Ogni volta che impugno la tastiera per scrivere qualcosa sento il bisogno fisiologico di ribadire l’ovvio, ossia che viviamo nel mondo dei quarterback. La richiesta per i quarterback non è mai stata così alta e, come stiamo avendo modo di constatare, sempre più squadre non sembrano aver alcun problema a scagliare 40 o 50 milioni di dollari a quarterback che, in tutta sincerità, altro non sono che onesti titolari.
I contrattoni firmati da Derek Carr, Geno Smith e Daniel Jones ci restituiscono un’immagine piuttosto nitida della fame che attanaglia tutte e trentadue le franchigie NFL: chi ha un quarterback di livello se lo tiene stretto – Baltimore Ravens a parte -, chi non ne ha uno è disposto a tutto pur di sopperire alla propria mancanza. Anche pagarne uno nella media come fosse fra i migliori cinque in assoluto.

Posso percepire il corrugamento collettivo leggendo le cifre che percepiranno i tre quarterback sopracitati, ma è ufficialmente arrivata l’ora di constatare il fatto che il mercato dei quarterback negli ultimi anni sia mutato così profondamente da risultare, di fatto, conturbante.
Ciò che sto per dire è parecchio forte e in un certo senso avvilente, ma 35/40 milioni l’anno sono diventati lo stipendio “base” per un quarterback titolare, la soglia minima sopra la quale si iniziano le negoziazioni contrattuali. In un certo senso il contratto dato a Derek Carr è emblematico della nuova normalità di cui vi voglio parlare poiché, nella mia testa, Derek Carr è l’emblema della normalità under center, un valido quarterback titolare capace – forse – di vincere esclusivamente in un contesto ultrafavorevole.

Molti di voi storceranno il naso e, credetemi, non vi biasimo. Associare certe cifre a giocatori che al Super Bowl non si sono avvicinati nemmeno per sbaglio è ridicolo, soprattutto se si mette a fuoco il fatto che Patrick Mahomes, in media, guadagni poco più di Daniel Jones. Per metabolizzare quanto appena letto, però, basta solamente tenere a mente le date in cui questi contratti sono stati firmati.
Mahomes ha firmato il rinnovo che lasciò basito il mondo nel giugno 2020, quando il limite salariale era di circa 198 milioni di dollari per squadra; Daniel Jones la firma l’ha messa un paio di giorni fa e come sapete il tetto salariale è stato fissato a 225 milioni di dollari. In tutto ciò occorre tenere presente che nel 2021, causa pandemia, questi fu abbassato a 188 milioni: in sole due stagioni, quindi, lo spazio salariale è aumentato del 22,74%.

La velocità con cui lo spazio salariale sta crescendo è sempre da tenere presente quando si ragiona sui contratti dei quarterback poiché, a meno di tre anni dalla firma, la straordinarietà del contratto di Mahomes è completamente evaporata: fidatevi che in un paio d’anni leggeremo quotidianamente il suo nome associato alla parola underpaid.
Per la medesima ragione sono convinto che nel giro di due anni non avremo più molto da dire sulle cifre di Daniel Jones – salvo fallimenti epocali.
Come riportato nel titolo, il mercato è radicalmente cambiato e dobbiamo tenerlo presente per preservare la nostra sanità mentale: se teniamo come punto di riferimento i numeri del 2021 saremo portati a credere che la NFL intera sia completamente impazzita.

Perfetto, la premessa obbligatoria è terminata.
Oltre che a combattere la mia noia esistenziale, la vera ragione per cui ho deciso di imbattermi in questo articolo era condividere con voi alcune mie riflessioni sulle tre firme che hanno reso interessanti questi ultimi giorni.
Andiamo in ordine cronologico.

Sono arrivato a un punto in cui ci rinuncio a provare a capire le logiche dei New Orleans Saints, squadra convinta di essere a un quarterback di distanza dal poter arrivare fino in fondo. No, i New Orleans Saints non sono a un quarterback di distanza dal Lombardi e, qualora lo fossero, non credo che fosse Derek Carr l’uomo a cui rivolgersi.
Carr è a mio avviso uno dei giocatori maggiormente malserviti dell’ultimo decennio, giocare a football americano senza poter contare su un reparto difensivo alla lunga è alquanto logorante, ma tutti gli alibi di questo mondo non cambiano la cruda realtà dei fatti, ovvero che non sia lui la risposta di cui questa squadra è convinta di avere disperatamente bisogno.
In luce di quanto pontificato poc’anzi, non ho assolutamente nulla da recriminare sul suo contratto, un quadriennale da 100 milioni di dollari garantiti in questo momento storico non è per niente irragionevole per il quarterback titolare per antonomasia.
Tuttavia, non capisco quale sia il ragionamento dei New Orleans Saints in quanto franchigia.

Il ritiro di Drew Brees doveva coincidere con la fine di un ciclo e, soprattutto, con l’inevitabile inizio della ricostruzione: ovviamente non è andata così. Il roster era così profondo, completo e forte che non provare a dare un’opportunità a Jameis Winston sarebbe stato quasi un crimine, specialmente se si tiene ben presente il fatto che Brees nell’ultimo anno sia stato più un limite che un valore aggiunto. Calare in quel roster un quarterback indubbiamente talentuoso con un braccio destro funzionante sarebbe dovuto bastare per fare finalmente trentuno, ma come ben sappiamo non è andata così.
Grazie agli inimitabili esercizi di ginnastica salariale del GM Loomis, sono puntualmente riusciti a tenere unito il nucleo oramai storico senza però risultare mai particolarmente competitivi. Mi sembra inutile specificare che nel 2022 non abbiano mancato l’accesso ai playoff esclusivamente per la scarsa qualità under center, ma piuttosto per un roster lacunoso e attempato – quartultimi per età media prima dell’inizio della scorsa stagione.

