Ero preoccupato, molto preoccupato. Fare una notte in bianco, se si ha qualcosa da fare, non è assolutamente difficile: la cosa peggiore è quando interposte fra te e ciò che stai aspettando ci sono un paio d’ore nelle quali galleggi nel nulla cosmico, nella noia più noiosa. Aspettare l’inizio del draft non è mai facile, addormentarsi è inevitabile e se ti va bene la coscienza riesce a farti miracolosamente rinsavire attimi prima che Goodell salga sul palco, se ti va male ti prometti che l’anno prossimo dormirai il pomeriggio.
Poi il fulmine a cielo cupo: l’impossibile s’è realizzato, Lamar Jackson e i Baltimore Ravens hanno raggiunto l’accordo per il rinnovo contrattuale.
A quel punto il problema è diventato mantenere l’interesse per il draft.

Non credevo sarebbe successo, o almeno, non ora. Vedete, a rendere l’ultimo anno incredibilmente frustrante non è stato tanto l’ennesimo campionato insipido compromesso da un infortunio di Jackson, ma piuttosto quell’opprimente sensazione di incertezza che solamente il tuo risentito franchise quarterback in scadenza contrattuale sa farti provare.
«Sì, e poi?» diventa la tua reazione automatica a tutto: non sai più nemmeno come prendere il presente quando il futuro è così nebuloso. È fastidioso osservare il tuo orizzonte oscurato, intorpidito e sciupato da una schiera di «sì, e poi?».

Il primo mese e mezzo di free agency è servito a ricordarci che lo stallo fra giocatore e front office non martoria solamente il nostro animo, ma pure la concreta costruzione del roster. Con il quarterback in stand-by sei di fatto paralizzato, non puoi lanciarti in investimenti particolarmente aggressivi perché poi come lo paghi il quarterback, qualora dovessi raggiungerci l’accordo?
Fortunatamente – sto parlando da tifoso ora – questo non è più un mio problema.
Non escludo che questo atipico entusiasmo sia più legato alla pura conclusione della querelle che al rinnovo del quarterback, ma per una volta va bene così, la vita non può essere sempre pessimismo e fastidio, siamo fatti per provare anche altre emozioni e ogni tanto non sarebbe male abusarne.

Trecento parole e nemmeno un numero, lasciatemi rimediare. Lamar Jackson ha firmato un contratto quinquennale da 260 milioni di dollari di cui 185 garantiti: un’immensità, un numero che farà accapponare la pelle a molti di voi, ma siamo quasi a maggio 2023 e credo che a questo punto abbiate metabolizzato la solfa.
Il mercato dei quarterback è rotto e in un mondo in cui Daniel Jones riceve un quadriennale da 160 milioni non ho molto di cui lamentarmi circa questo contratto. Fra qualche mese – o anno – i numeri di Joe Burrow lo surclasseranno e, forse prima forse dopo, Justin Herbert potrebbe fare altrettanto.
È quello che è.

Questo rinnovo contrattuale chiude una delle pagine più imbarazzanti di una franchigia unanimemente lodata per serietà, classe e savoir-faire, anche se so cosa vi state chiedendo – o cosa volete leggere: i Ravens lo possono vincere il Super Bowl con Jackson al comando delle operazioni?
In tutta sincerità non lo so, ciò di cui sono certo è che prima del rinnovo non potessero nemmeno permettersi anche solo di pensarci. Come già detto, i Ravens erano scivolati in un baratro nel quale stava per essere risucchiato pure un progetto tecnico che, più o meno brillante, negli ultimi anni li ha resi consistentemente rilevanti.

Non si danno tutti quei soldi un quarterback per essere consistentemente rilevante, ma ora che la grana del contratto è stata risolta ci si può ricominciare a muovere sul mercato con tranquillità e risolutezza. Durante lo stallo Baltimore non ha potuto fare mosse eclatanti perché doveva salvaguardare la flessibilità salariale che avrebbe permesso loro di pareggiare qualsiasi eventuale offerta esterna – per il tag.
Ora che il quarterback è al suo posto si può finalmente – provare a – aggiustare il roster, colmarne le lacune e, dove serve, migliorarlo. Si può riprendere, quindi, a lavorare all’assemblaggio di una squadra capace di arrivare fino in fondo.
Che ci possa arrivare o meno è un discorso che avrò modo di approfondire nelle prossime settimane e nei prossimi mesi, ora è irrilevante.

Durante i miei prolissi pianti-sfoghi-predicozzi ho volutamente esposto sia gli errori del front office che i limiti di Lamar Jackson il giocatore e, in secondo luogo, Lamar Jackson l’agente. Oggi, in quanto giorno di festa, risparmierò le critiche ai Ravens per non aver (quasi) mai messo Jackson in posizione di avere successo, così come mi sforzerò il più possibile per ignorare il mix di lacune tecniche, tracotanza, scarsa professionalità e avidità che stava per farmi cadere la persona, prima che il giocatore.
Tutto è bene quel che finisce bene a patto che, una volta finita, ci si prenda del necessario tempo per metabolizzare quanto accaduto e trarre le proprie conclusioni in modo da scongiurare il rischio di ripetersi in futuro.

