Non credo esista sensazione più soddisfacente e totalizzante che uscirsene dal draft con in tasca un futuro pilastro della propria franchigia.
Per carità, assicurarsi un free agent di lusso immagino sia altrettanto appagante, ma diciamo la verità, assistere alla trasformazione in cigno di un ranocchio pescato durante il secondo o il terzo giorno del draft tende a favorire la propagazione di una rassicurante gioia lungo tutto il quartier generale poiché dietro ogni singola scelta al draft ci sono migliaia di ore di lavoro di scouting e studio, lo sforzo congiunto di centinaia di persone diverse in nome di un’unica eterea entità, il famoso value assolutamente alieno al compianto Mike Mayock.

Da un individuo selezionato al primo round tendiamo – troppo spesso ingiustamente – a pretendere un contributo immediato e, nel giro di pochi anni, un ruolo primario all’interno della squadra di cui dovrebbe essere leader e bandiera: raramente va così.
Qualche giorno fa, parlandovi di bust, ho preso in esame quasi esclusivamente il primo round del draft, oggi farò l’esatto contrario: affermare che i Cincinnati Bengals abbiano fatto un ottimo affare a selezionare Joe Burrow sarebbe intellettualmente pigro, era piuttosto chiaro che Burrow fosse il miglior giocatore disponibile al draft e Cincinnati, dall’alto della prima scelta assoluta, si è semplicemente limitata a fare quello che doveva fare, ossia seguire la logica.

Per questa ragione, leggasi evitare le banalità, in questo articolo saranno presi in esame solamente i giocatori selezionati dal secondo giorno in poi, o in altre parole dal secondo round.
Mettetevi comodi, ho parecchie cose da dirvi.


2010 – Rob Gronkowski, tight end, New England Patriots

Selezionato con la scelta numero: 42 (secondo round).

Candidati presi in considerazione: Antonio Brown, Geno Atkins e NaVorro Bowman.

Partiamo subito con il botto perché, in tutta sincerità, questa scelta è meno scontata di quanto possa suggerire.
Il rispetto di cui gode Rob Gronkowski non ha forse eguali nel mondo sportivo, l’inimitabile supremazia in campo unita a una personalità carismatica e scanzonata fuori dal rettangolo di gioco lo hanno reso un’icona pop che ci ha messo veramente poco a diventare di dominio pubblico, non solo dei seguaci di questa disciplina.
Gronkowski è stato il tight end perfetto, anche se tale perfezione è finita per costargli anni di carriera visto che l’unico modo più o meno efficace per fermarlo era lanciarsi a velocità folle contro ginocchia che non sono state create per assorbire l’impatto di un safety sopra il quintale a certe velocità.
Sia quello che sia, Gronkowski è stato un giocatore generazionale, il connubio perfetto fra il tight end vecchia scuola – de facto sesto offensive lineman – e i Travis Kelce di questo mondo che, malgrado il ruolo, possono tranquillamente essere il punto focale di passing game altamente produttivi.

La scelta è stata dura perché Antonio Brown, prima di diventare heel, è stato consistentemente fra i tre migliori giocatori della NFL indipendentemente dal ruolo. Fra 2013 e 2018 ha infatti ricevuto quasi 700 palloni per più di 9000 yard e 67 touchdown non concludendo mai una stagione sotto quota 1250 yard o 100 ricezioni: come purtroppo già anticipato, un drastico – e probabilmente clinicamente motivato – cambiamento nel comportamento lo ha trasformato in uno spassoso meme vivente che in quanto tale non può più essere preso sul serio.


2011 – Jason Kelce, centro, Philadelphia Eagles

Selezionato con la scelta numero: 191 (sesto round).

Candidati presi in considerazione: Richard Sherman, Jurrell Casey e Justin Houston.

