo il ghiaccio dell’Arena ospite in una gara 7 da incubo per Sedin & Co. ma scatenano anche l’inferno per le strade della città quando, dopo la partita, la rabbia e la delusione dei tifosi di casa sfocia in scene che preferiremmo sempre evitare.

La foto, divenuta famosissima in tutto il mondo, ritrae una coppia di fidanzati che trova il modo di distogliere la mente dalla guerriglia che sta accadendo per le strade di Vancouver baciandosi in mezzo alla strada (si seppe poi che la ragazza fu colpita da un agente della polizia ed il fidanzato la stava tranquillizzando, non baciando, ma spesso gli occhi vedono solo ciò che vogliono…ed a noi piace più raccontarla nella prima versione)

La cocente delusione patita contro i Boston Bruins nella finale di Stanley Cup risulterà da stimolo per l’ottima Regular Season successiva disputata dai Canucks che chiuderanno la stagione con 111 punti, vincendo la Northwest Division e da Henrik Sedin, che con i suoi 81 punti guiderà le statistiche dei suoi, i quali però si scioglieranno immediatamente al primo turno playoff quando di fronte si troveranno i Los Angeles Kings in forma strepitosa, venendo umiliati per 4-1 nella serie (Kings che conquisteranno in seguito la loro prima Stanley Cup della storia) decisa inoltre dalle parate di un monumentale Jonathan Quick.

Il 2012/2013 è l’anno del lockout, si gioca solo per mezza stagione, quanto basta ad Henrik per piazzare 45 punti in 48 presenze e trascinare i suoi Canucks ancora una volta in vetta alla propria Division, ma purtroppo sciogliersi nuovamente al primo turno playoff, sempre contro una squadra californiana, ma questa volta non sono i Kings ad imporsi pesantemente, ma bensì i San Jose Sharks che non lasciano nemmeno un briciolo di gara a Vancouver.

L’età avanza, ma la franchigia crede in Henrik e quando sta per iniziare la stagione 2013/2014 ecco che arriva il prolungamento di contratto da 28 milioni di dollari per altri 4 anni (che scade proprio questo fine anno…).

Per il buon Henrik però stagione incolore e condita da qualche infortunio di troppo, cosa che in passato non aveva mai caratterizzato la sua carriera (che lo ha visto scendere sul ghiaccio per 679 gare consecutivamente fra il 2003 ed il 2013!), e conclusa con i suoi Canucks fuori dai giochi senza disputare la post season.

Il 2014/2015 è l’anno del riscatto, Vancouver torna quella di un tempo ed Henrik sigilla un’altra magnifica stagione da 73 punti (18 goal e 55 assist) trascinando il suo team ai playoff dove ancora una volta però si fermano di fronte al primo ostacolo, a sorpresa infatti i Calgary Flames si impongono nella serie per 4-2 chiudendo forse un ciclo in casa Canucks.

Da quella serie playoff persa malamente sono arrivati 82 punti in una stagione e mezza, che ne hanno consentito l’approdo al meraviglioso “club dei mille” quando il 25 gennaio scorso, assistito dal gemello Daniel che sembra volergli dire “ricordati di me fra una trentina di punti!”, infila il puck con un pregevole backhand sotto le gambe dell’ex compagno di squadra Roberto Luongo, realizzando così il punto numero 1000 in NHL; ma la storia non finisce qui…da quel momento infatti per Henrik altri 2 punti messi a referto.

Detto della sua carriera in NHL piuttosto avara di successi a livello di squadra, il trentaseienne ha la fortuna di essere svedese, popolo che vede l’hockey su ghiaccio come sport principale nella propria terra; con la maglia giallo-blu del proprio paese Sedin vince la medaglia d’oro alle Olimpiadi Invernali di Torino del 2006 ed ai Mondiali del 2013 disputati in terra propria, più due medaglie di bronzo conquistate ai Mondiali del 1999 in Norvegia ed a quelli del 2001 in Germania.

