Giustizia è fatta.

Nella notte di Sabato 2 novembre la maglia numero 10 di Pavel Bure ha raggiunto casa sua in cima al tetto della Rogers Arena a seguito di una cerimonia che è arrivata, con estremo ritardo, ben 14 anni dopo la sua partenza e oltre un anno dopo la sua induzione nella Hockey Hall of Fame.

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C’è talmente tanto da dire sulla storia di Pavel Bure a Vancouver che a metà articolo saremmo solamente all’inizio del duello contro Tony Amonte per il Calder. Per questo ho scelto 5 momenti per onorare, nel mio piccolo, quello che è stato il più grande giocatore a vestire la maglia dei Canucks.

Pavel Bure è gioia per gli occhi.

Pavel Bure è emozioni.

Pavel Bure è per l’hockey quello che Walter White è per le metanfetamine.

#1 Preparazione al lancio:

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Pavel Bure nel suo appartamento di Vancouver

Chiunque abbia visto °Amici Miei parte I° sa la definizione di genio. Chiunque non l’abbia visto, mi dispiace per voi. Si sa che con il genio viene la sregolatezza, l’imprevedibilità. E non v’è mai certezza. Bure è stato così fin dall’inizio. Quando fu scelto da quella volpe che è Pat Quinn al draft del 1989, nessun altro sapeva fosse draftabile oltre il terzo round. Un anno più tardi i Canucks furono multati per averlo draftato. Fino a che Pat la volpe non produsse i documenti che mostravano come Pavel avesse giocato gare internazionali a sufficienza e potè firmare un contratto con i Canucks.

Non prima di altre complicanze.

1990, fra i resti dell’Unione Sovietica e il Nord America non correva buon sangue, i russi avevano cominciato a sbarcare nella NHL ma non senza ripercussioni e Pavel aveva un fratello 15enne, Valeri, che aveva bisogno di crescere professionalmente a Mosca. Nel 1991 e con una penale di 250.000 $ pagata alla Red Army, Bure, che si trovava a Los Angeles da mesi con tutta la sua famiglia dopo essere scappato da Mosca, potè firmare un contratto da professionista con Vancouver.

E non è finita. Per quanto sembri assurdo ad oggi, Bure temeva di finire nelle minors. Un debutto importante contro i Jets, ma dopo 3 gare ancora nessun gol. Un adattamento difficile, fino a che Quinn non lo mette insieme a Greg Adams e a fianco del suo mentore nord americano Igor Larionov.

E il resto è storia.

#2 Il lancio del razzo:

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Pavel Bure con il Calder Trophy

Non so come o perchè la difesa dei Kings gli lasci tutto quello spazio nello slot, ma il 12 novembre del 1991 è cominciata veramente la carriera di Pavel Bure in NHL. E’ raro vedere un giocatore dimostrare tutte le sue abilità nel primo gol, ma Bure è l’eccezione che conferma la regola. La stecca più veloce del west segnava il suo primo gol nella NHL e da li in poi nella mente dei giocatori avversari vi era solo un pensiero:

Sapere sempre dove si trova quando è sul ghiaccio.  

Non che cambiasse tanto. Come si può vedere dal video i tifosi di Vancouver non aspettavano altro che un giocatore simile, e al suo primo gol si era meritato già una standing ovation. Bure avrebbe segnato altri 3 gol nelle due gare successive, ma pur essendo già un idolo oltre che un highlight vivente il bottino diceva 7 gol in 30 gare. Pochi per uno come lui.

Il salto di qualità arriva dopo l’All-Star break: Pavel Bure capisce come la NHL sia diversa, come sia un equilibrio tra qualità, pazienza e impegno, e che aspettando il momento giusto e sfruttando il lavoro dei compagni di linea sarebbe potuto diventare un marcatore d’elite. Bure segna 27 gol nelle ultime 35 partite, mettendo il turbo sul ghiaccio e sorpassando Tony Amonte come rookie of the season, che era lo strafavorito per vincere il Calder Trophy. Da li non si è più fermato, confermandosi in entrambe le due stagioni successive con con 60 gol e oltre 100 punti. Pur privo di Igor Larionov.

#3 The Russian Rocket, un soprannome riduttivo:

Il suo soprannome deriva dalla sua incredibile velocità. I giocatori che potevano tenergli il passo si contavano sulle dita di una mano di Homer Simpson, ma quello che rendeva Bure speciale era il fatto che potesse portare e gestire il disco a quella velocità. Bure era capace di eludere qualsiasi difensore senza perdere tempo e ritmo. Era capace di accelerare bruscamente senza perdere il controllo e bruciando i difensori avversari oltre la linea blu. Era un giocatore magnifico da vedere. Il suo debutto in NHL non fu nemmeno mandato in TV, e Bure non aveva nemmeno segnato. Lo stesso l’intera città restò in piedi fino a tardi per gustarsi gli highlight e l’inizio di una bella storia.