Forse l’epopea di Sherman è stata più intensa – sicuramente più rumorosa -, ma la longevità di Jason Kelce non poteva non essere premiata.
Scivolato al sesto round del draft principalmente perché “sottodimensionato”, tutto ciò che Kelce ha saputo fare è stato garantirsi un posto nella Hall of Fame e, soprattutto, l’affetto eterno di una delle tifoserie più esigenti e spietate della lega. Non c’è molto da dire, il fratello maggiore di Travis è stato il miglior centro dello scorso decennio e, malgrado non possa corroborare la mia affermazione con statistiche diverse da metriche più o meno affidabili di Pro Football Focus, penso che i cinque First Team All-Pro a curriculum possano chiarire un paio di dubbi sul suo conto.
A 35 anni suonati, lo scorso autunno, Kelce si è confermato essere il migliore nel proprio lavoro dirigendo magistralmente la linea d’attacco più dominante della lega – vi confesso che poche cose sanno darmi la stessa soddisfazione che galvanizza il mio corpo quando lo vedo condurre il letale quarterback sneak degli Eagles.

L’impatto di Sherman su questa lega non può essere compendiato in un paio di democratiche righe, basti solo pensare che molto probabilmente senza di lui la Legion of Boom non sarebbe mai nata poiché ogni fazione che si rispetti ha bisogno di un impavido portavoce. Sherman non era solo la bocca della Legion of Boom, ma pure colui che settimanalmente toglieva dall’equazione un intero lato di campo. Ora analista per Amazon, il suo lascito alla NFL va ben oltre i freddi numeri, Sherman ci ha lasciato momenti virali in un momento storico in cui la NFL stava cercando proprio quello, contenuto da dare in pasto ai social per allargare la fanbase: anche grazie a lui, missione compiuta.


2012 – Russell Wilson, quarterback, Seattle Seahawks

Selezionato con la scelta numero: 75 (terzo round).

Candidati presi in considerazione: Bobby Wagner, Lavonte David, T.Y. Hilton e Kirk Cousins.

Non lasciamoci fuorviare dall’ultimo tragicomico autunno in Colorado, Russell Wilson con ogni probabilità è stato il singolo giocatore più importante nella storia dei Seattle Seahawks.
Sciorinare statistiche, seppur eccellenti, sarebbe assolutamente inutile e non renderebbe in alcun modo giustizia a ciò che il numero 3 è stato per i Seahawks come franchigia e Seattle come città: in un paio d’anni Wilson è diventato il volto di una delle città più vibranti e interessanti degli States.
L’epilogo ha decisamente lasciato a desiderare, ma il fatto che quotidianamente sia costretto a incassare più colpi del punching ball di Ryan Garcia – dove per colpi si intendono tweet particolarmente piccati – non muta di una virgola il suo contributo alla causa dei Seahawks.

Il fatto che questo sia lo stesso draft nel quale si sono assicurati Bobby Wagner altro non fa che aumentare la riconoscenza di un’intera fanbase verso un front office che in due draft – letteralmente – ha costruito quella che con un po’ più di fortuna – e scelte diverse – sarebbe potuta essere la grande dinastia dello scorso decennio.


2013 – Travis Kelce, tight end, Kansas City Chiefs

Selezionato con la scelta numero: 63 (terzo round).

Candidati presi in considerazione: David Bakhtiari, Keenan Allen e Terron Armstead.

In questo caso di dubbi ce ne sono veramente pochi, il Super Bowl – e di conseguenza l’intero campionato – sono ancora freschi nella nostra memoria e, anche senza Tyreek Hill, Travis Kelce non solo s’è confermato il miglior tight end della lega, ma pure una delle armi offensive più letali in assoluto indipendentemente dal ruolo.
Pochi mesi fa il carismatico numero 87 dei Chiefs ha compilato l’ennesima stagione da 1000 yard della propria carriera, la settima consecutiva: credo sia obbligatorio farvi presente che Gronk, Witten e Gonzalez condividano la seconda piazza per numero di stagioni in quadrupla cifra appaiati a quota quattro.
Kelce, in definitiva, ha ridefinito una posizione grazie a una consistenza e uno skillset senza precedenti, è un ricevitore sovradimensionato che non può umanamente essere contenuto né da defensive back – troppo fisicamente inferiori – né da linebacker incapaci di correre insieme a lui.
Ricevere palloni da Patrick Mahomes indubbiamente aiuta, ma mi sembra doveroso ribadire che le prime due stagioni oltre le mille yard siano arrivate con Alex Smith under center, quarterback in nessun piano del reale emblema della consistenza.