Benvenuto nell’Olimpo della National Hockey League Henrik, luogo da cui nessuno mai ti toglierà!


12 gennaio 2017: bastano pochi minuti ad Alexander Ovechkin per far esplodere il Verizon Center di Washington. Per lui goal spettacolare proprio di fronte ai Penguins di un certo Sidney Crosby e punto numero 1000 in NHL (che diventeranno nella stessa gara 1001 e 1002…!)

Secondo per anzianità, ma primo ad aver raggiunto la quota dei 1000 punti in NHL durante il corso di questa stagione eccoci giunti a parlare di Alexander Ovechkin, lo zar russo dei Washington Capitals, che per l’ennesima volta sta combattendo per raggiungere il titolo che ogni ragazzino sin dai primi graffi compiuti in una pista da ghiaccio sogna, ossia la Stanley Cup.

Alexander Mikhailovic Ovechkin nasce il 17 settembre 1985 nella capitale russa Mosca da due genitori che con lo sport hanno a che vedere; il padre Mikhail infatti è un giocatore di calcio, mentre la madre Tatyana è una stella del basket. Diciamo che da una coppia così, non poteva sicuramente nascere un pantofolaio.

Papà Mikhail muore in un incidente d’auto quando il piccolo Alex ha solamente dieci anni e per mamma Tatyana gestire tre figli maschi tutti appassionati all’hockey su ghiaccio diventa complicato tant’è che Sergei, fratello maggiore di Alex che a detta dello stesso futuro “great number 8” è colui che gli ha trasmesso la passione per questo sport, è costretto a smettere per le difficoltà della famiglia a portarlo agli allenamenti. Ma per Alexander non va così, uno dei suoi coach nota il grande talento a disposizione del ragazzo ed insiste con la famiglia purchè facciano di tutto per permettergli di continuare quella che diverrà una carriera meravigliosa.

A 16 anni Ovie sbarca nella Russian Super League con la maglia della Dynamo Mosca, dimostrando di saperci fare anche se di fronte si trova gente con molta più esperienza e fisico di un teenager qual’egli è in questo momento, registrando 36 goal e 32 assist nelle 152 gare disputate nell’arco di 3 stagioni.

Ma il suo sogno non è quello di diventare l’eroe in casa propria, ma bensì quello di

Lo sapevi che Alexander Ovechkin era stato selezionato dai Florida Panthers al Draft del 2003 ma la NHL non ha accettato per 2 soli giorni di differenza fra l’età all’epoca dello Zar e l’età minima plausibile che un giocatore deve avere per essere eleggibile da una franchigia NHL?

poter calcare i ghiacci del Nord America, dove si gioca il campionato di hockey più bello e difficile del mondo, la NHL.

E’ il draft del 2004 quando Alexander Ovechkin viene selezionato come prima scelta assoluta dai Washington Capitals; il 2004/2005 però è l’anno del lockout in NHL ed il suo esordio deve attendere un’altra lunga stagione.

Il 5 ottobre 2005 arriva finalmente il grande giorno per Ovie: è il giorno della prima gara in National Hockey League, l’esordio risulta come previsto un successo, il #8 timbra i primi due goal della giovane carriera contro i Columbus Blue Jackets nella vittoria per 3-2.

Il primo hattrick non tarda ad arrivare per il fromboliere russo, siamo a gennaio della stessa stagione ed Ovie infila la porta degli Anaheim Ducks difesa da Giguere in 3 occasioni permettendo anche in quella occasione ai suoi Capitals di portare a casa i 2 punti.

“E’ un fenomeno”, “Ovie power”, i titoli dei giornali e dei siti web impazzano nell’anno da rookie del giovane Alexander che termina la stagione mettendo a referto qualcosa come 106 punti in 81 gare divisi fra 52 goal e 54 assist; a 15 anni dall’ultima volta un rookie in quella stagione viene chiamato per disputare l’All Star Game, ovviamente stiamo parlando di Ovie; a fine anno poi vince senza discussioni il Calder Trophy (premio per miglior rookie della stagione).