Al netto di tutti i dubbi sciorinati negli ultimi anni, in questo momento mi sento ottimista. Appare evidente che il front office abbia deciso di provarci seriamente e il fatto che l’attacco non sia più ostaggio di Greg Roman rappresenta di per sé un incommensurabile passo in avanti. A priori. Roman è stato fondamentale per questa franchigia, credo che nessuno sia al suo livello se si parla di gioco di corse, ma purtroppo in questo periodo storico la sua filosofia – e la sua scarsa adattabilità – è dolorosamente anacronistica, inadatta.
Todd Monken potrebbe aprire un mondo a Lamar, finalmente sfidato a vincere con il proprio braccio. Nel caso in cui le cose vadano male si potrà convivere con la mai banale consapevolezza di averci provato – sul serio, questa volta.

Mi aspettavo la ciliegina sulla torta DeAndre Hopkins, ma non mi permetto di farne una colpa al front office se mi sono lasciato prendere dall’entusiasmo social e dalle conseguenti indiscrezioni : ci spero ancora ovviamente, ma investire così massicciamente su un altro ricevitore a questo punto non so quanto abbia senso.
Un gioco aereo con protagonisti Rashod Bateman, OBJ, Zay Flowers e Mark Andrews ha il materiale umano necessario per eccellere e, dopo anni di frustrazione e purissima rabbia, è bello vedere Lamar calato in un contesto in cui possa avere successo senza indossare mantelli da supereroe.
È difficile pensare che solamente un paio di giorni fa il rapporto fra giocatore e front office apparisse irreparabilmente compromesso.

Nei prossimi giorni l’entusiasmo calerà lasciando inevitabilmente spazio alla razionalità ma ripeto, per oggi va bene così. Baltimore continua a militare nella conference dei Kansas City Chiefs e, mi sembra inutile dirlo, i Ravens non sono al livello dei campioni in carica. Non sono nemmeno sicuro che siano i favoriti in division, Joe Burrow è oltraggiosamente talentuoso e dopo tre miseri anni gestisce la pressione come un Tom Brady qualsiasi.
Non importa.
Baltimore ha finalmente preso la decisione di portare avanti quanto cominciato, in una sola firma ha ritrovato l’identità perduta nell’ultimo anno. Ora il loro futuro appare più nitido, il percorso intrapreso è davanti agli occhi di tutti e questo non è poco: la stabilità, in NFL, non ha prezzo.

La stabilità è necessaria anche solo per provare a vincere, in questa lega è impossibile campare di espedienti, in particolar modo se si parla di quarterback. Avete visto Brown e Jets cosa sono state costrette a fare per sopperire alle porte perennemente girevoli nella posizione più importante del gioco. In questo mondo quando puoi contare su uno dei migliori quindici quarterback te lo tieni stretto – va da sé che “tenere stretto” sia diventato sinonimo di “pagare oltremisura”.

Chi invece non è così fortunato da avere un quarterback compie sempre più spesso pazzie per assicurarsene uno. In questo caso i risultati sono alquanto variabili, in un estremo dello spettro troviamo Russell Wilson ai Broncos – c’è ancora tempo per riscrivere la storia, fortunatamente -, a metà strada troviamo Garoppolo ai ‘Niners e dall’altra parte troviamo Stafford ai Rams… che sono sì arrivati fino in fondo ma attualmente si trovano in una posizione poco invidiabile.
La stabilità in questa lega, in questa posizione non ha prezzo.

La razionalità ha ripreso il controllo, entrambe le parti si sono rese conto di quanto stupida fosse diventata l’intera vicenda e sfruttando la tipica distrazione pre-draft hanno verbalizzato in sordina quello che stava per diventare impensabile.
Era l’unico epilogo sensato, i Ravens hanno bisogno di Jackson e a Jackson, tutto sommato, va più che bene stare a Baltimore, soprattutto come leader di questa loro intrigante versione.
Ci penserà il campo a stemperare un entusiasmo che ha risvegliato un’intera fanbase di mesi di mesta apatia, ma ripeto un’ultima volta, per oggi lasciatemi crogiolare nella serenità.
È finita.

One thought on “Alla fine Lamar Jackson e i Baltimore Ravens andranno avanti insieme

  1. Boh, che dire…bene per Baltimore sicuramente! Però non si capisce bene la strategia della dirigenza Ravens, onestamente: un anno di trincea per mollare alla vigilia del draft senza ottenere nulla circa il contratto, neanche sulla parte garantita! Allora tanto valeva cedere subito! In ogni caso, tralasciando le cifre mostruose e assolutamente immotivate (visto il contratto di Daniel Jones, comunque il contratto del buon Lamar ha senso sicuramente…), io torno all’interrogativo di sempre: Lamar Jackson è in grado di portare i Ravens al Superbowl? Tecnicamente ha i suoi limiti (quando lancia per me non è tra i primi 15 – 20 della Nfl sicuramente, però è un halfback da elite che sa lanciare…è questo il suo vero valore!), in passato nei playoffs nei momenti chiave ha già toppato ed è reduce da infortunio, però corre come un folletto ed è un’arma offensiva spaventosa. Quindi capisco alla fine la mossa della dirigenza Ravens, senza condividerne del tutto la condotta e la tempistica. I Ravens sono da anni un’ottima squadra. Se aggiungono (come mi pare stiano facendo) un buon parco ricevitori al tutto, sì, secondo me il buon Lamar può bastare per l’anello!

Commenta

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.