2014 – Davante Adams, wide receiver, Green Bay Packers

Selezionato con la scelta numero: 53 (secondo round).

Candidati presi in considerazione: Joel Bitonio, Derek Carr e DeMarcus Lawrence.

Non è passato molto tempo da quando Davante Adams flirtava pericolosamente con l’etichetta di bust. Complice un parco ricevitori piuttosto affollato, Adams è riuscito a sfondare il muro delle 1000 yard solamente al quinto anno fra i professionisti – anche se nel 2016 si era fermato a tre misere yard dal traguardo.
Analogamente a quanto detto poc’anzi per Kelce, aver potuto contare su uno dei migliori quarterback di sempre lo ha indubbiamente aiutato, ma se abbiamo imparato qualcosa dalla complicata stagione dei Las Vegas Raiders è proprio che Adams per produrre a livelli da First Team All-Pro non abbia sicuramente bisogno di un quarterback da Hall of Fame, anzi, si potrebbe addirittura affermare che abbia vissuto la miglior stagione della propria carriera proprio sotto Derek Carr.
Nelle ultime tre stagioni Adams s’è elevato a inarrestabile macchina da touchdown ricevendone addirittura 43 in 47 partite. Sono piuttosto convinto che con altre due o tre stagioni ai suoi livelli avrà modo di garantirsi una giacca dorata a Canton.

Giocatori come Bitonio e Lawrence, seppur meno celebrati di chi sbarca il lunario segnando touchdown, sono diventati colonne portanti delle rispettive squadre e con diverse convocazioni al Pro Bowl nel palmares si sono garantiti un posto nel nostro immaginario collettivo come “ottimi giocatori”. Assicurarsi un “ottimo giocatore” dopo il primo giorno di draft è un qualcosa che deve sempre e comunque essere celebrato.


2015 – Stefon Diggs, wide receiver, Minnesota Vikings

Selezionato con la scelta numero: 146 (quinto round).

Candidati presi in considerazione: Tyler Lockett, Eric Kendricks e Danielle Hunter.

Trovo alquanto comico che Diggs abbia consolidato il proprio posto nel gotha dei ricevitori in una squadra diversa da quella che lo ha selezionato al draft, ma è fuori questione che pure a Minnesota avesse lasciato intravedere sprazzi di puro dominio.
Per farsi un’idea piuttosto precisa della limpida brillantezza di Stefon Diggs basta limitarsi a guardare l’arco della carriera di Josh Allen, definitivamente affermatosi come uno dei migliori quarterback della lega solamente dopo che gli è stato messo a disposizione il primo vero WR1 della propria carriera. Diggs, in sostanza, ha aiutato un prospetto tanto talentuoso quanto grezzo a raffinare il proprio gioco quel tanto che bastava per permettergli di guadagnarsi un posto nell’élite della posizione più importante in assoluto e questo, cari lettori e care lettrici, è ciò che separa un buon ricevitore da un grande ricevitore.
Oltre che al più che celebrato Minneapolis Miracle, ciò che più mi intriga di Diggs è la squisita parità della trade fra Buffalo e Minnesota che con la scelta al primo round dei Bills s’è garantita Justin Jefferson, o se preferite quello che considero essere il miglior ricevitore in assoluto della NFL: chi ci ha guadagnato di più? Probabilmente non esiste una risposta univocamente giusta.

Mi piange il cuore non aver potuto parlarvi di Tyler Lockett, giocatore per il quale è semplicemente impossibile non tifare dato che lavorando instancabilmente s’è elevato da punt returner e occasionale deep threat a ricevitore completo e affidabile tranquillamente capace di essere il primo violino in un gioco aereo ben sviluppato.