La stagione successiva si pensa ad una possibile situazione da “sophomore”, quello che accade spesso ai giocatori giovani al secondo anno di NHL, ma Ovie è Ovie e risponde con 46 goal e 46 assist; si arriva così alla terza stagione fra i grandi ed il termine contrattuale incombe: la franchigia della capitale non può lasciarsi sfuggire un fenomeno di tale imponenza e dunque, prima ancora che inizi il nuovo anno, gli offre un contratto “a vita” da 124 milioni di dollari per i successivi 13 anni (scadrà dunque nel 2021).

Alexander risponde con la stagione più imponente della sua carriera: sigla 65 goal e 47 assist, con 112 punti vince l’Art Ross Trophy, il Maurice Richard Trophy, l’Hart Memorial Trophy, il Lester B.Pearson Award (divenuto poi Ted Lindsay Award) ma soprattutto trascina i Capitals ai playoff dopo 3 anni di astinenza; nonostante piazzi 9 punti nelle sette gare disputate contro i Flyers, Washington si arrende al primo turno ed Ovie deve dire addio al sogno chiamato Stanley Cup e purtroppo non sarà l’ultima volta…

La stagione 2008/2009 è quella buona dicono in molti, Ovie a 24 anni sembra aver raggiunto la maturità adatta per poter alzare finalmente la Stanley Cup; chiude la Regular Season con 110 punti vincendo per il secondo anno consecutivo l’Hart Trophy ed il Lester B. Pearson Award, ma ai playoff dopo aver eliminato i New York Rangers i suoi Washington Capitals devono inchinarsi ai Pittsburgh Penguins in una amarissima gara 7 disputata fra le mura amiche: la partita vive il momento clou a cavallo del primo periodo quando proprio Ovie lanciato in un uno contro uno si fa parare il tiro da Fleury, mentre pochi minuti dopo i Penguins vanno a segno per 2 volte colpendo al cuore l’intera Arena ed Ovechkin stesso inquadrato dalle telecamere con la testa china ogni qualvolta termini il suo shift sul ghiaccio e si sieda in panchina.

E’ l’inizio di una storia ancora da scrivere fra “the great eight” e la Stanley Cup, la storia di una rincorsa alla più bella del reame, con lei che ogni volta sembra voler sfuggire dalle mani dell’amato respinto sempre sul più bello, vuoi per colpa di Crosby, vuoi per colpa di Lundqvist.

Ovie però non è uno che si lascia scoraggiare ed ogni anno ci riprova, purtroppo però con il medesimo risultato: Montreal, Tampa Bay e per due anni consecutivi New York Rangers fermano le ambizioni di vittoria della formazione capitolina.

Si arriva così alla stagione 2013/2014, anno in cui il #8 timbra il cartellino per ben 51 volte in stagione ma chiude con un clamoroso -35 nella statistica dei plus/minus ed i suoi Capitals per la prima volta dal 2006/2007 non centrano la qualificazione in post season.

A pagarne le conseguenze è il coach Adam Oates, sostituito da Barry Trotz, una vita in quel di Nashville, pronto per dare nuova linfa a Washington: la nuova linfa si chiama difesa; già, perchè per segnare non ci sono e non ci saranno mai problemi ma quando si chiude una stagione con delle statistiche simili il fondamentale da migliorare ovviamente è la copertura difensiva e la voglia di rientrare a dare una mano ai compagni del reparto arretrato nelle situazioni complicate.

Trotz rispetta le attese ed i Capitals tornano ad essere la temibile squadra di 2 anni prima, con un Ovechkin maturato dal punto di vista difensivo sino a tal punto da fare un salto di +45 rispetto alla stagione passata nella statistica dei plus/minus; purtroppo però Washington si scioglie ancora una volta sul più bello e quando la serie di semifinale di Conference contro i New York Rangers sembra poter dare finalmente la rivincita ad Ovie e compagni ecco che sul 3-1 qualcosa si incarta, Lundqvist ritorna il muro di un tempo in gabbia ed i Caps devono inchinarsi in gara 7.