Bure aveva i tifosi in piedi ogni volta che toccava il disco.

Pur essendo piccolo per gli standard della NHL Bure era un torello e fino a che le ginocchia hanno retto non aveva punti deboli. Dotato di grande forza ed equilibrio, le sue gambe gli permettevano di far esplodere la sua velocità in ogni momento. Il suo wrist shot era letale, e lo era pure il suo slap shot. Ma quello che gli piaceva fare di più erano le finte, oltre a far segnare il suo amico fraterno Gino Odjick.

Nei giorni che hanno preceduto questa cerimonia avrò rivisto i suoi video un centinaio di volte e ho scelto questi 3 per i lettori di Hockey Night in Cividale.

3)  One man show vs New Jersey (29 Gennaio 1994)

I difensori fatti fuori in questa azione? Scott Niedermayer e Scott Stevens. E se una finta è buona per far fuori Scott Stevens, chi è il povero Chris Terreri per opporsi?

2) Pattino-stecca-rete, the Russian rocket is back! Vs Boston (25 settembre 1996)

Bure porta la maglia 96 e non la 10 che è stata ritirata. Ed e’ oltretutto una gara di pre-season. Ma niente più di questo gol mostra le abilità di Pavel come marcatore d’elite.

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It’s a triple overtime hat trick for Vancouver! Pavel Bure has won it for the Canucks!

1) Triplo overtime, tripla finta, tripla gioia (vs Calgary Flames 30 aprile 1994)

La corsa verso la Coppa del ’94 è piena di momenti epici. Ma nessuno di questo sarebbe potuto esistere senza questo gol. C’è una finta, c’è un Mike Vernon che vede chi gli sta arrivando in 1vs1 alla velocità della luce e si ritrae verso la porta con la coda tra le gambe, Bure ci ha abituato addirittura a meglio. Ma dietro a questo gol c’è la storia che verrà nel prossimo capitolo. Questo è il gol più importante della storia della franchigia, e se non fosse per il gol di Alex Burrows in gara 7 contro Chicago nel 2011, questo gol sarebbe l’intero podio.

#4 Millenovecentonovantaquattro.

Bure, Linden, Adams, McLean. Lafayette. Dici Vancouver 1994 e pensi a quei Cinque episodi. Sono tutti possibili grazie a quel gol contro Calgary.

Primo round, Canucks sotto nella serie 3-1. Gara 5 e gara 6 sono due vittorie in overtime, e si arriva a gara 7. Overtime, niente. Secondo overtime, niente. Triplo overtime. Brown passa il disco tra una selva di gambe e Bure è da solo davanti a Vernon. Di li a poco Vernon è per terra a quattro di spade, e Bure è sommerso dai suoi compagni.

Bure viene da due stagioni da 60 goal ciascuna e quel gol cementa la sua posizione come stella della lega.

Continua da protagonista nella serie contro Dallas, con una gara perfetta nella seconda della serie dove segna due dei tre gol della squadra che vince per 3-0.

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Trevor Linden con il trofeo della Western Conference. Good bye Toronto!

Prosegue nello showdown canadese contro Toronto, registrando punti in ognuna delle prime 16 gare di quella primavera (il record è 18). E guida tutti i marcatori dei playoff con 16 gol.

E si va in finale contro i Rangers grazie ai due shutout di McLean e al gol in doppio overtime di Adams.

Qui la storia cambia, un pò.

In questa serie si rompe qualcosa, si comincia a sviluppare quel rapporto odio-amore che porterà inevitabilmente alla rottura tra Bure e il management ed inevitabilmente la città di Vancouver. I Canucks non vincono, ma non è certo per colpa di Bure. New York è superiore, è favorita, Vancouver si oppone in ogni modo e maniera ma gli episodi vanno a loro sfavore.

Si vince gara 1 in OT e si torna insperabilmente dalla Grande Mela sull’1-1. Nella prima gara al Pacific Coliseum Bure fa quello che la gente vuole, segnando alla prima shift ed energizzando pubblico e squadra. Al termine del primo periodo di gara 3 colpisce in faccia Jay Wells, il giocatore dei Rangers sanguina e Bure viene cacciato dalla gara.

New York vince 5-1.

In gara 4, Vancouver è sul 2-0 e l’unico Ranger sul ghiaccio sembra essere Mike Richter con una prestazione memorabile. Nel secondo periodo New York trova un gol fortunoso e si prende l’inerzia della gara, Vancouver trova un break con Bure che si invola verso Richter e viene messo giù da Brian Leetch.