2016- Tyreek Hill, wide receiver, Kansas City Chiefs

Selezionato con la scelta numero: 165 (quinto round).

Candidati presi in considerazione: Dak Prescott, Chris Jones, Matt Judon e Derrick Henry.

L’unico motivo per cui Hill è scivolato al quinto round del draft lo si trova in scabrose vicende extrasportive che ci devono spingere a porci qualche domanda su quale debba essere il limite che se oltrepassato rende indraftabile un giocatore, ma si sa, la National Football League tende a dare molte possibilità di redenzione a chi è in grado di contribuire in campo: Tyreek Hill non solo ha contribuito fin da subito, ma si è pure affermato in tempo record come il giocatore più pericoloso in assoluto della lega, un demone al quale basta solo mettere la palla in mano che intanto al resto ci pensa lui.
Annate produttive con Smith e Tagovailoa hanno chiarito ogni dubbio sulla genuinità della sua produzione, assolutamente non inflazionata dalla compresenza di Patrick Mahomes ma resa possibile da un mix di esplosività, velocità e intangibles che lo hanno reso il mismatch più terrificante della lega visto che nessuno ha i mezzi atletici per tenergli il passo.

Quello del 2016 fu un draft piuttosto profondo nei round centrali, possiamo trovare giocatori che hanno cambiato completamente il volto sia della propria squadra – Dak Prescott e Derrick Henry – o anche solo del proprio reparto di competenza come Chris Jones, non fosse per Aaron Donald l’interior lineman più dominante della lega.
Sono orgoglioso della mia maturità per essermi obbligato a menzionare pure Matthew Judon, individuo che una volta andatosene da Baltimore non ha perso tempo a trasformarsi in uno dei pass rusher più consistenti ed efficienti della lega.


2017 – Alvin Kamara, running back, New Orleans Saints

Selezionato con la scelta numero: 67 (terzo round).

Candidati presi in considerazione: Cooper Kupp, Aaron Jones, Matt Milano, George Kittle e Budda Baker.

La classe del 2017 fu particolarmente fortunata per i New Orleans Saints che in un sol draft rivoluzionarono completamente il roster grazie agli innesti di Marshon Lattimore, Ryan Ramczyk, Marcus Williams, Alex Anzalone, Trey Hendrickson e, dulcis in fundo, Alvin Kamara: quando la gente parla di “costruire del draft” probabilmente si riferisce a qualcosa del genere.
Sebbene già in fase calante della carriera fra inefficienza – 3.9 yard guadagnate in media nelle ultime due stagioni – e problemi con la legge, credo non sia un caso che fra 2017 e 2020 i Saints abbiano egemonizzato la propria division vedendo in più occasioni il sogno Super Bowl sfumare a causa di episodi particolarmente kafkiani. Con Mark Ingram aveva dato vita al backfield più elettrizzante e piacevole della lega, un mostro a due teste perfettamente complementare che aveva sgravato di responsabilità l’appassente Drew Brees.
Pericoloso come running back e pressoché inarrestabile come ricevitore, per anni Kamara è stato l’incubo di fior di defensive coordinator che per inceppare l’attacco dei Saints dovevano prima di tutto trovare un modo per rallentarlo, non sicuramente fermarlo.

Le probabilità che fra un paio d’anni possa optare per un giocatore diverso sono piuttosto alte, Kupp, Kittle e Baker potrebbero accumulare numerosi riconoscimenti individuali che permetterebbero loro di sopravanzare Kamara il cui futuro, a questo punto, appare più che mai nebuloso.


2018 – Fred Warner, linebacker, San Francisco 49ers

Selezionato con la scelta numero: 70 (terzo round).

Candidati presi in considerazione: Shaquille Leonard, Orlando Brown Jr., Mark Andrews e Nick Chubb.