Il 2015/2016 è strano, Ovechkin per la prima volta in carriera non chiude come miglior marcatore della propria squadra, secondo all’altro russo Evgeni Kuznetsov, ma i Capitals sono a detta di tutti gli esperti la squadra da battere per la conquista della Stanley Cup dopo una cavalcata strepitosa in Regular Season conclusa con la conquista del Presidents’ Trophy; purtroppo però fra Ovie e la Stanley Cup di mezzo ci sono ancora una volta gli odiati rivali dei Pittsburgh Penguins che si impongono in 6 gare ed oltre ad andare a vincere la Stanley Cup alzeranno poi alla prima gara della nuova stagione il banner nella propria Arena proprio di fronte ad Ovie e compagni: oltre il danno la beffa.

Un piccolo riscatto arriva il 12 gennaio 2017, quando “The Great Eight” sigilla il punto numero 1000 in carriera proprio di fronte a Crosby & Co. con un goal da antologia.

Per lui sono 1017 punti in 895 gare disputate, 3 Hart Memorial Trophy, 3 Ted Lindsay Award, 1 Art Ross Trophy, 6 Maurice Richard Trophy ed il Calder Trophy conquistato il primo anno in NHL, insomma un curriculum di tutto rispetto direi…

Benvenuto nell’Olimpo della National Hockey League Alexander, luogo da cui nessuno mai ti toglierà!

Nel frattempo il sogno continua, lei è ancora li ad aspettare di essere sollevata dal numero 8, il numero dell’infinito, come infinito è il suo amore per questo sport che disputa in ogni singola gara con grandissima tenacità e caparbietà, così come è infinita la sua voglia di alzare la Stanley Cup, diciamolo, l’unica cosa che manca al “The Great Eight” (non me ne vogliano vittorie a Mondiali o Olimpiadi con le proprie nazionali, sia ben chiaro, ma ritengo che la Lord sia un’altra cosa!).


16 febbraio 2017: con una “3 point night” contro i Winnipeg Jets, Sidney Crosby festeggia i punti numero 1000, 1001 e 1002 (siglando il goal vittoria all’overtime) in NHL

Ultimo dei tre fenomeni a superare quota 1000 in NHL, ma capace di farlo nel minor numero di gare disputate rispetto ai due sopracitati (sole 757 partite), eccoci giunti a parlare di Sidney Crosby, il capitano dei Pittsburgh Penguins, colui che, così ha detto Mario Lemieux recentemente, salvò la franchigia dal fallimento l’anno in cui venne draftato.

Troy e Trina Crosby, coppia felicemente sposata di Cole Harbour in Nova Scotia, diventano genitori di colui che in futuro sarà anche chiamato “the next one” il 7 agosto del 1987: al Grace Maternity Hospital di Halifax infatti Trina da alla luce il piccolo Sidney Patrick.

Sin da giovanissimo Sid, grazie alla passione trasmessa dal padre ex goalie in Quebec Major Junior Hockey League, si innamora dello sport che il popolo canadese respira come nessun altro, ossia l’hockey su ghiaccio; il talento si nota immediatamente, tant’è che a soli 7 anni un giornale sportivo regionale concede a Crosby la prima intervista della sua carriera, definendolo come un futuro campione della NHL.

A 13 anni è troppo forte per i suoi coetanei, tant’è che la Nova Scotia’s Minor Hockey Council decide di farlo giocare con le squadre composte da ragazzini che vanno dai 15 ai 17 anni; la scelta si rivela opportuna poichè nella stessa stagione Sid mette a referto qualcosa come 95 goal e 98 assist fra Regular Season e playoffs trascinando la sua squadra (il Dartmouth) al secondo posto della Air Canada Cup.