Penalty Shot.

Non c’è di meglio.

La serie è già eccitante di suo, e in un frammento fondamentale il più elettrizzante giocatore della sua generazione si troverà 1vs1 con il portiere più caldo del momento.

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Mike Richter ferma il penalty shot di Pavel Bure

Bure, che solo contro il portiere segna sempre, pregusta il suo momento. E con lui tutta Vancouver. Virata a sinistra, aspettando il momento giusto per far passare il disco sotto il gambale destro del portiere. Stessa mossa usata contro Mike Vernon.

Quel momento non arriva mai. Richter copre tutto lo spazio della porta.

New York rimonta con prestazione monstre di Brian Leetch (1 gol e 3 assist), che vale il 3-1 nella serie e possibilmente il passo in più di Leetch per vincere il Conn Smythe.

Bure segna 2 gol in gara 5, che Vancouver vince 6-3 in rimonta. E sarà importante anche in gara 6 terminata 4-1 per i Canucks, che si guadagnano il diritto di giocarsi tutto al Garden. Ma i sogni si infrangono a 1:10 dalla fine di gara 7 quando sul 3-2 Rangers Nathan Lafayette colpisce il palo. E tutti rimangono a chiedersi cosa sarebbe successo se quel penalty shot fosse stato convertito.

#5 Dopo il millenovecentonovantaquattro:

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Quello che succede dopo la primavera del ’94 non dovrebbe lasciare stupiti. Bure è stato un acquisto problematico fin da quando il suo nome è stato chiamato dal podio nell’89. Ma l’importanza che il giocatore ha avuto nella storia dei Canucks è ancor più palpabile negli anni successivi, precisamente tra l’estate del 1998 e l’inverno del ’99. La gente ce l’aveva con la squadra e con lui. La squadra era diventata una pena da guardare. E il management era organizzato come il mercato di Addis Abeba alle 10 del mattino. I proprietari non volevano la squadra appena presa. La stessa squadra che pochi anni prima sembrava essere sull’orlo di un grande traguardo era in quel momento in piena crisi.

Nel 1997 Pat Quinn fu mandato via, Steve Tambellini era ufficialmente in carica ma tutto veniva gestito ufficiosamente dai nuovi proprietari e dal coach Mike Keenan. Un triumvirato romano dove non si aspettava altro di fare le scarpe al collega.

Ma di tutto questo non si preoccupava nessuno, all’epoca.

All’epoca il problema era che Bure voleva andarsene.

Nel 1998 la storia era molto differente da adesso.

I giocatori avevano pochi diritti. Non esisteva la free agency fino ai 32 anni. L’unica arma contrattuale in mano loro era non rispondere alle convocazioni. I tifosi non erano cinici come adesso. Non si contemplava il giocare per i soldi. Gli atleti non venivano visti come professionisti, non avevano un lavoro.

Un’altra cosa che non si contemplava all’epoca era come Bure fosse arrivato nella NHL.

Pavel Bure era un prodotto del sistema sovietico, figlio della guerra fredda. Il bene primario è il Paese, il cittadino serve il Paese. Il solo fatto di essere andato in Nord America per lui e per la sua famiglia voleva dire libertà. La differenza tra il mondo occidentale e l’est Europa a quei tempi era ancora molto ampia, e vaglielo a dire a uno che è scappato dalla cortina di ferro appena caduta che non se ne può andare da Vancouver.

E Bure fece l’unica cosa che poteva fare, cioè non riconoscere il proprio contratto fino all’arrivo di un’offerta migliore o una trade.

Pavel Bure è stato probabilmente il prototipo dell’atleta moderno. Con una storia del genere alle spalle non poteva essere altro. Non credo che in tutti gli sport ci sia un personaggio che ha creato così tanti dibattiti come Pavel Bure. Fossero sportivi, contrattuali o addirittura personali. Per quanto importante ed esaltante sia stato il 2011, la squadra del ’94 è nel cuore di tutti i tifosi.

Pavel Bure è stato la storia dei Vancouver Canucks.

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Pavel Bure con Fin, la mascotte dei Canucks

Non me ne vogliano Trevor Linden, Stan Smyl o Markus Naslund i cui numeri sono già stati ritirati e raggiunti nella serata di sabato dal 10, ma il fenomeno russo è stato nel bene e nel male i Canucks degli anni ’90 e il più grande talento che abbia mai vestito la casacca con l’orca, o il pattino, o il bavero inguardabile anni ’80.

Capace di distruggere mostri sacri e personaggi duri a morire della NHL come Mike Keenan e Mark Messier.

Bure ha diviso, ma ancora di più ha unito ed esaltato.

E l’eroe è tornato a casa.

Giustizia è fatta.

 

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