Se si parla di Fred Warner la prima cosa che mi sento in dovere di dirvi è che sia stato selezionato con una delle scelte gentilmente donate dai Bears ai ‘Niners per assicurarsi Mitch Trubisky: mi duole rincarare la dose perché a un certo punto si rischia di diventare hooligan del fallimento altrui, però trovo il tutto irresistibilmente esilarante.
Warner è semplicemente il linebacker perfetto, o meglio, il linebacker perfetto per questo momento storico. Il suo atletismo senza eguali gli permette di correre consistentemente con i ricevitori e, di tanto in tanto, di marcarli con la stessa efficacia di un cornerback di primo livello: il passaggio nel video qui sotto doveva essere completato, anzi, doveva fruttare un touchdown a Dallas che però ha avuto la sfortuna di trovarsi contro Fred Warner, l’unico linebacker in grado di difendere un passaggio del genere.
Già due volte First Team All-Pro, Warner ha tutto il necessario per accumulare numeri che una volta appeso il caschetto al chiodo potrebbero valergli un busto a Canton. Qualora non dovesse succedere non sarebbe sicuramente un dramma, rimane dopotutto il leader incontrastato di uno dei migliori reparti difensivi della lega e tutto ciò non è affatto banale al terzo round del draft.

Il draft del 2018 sa strapparmi un sorriso con l’efficienza di Andy Samberg perché i miei – specialmente in quel periodo – Ravens avevano messo insieme un capolavoro simile a quello dei Saints l’anno prima andando ad aggiungere al roster Lamar Jackson, Mark Andrews, Orlando Brown Jr. e Bradley Bozeman, tutti protagonisti della rinascita Ravens dell’ultimo lustro. Peccato che il tempo coltivi l’hobby di cambiare le cose e, al momento, l’unica certezza di quell’annata dorata è Mark Andrews.


2019 – Maxx Crosby, defensive end, Oakland Raiders

Selezionato con la scelta numero: 106 (quarto round).

Candidati presi in considerazione: A.J. Brown, D.K. Metcalf, Deebo Samuel ed Elgton Jenkins.

Dopo aver dilapidato tre fondamentali scelte al primo round, Mike Mayock si è parzialmente rifatto selezionando al quarto round il pass rusher del quale vedrete il volto sotto la frase “non si valutano i pass rusher esclusivamente in funzione dei sack”.
Ha fatto anche cose buone il povero Mayock!


 

7 thoughts on “Le migliori scelte al draft NFL dello scorso decennio

  1. Non so, forse per Mahomes avrei fatto un eccezione alla regola del secondo giorno :)

  2. Quando parli di Wilson e Seattle dici …un front office che in due draft – letteralmente – ha costruito quella che con un po’ più di fortuna – e scelte diverse – sarebbe potuta essere la grande dinastia dello scorso decennio. …
    Sarebbe bello un tuo articolo su quei Seahawks, avrebbero meritato minimo un altro anello. Vorrei sapere a cosa ti riferisci quando parli di …scelte diverse…, io ho impressa nella mente l’espressione disperata di Shermann sulla sideline all’intercetto di Butler al SB

    • Caro Gianluca, il fatto che non abbia sentito il bisogno di scriverci sopra qualcosa dovrebbe dirti tutto quello che devi sapere. Il nome mi piace tantissimo, ovviamente, ma il prezzo e il mix fra età e salute fisica mi preoccupa tantissimo, poi sono contento che averlo aggiunto abbia rallegrato Lamar ma finché la situazione contrattuale è questa… non lo so. Meglio di niente, per carità, però non riesco proprio a essere chissà quanto contento, guardo il roster e mi lacrimano gli occhi.

      • Avevo intuito la cosa e me ne hai dato conferma. Un giocatore che porta con sé molte incognite come anche il resto della squadra.
        Vedremo più avanti ..

  3. Da tifoso Ravens spero che la soap tra Lamar e la societá (con l’arrivo della guest star OBJ) si chiuda.
    Se non succede niente al draft, preferisco che Lamar non firmi la tag, cosí che lui e i Ravens possano pensare al futuro liberamente.

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