“Never underestimate the heart of a champion”, diceva qualcuno che evidentemente non aveva ancora visto i playoff NHL, perchè di campioni i Kings hanno ben poco.

Ok, è vero, hanno vinto la Stanley Cup 2012, al termine di un’impresa storica, degna della miglior Cenerentola che sbaraglia la ben più quotata concorrenza e fa capolino nell’elite dell’hockey che conta.

Lo scorso anno l’avventura si è conclusa in finale di conference, contro i futuri trionfatori dei Chicago Blackhawks e per quest’anno non c’erano grandi aspettative su di loro e così si sono confermate, con un periodo straordinario subito dopo la pausa per le Olimpiadi, ma nulla più, prendendosi un misero sesto posto che li ha messi subito di fronte ai San Jose Sharks, squadra presente nel corredo delle contender di questa stagione.

E nemmeno il roster può far pensare a questi Kings come un team destinato a fare grandi cose, colpi di scena a parte, con Jonathan Quick a tirare avanti la carretta, tirando giù la saracinesca – quando in giornata – facendo diventare LA una delle prime forze difensive dell’intera lega.

Poi c’è Anze Kopitar, capocannoniere del team, che quando sale di colpi diventa letteralmente inarrestabile, creando occasioni per i compagni e sfruttando al meglio quelle che gli altri creano per lui.

Il resto è un buon gruppo di comprimari, in grado di dare il loro massiccio contributo, formando quell’ingranaggio che ha permesso ai californiani di vincere il trofeo più ambito un paio d’anni fa.

Un ingranaggio che, però, deve girare alla perfezione se vuole essere letale e mietere una vittima dietro l’altra, come successo proprio nel 2012.

Cosa che non è accaduta all’inizio di questa edizione dei playoff, in cui i due succitati hanno fatto fatica a dimostrare il loro talento e gli altri, di conseguenza, non sono riusciti a reggere il carico, sprofondando immediatamente nell’oblio.

Perciò, 3-0 Sharks, che è equivalso a tre pesanti cazzotti nello stomaco non solo dei giocatori, ma di tutti i tifosi, i quali sapevano di partire come sfavoriti, ma che non si aspettavano una così modesta resistenza, soprattutto da parte del loro portiere che ha preso la bellezza di 13 gol nelle prime due gare, salendo sul banco degli imputati.

Why? Why? Era la domanda ricorrente dei sostenitori. Dove diavolo è finito il carattere che ha contraddistinto la squadra nelle sue ultime apparizioni all’appuntamento più importante?

Nessuno ha saputo dare una risposta, perché la risposta a tale quesito doveva arrivare sul campo e così è stato, con una lieve reazione nella terza partita – la prima giocata tra le mura amiche – in cui i Kings hanno lottato fino alla fine, portando gli avversari all’overtime, prima di subire il gol di Patrick Marleau che sembrava dover tagliare le gambe agli uomini di Darryl Sutter.

Ma così non è stato, perché in gara 4 i Kings hanno tirato fuori tutta la loro rabbia, rispedendo al mittente le intenzioni di chiudere la serie con uno sweep che sarebbe stato fin troppo esagerato, almeno per le premesse della vigilia.

Tranquilli, è solo il canto del cigno, dicevano in molti. San Jose chiuderà la contesa nel quinto match, in casa.

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Invece no! Quick sigla una prestazione degna di nota, parando tutte e 30 le conclusioni degli avversari, mentre Kopitar riusciva finalmente a sbloccarsi, con la prima rete della serie, dopo essersi limitato a servire quattro assist ai compagni.

E proprio per il discorso che facevamo prima, non appena i due beniamini sono saliti in cattedra, la serie ha preso una direzione ben precisa, quella di Los Angeles, dove i Kings hanno stravinto gara-6, grazie alle doppiette proprio di Kopitar e di Justin Williams, coadiuvati da uno strepitoso numero 32 che ha visto gonfiare la propria rete una sola volta, quando gli Sharks hanno momentaneamente pareggiato, nel secondo periodo.

Così è 3-3 e si va ad un’insperata gara 7, al termine di una rimonta che aveva già il sapore di qualcosa di storico, ma che non era ancora completa, perciò non si poteva definire tale.

San Jose, dal canto suo, sembra essere alle corde, per niente in grado di reagire ai ripetuti colpi inferti dalla diretta concorrente che quell’ingranaggio lo ha oliato per benino e rimesso in funzione, appena in tempo.

Un ingranaggio che ha permesso di risvegliare la sfida e ucciderla con il 5-1 dell’ultima partita, arrivato dopo che gli Sharks erano passati in vantaggio ad inizio secondo periodo, per poi soccombere alla schizofrenia incontrollata dei Kings, capaci di sfoderare tutta la loro ferocia in un momento in cui sembravano dover soffrire.

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Un atteggiamento alla Dottor Jekyll & Mister Hyde, dettato da un grande carattere e da una mentalità vincente che a volte si spegne, ma che quando è in azione sa mettere in ginocchio chiunque si trovi di fronte.

Ora li aspettano gli Anaheim Ducks, per un altro derby californiano – questa volta più ravvicinato – che promette scintille.

Tutti i tifosi Reali si augurano che il sogno chiamato Stanley Cup possa proseguire e che se ci vorranno altre serie così pur di arrivare alla coppa, beh ben vengano…ok, forse è meglio di no.

 

One thought on “L.A. Kings: Call it a comeback!

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