Crosby è troppo forte, talmente forte che per alcuni genitori dei ragazzini che lo incontrano da avversario, andrebbe fermato anche con le maniere dure; la CBC tramite la trasmissione Hockey Night in Canada nel 2001 manda in onda delle immagini in cui si vede l’intenzionalità di diversi giocatori di voler colpire volontariamente Sidney nel tentativo di infortunarlo.

Passano gli anni e le sue spalle iniziano ad ingrossarsi, fra il 2003 ed il 2004 disputa due stagioni in QMJHL con la casacca dei Rimouski Oceanic: saranno gli anni decisivi per far diventare il Draft del 2005 una vera bagarre per accaparrarsi le prestazioni di un ragazzino che ha tutta la stoffa di poter diventare il nuovo Gretzky. In queste stagioni infatti Sid mette in mostra tutto il suo talento, sfornando 183 assist ai compagni ed andando a segno per 120 volte in 121 gare disputate!

Sid the Kid e Mario Lemieux al Draft del 2005 chiamato dai media anche “Sidney Crosby Lottery”

Visto che la NHL nella stagione 2004/2005 subì il blocco totale con il famoso lockout, la “lottery” per il Draft 2005 fu generata assemblando le apparizioni ai playoff e le posizioni ai Draft degli ultimi 4 anni di ogni squadra; l’ultimo nome ad uscire dalla lista furono i Pittsburgh Penguins.

Appena selezionato dai Penguins, Sidney venne ospitato, assieme al goalie compagno di squadra Marc Andre Fleury, dal mentore, nonchè stella delle 2 Stanley Cup vinte consecutivamente nel 1991 e nel 1992, Mario Lemieux.

La prima stagione in NHL dimostra quanto immaginato in precedenza: Sid the Kid viaggia ad una media ben superiore al punto a partita, mettendo in mostra tutto il suo talento nonostante i Penguins siano ancora un cantiere aperto, reduci da stagioni disastrose ed imbottiti di giovani; il #87 (scelto in onore della sua data ed anno di nascita) chiude l’anno da rookie registrando 102 punti, divisi fra 39 goal e 63 assist, arrivando secondo per la conquista del Calder Trophy, vinto da…Alexander Ovechkin!

E’ l’inizio di una continua sfida a distanza fra i due fenomeni che nel successivo decennio diventeranno due fra gli dei di questo meraviglioso sport.

Anno nuovo, vita nuova: in quel di Pittsburgh sbarcano nuovi talenti, finalmente dalla Russia ha il via libera per giocare in NHL Evgeni Malkin, draftato l’anno prima di Crosby ma bloccato in madre patria per problemi burocratici, dal Draft ecco arrivare il possente centro Jordan Staal ad andare ad arricchire un reparto che promette scintille.

Così sarà: Pittsburgh torna ai playoff dopo 4 anni di astinenza, Crosby disputa la miglior stagione della sua carriera, totalizzando 120 punti in Regular Season (36 goal ed 84 assist), diventando il giocatore più giovane in assoluto in NHL a vincere l’Art Ross Trophy, a cui seguiranno agli Award di fine stagione la conquista dell’Hart Memorial Trophy e del Lester B. Pearson Award.

In post season però la poca esperienza della squadra si fa sentire e gli Ottawa Senators si impongono al primo turno con un netto 4-1.

Subito dopo la sconfitta in gara 6, a Sidney Crosby venne dato il compito di diventare il nuovo capitano della franchigia, a quel tempo il più giovane mai nominato in NHL con i suoi 19 anni, 9 mesi e 24 giorni (superato in seguito da Gabriel Landeskog, Colorado Avalanche e lo scorso ottobre da Connor McDavid, Edmonton Oilers).

Il 2007/2008 è un anno travagliato per Sid in Regular Season, un infortunio piuttosto grave alla caviglia non gli permette di disputare l’intera stagione, limitandolo alle sole 53 presenze in cui registra 24 reti e 48 assist, concedendo il palcoscenico al compagno Evgeni Malkin che sfiderà Ovechkin per la conquista del titolo di MVP della stagione con poca fortuna.

Pittsburgh conquista i playoff ed il cammino in post season questa volta è trionfale, si prendono la rivincita lasciando a zero gli Ottawa Senators al primo turno, battono New York Rangers e Philadelphia Flyers con dei netti 4-1, ma si devono inchinare in finale di Stanley Cup ai Detroit Red Wings in una drammatica gara 6 persa di fronte al pubblico di casa con il disco che beffardamente scivola lemme lemme fuori dai pali all’ultimo secondo disponibile per portare la gara all’overtime.

La delusione è tanta e la squadra entra in un vortice negativo che ne porta la dirigenza a dover licenziare l’head coach Michael Terrien quando a dicembre del 2008 la formazione è al decimo posto della Eastern Conference a 12 punti da un piazzamento playoff; a succedergli è Dan Bylsma, ex head coach dei Wilkes Barre Scranton Penguins, formazione affiliata di Pittsburgh che disputa la American Hockey League.

La rimonta ha dell’incredibile ed i Penguins terminano la Regular Season in seconda posizione nella Atlantic Division con un Malkin straripante (MVP indiscusso della stagione con 113 punti messi a referto) ed un Sidney Crosby finalmente pronto ad alzare colei per cui ogni giocatore di hockey indossa ogni giorno i pattini: la Stanley Cup.

La corsa alla conquista della coppa più pesante di qualsiasi altra parte con il super derby contro gli acerrimi rivali dei Philadelphia Flyers, con tanto di rimonta da 0-3 a 5-3 nella decisiva gara 6 che lascia l’Arena nemica in completo silenzio, prosegue con la sfida al nemico prescelto Alexander Ovechkin ed i suoi Washington Capitals, anch’essi umiliati a domicilio in una indimenticabile (per i tifosi di Pittsburgh) gara 7, culmina con la roboante vittoria in finale di Conference contro i Carolina Hurricanes e termina con Max Talbot che realizza la doppietta decisiva in gara 7, permettendo la rivincita dei Penguins contro i Detroit Red Wings e permettendo a Sidney Crosby di diventare il capitano di franchigia più giovane (21 anni, 10 mesi e 5 giorni) ad alzare la Stanley Cup.

Il 2009/2010 è un cammino trionfale per Crosby ed i Penguins in Regular Season; Sid chiude la stagione con 109 punti in 81 gare, ma in post season qualche ingranaggio della macchina perfetta si blocca e dopo aver eliminato al primo turno gli Ottawa Senators (4-2), i Montreal Canadiens hanno la meglio in quella che sarà l’ultima gara disputata da Pittsburgh nella vecchissima Mellon Arena che lascerà spazio alla nuovissima Consol Energy Center Arena (ora PPG Paints Arena).

Dal 2010 al 2012 la carriera di Sidney è un calvario, in 4 giorni ad inizio 2011 subisce dei duri interventi alla testa da parte di Dave Steckel (Capitals) e Victor Hedman (Lightning) e non farà più rientro per l’intera stagione con i sintomi di una commozione cerebrale (concussion).

Si parla addirittura di ritiro, Sid soffre di vertigini, calo della concentrazione, nausee e terribili mal di testa, mai come in questa occasione la sua carriera sembra a serio rischio.

Ma la storia di Crosby non può finire così, non deve finire così, ed allora ecco che dopo 21 partite di Regular Season della stagione 2011/2012 il capitano torna in line up contro i New York Islanders in un Arena gremita di tifosi che invocano a squarciagola il suo nome; Sid the Kid risponde con 2 goal e 2 assist nella vittoria per 5-0 che segna il ritorno del giocatore più forte degli ultimi anni.

Purtroppo però come un fulmine a ciel tornato sereno, a dicembre complice un colpo subito da David Krejci (Bruins) a Sid tornano i sintomi da commozione cerebrale ed ancora una volta è costretto a saltare gran parte della stagione, tornando solamente a metà marzo per disputare le ultime gare della Regular Season ed il primo turno dei playoff, amari perchè i Philadelphia Flyers si impongono per 4-2 in una serie tesissima che porta il capitano dei Penguins a rilasciare un’intervista in cui dichiara di “non sopportare nessuno di loro, li odio, non mi piacciono proprio!”.

Dal 2013 al 2015 per Pittsburgh e Crosby diventa una costante disputare delle buonissime Regular Season per poi crollare in post season; accade così che prima Dan Bylsma venga sostituito da Mike Johnston e poi a dicembre del 2015 lo stesso Mike Johnston lasci il posto a Mike Sullivan quando la situazione sembra precipitare verso il disastro.

E’ la svolta: con coach Sullivan alla guida il peggior Crosby mai visto negli ultimi 10 anni (con un inizio di stagione imbarazzante) si trasforma nel miglior Crosby mai visto nell’ultima decade; i Penguins si sbarazzano di ogni avversario nei restanti 4 mesi di Regular Season arrivando caldissimi ai playoff, nei quali eliminano al primo turno i New York Rangers (netto 4-1, prendendosi la rivincita delle ultime 2 passate stagioni quando furono battuti proprio dalla compagine della grande mela), al secondo turno i Washington Capitals (la miglior squadra della NHL, per 4-2), in finale di Conference i Tampa Bay Lightning (finalisti nella stagione 2014/2015, per 4-3) sino ad arrivare alla finale di Stanley Cup dove di fronte si trovano i San Jose Sharks alla loro prima apparizione; il risultato è 4-2 Penguins e seconda Lord in bacheca per Sidney Crosby che viene nominato inoltre MVP della serie finale.

La festa in quel di Pittsburgh va avanti per tutta l’estate e non è una novità che a settembre Sid risulti fondamentale anche alla World Cup of Hockey conquistata dal suo Canada di qual’è ovviamente capitano.

Passano pochi giorni però e durante il training camp di settembre un colpo al cuore colpisce i tifosi Penguins: Crosby subisce una nuova commozione cerebrale e salterà l’inizio della stagione.

I fantasmi del passato rievocano ed ecco che la carriera di Sid sembra nuovamente in pericolo, ma come dicevamo prima, non può finire così, non deve finire così, ed ecco dunque che il 25 ottobre il capitano rientra in line up nella sfida contro i Florida Panthers, e chiaramente, segna 1 goal.

E’ un Crosby maturo, completo, perfetto, una macchina da goal, 31 sino ad ora, più 33 assist che lo rendono il secondo miglior marcatore della NHL in questa stagione, dietro solo al nuovo “next one” Connor McDavid, il quale però ha disputato 8 gare in più del fenomeno di Pittsburgh che non sembra per nulla convinto di voler mollare lo scettro di miglior giocatore assoluto di questo spettacolare campionato.

Il 16 febbraio 2017 Sidney Crosby sigilla il punto numero 1000 in NHL assistendo il compagno da una vita Chris Kunitz durante la gara vinta per 4-3 contro i Winnipeg Jets in cui all’overtime sarà proprio capitan Sid a deciderla sfruttando il lavoro magistrale svolto col disco da Evgeni Malkin, un’altro che presto arriverà a quota mille.

Benvenuto nell’Olimpo della National Hockey League Sidney, luogo da cui nessuno mai ti toglierà!

La bacheca di Sidney Crosby racconta di 2 Stanley Cup, 2 Art Ross Trophy, 3 Ted Lindsay Award, 2 Hart Memorial Trophy, 2 Mark Messier Leadership Award, 1 Conn Smythe Trophy, 2 medaglie d’oro Olimpiche, 1 medaglia d’oro ai mondiali ed 1 medaglia d’oro alla World Cup of Hockey… e possiamo garantirvi che non finisce qui!


Giunti a conclusione di un articolo dedicato a 3 capitani che hanno fatto, stanno facendo e faranno la storia della propria franchigia, non ci resta che augurarvi buon proseguimento di campionato!

BUCKLE UP BABY BECAUSE IT’S THE CUP!!

2 thoughts on “La carica dei 1000

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