Tuttavia, mi sto rendendo conto che la percezione che possiamo avere noi – e il resto della lega – dall’esterno dei Saints sia completamente diversa da quella all’interno del loro quartier generale: il front office è convinto di poter vincere e poterlo fare ora. Pensate all’aggressività con cui sono andati a prendersi Olave e Penning all’ultimo draft, sulla carta le rotelle mancanti per far girare l’ingranaggio: avete visto com’è finita.
Con Derek Carr New Orleans è ovviamente la favorita in division, ma credo che questo ci dica più cose sullo stato della NFC South che sull’oggettiva bontà della mossa. Dubito fortemente che possano giocarsela ad armi pari con le prime della classe in NFC, ma è chiaro che a chi detiene il potere decisionale interessi poco del parere di noi annoiati appassionati.
Molto probabilmente vinceranno più partite di quanto fatto mediamente nell’ultimo biennio, ma questa a mio avviso è l’ennesima occasione persa per staccare la spina e ripartire da capo.

Sul contratto di Geno Smith, invece, non ho molto da dirvi. Un triennale da 75 milioni (a cui ne vanno aggiunti 30 di incentivi) non è assolutamente scandaloso, soprattutto se si considera che 40 milioni sono garantiti alla firma. Il front office dei Seahawks ha intelligentemente premiato il giocatore per il fantastico e insperato 2022, non vincolandosi in modo particolarmente gravoso oltre il 2023.
Reputo verosimile che aggiungano un quarterback al draft a cui lui possa fare da chioccia e, nel caso in cui dovesse confermare quanto di buono fatto vedere lo scorso autunno, possono sempre confermarlo per il 2024 ed eventualmente ristrutturare il contratto.
La loro mossa mi è piaciuta, la reputo ragionevole per tutte le parti coinvolte e umanamente non posso che essere contento per Smith che, dopo una vera e propria odissea, ha finalmente ricevuto un contratto che lo sistemi per la vita.
Bene così, immagino.

Dunque ora devo parlare di Daniel Jones?
Quadriennale da 160 milioni di cui 82 garantiti alla firma che, in sostanza, altro non è che un triennale da 112.5 milioni di dollari visto che scaricandolo dopo il 2025 avrebbero solamente 9 milioni in dead cap.
La tentazione di copiare-incollare la corposa riflessione d’inizio articolo è forte, ma voglio provare ad andare oltre.
Se si parla di questo contratto c’è da tenere in considerazione il vero autore del miracolo Jones, Brian Daboll. Appare evidente che l’allenatore e il front office siano convinti che il giovane quarterback abbia ancora davanti a sé gran margine di miglioramento, che dare continuità a quanto iniziato sia l’unico modo per trasformare definitivamente Jones in un franchise quarterback.
Viene da sorridere a pensare che solamente ad agosto lo avevamo collocato davanti a uno spaventoso bivio professionale e che molti di noi fossero convinti che New York, la seguente primavera, sarebbe stata costretta a trovarsi un nuovo quarterback al draft.

Un contratto del genere per un individuo che ha ben figurato in una sola stagione su quattro pare un’esagerazione, ma si ritorna al punto di partenza: 35/40 milioni l’anno sono il nuovo standard per un quarterback titolare nel 2023. Se tuttavia si considera Daniel Jones un prodotto non ancora finito, il tempo potrebbe dare ragione al front office newyorkese che principalmente grazie alle manine sante di Brian Daboll potrebbe aver trovato la risposta per il futuro.
Quarterback che un paio d’anni fa potevano al massimo ambire a 20 milioni a stagione ora ne guadagnano tranquillamente il doppio: l’ho già detto che viviamo nel mondo dei quarterback?
Oltre alla brillantezza tattica e umana dell’allenatore, esistono validi motivi per restare ottimisti e aspettarsi che già dal prossimo autunno Jones possa compiere un netto salto di qualità che giustificherebbe senza troppi problemi l’investimento compiuto da Schoen e colleghi.

Nel 2022 Jones ha condotto i suoi Giants ai playoff nonostante un supporting cast che definire scadente sarebbe un eufemismo: oltre all’inutile Kenny Golladay, sapreste nominarmi su due piedi un ricevitore a cui abbia indirizzato il pallone a dicembre? Il leading receiver nella partita di playoff contro i Minnesota Vikings è stato Isaiah Hodgins – che in carriera ha ricevuto complessivamente 392 yard -, mentre Darius Slayton è stato la sua opzione più consistente per tutto il resto della stagione: associare Slayton al concetto di consistenza mi provoca l’orticaria, ma tant’è.
Ci sono validissime ragioni per attendersi un netto miglioramento del contesto attorno al numero 8 che in un attacco più funzionale potrebbe flirtare con una produzione da top ten nella posizione, esattamente ciò per cui i New York Giants lo pagano.
Comprendo pienamente il vostro scetticismo, ma tenendo ben presente i fattori ambientali interni (il reparto offensivo che dirige) ed esterni (la riflessione d’inizio articolo) questo contratto un suo senso lo ha.

Il mercato dei quarterback è cambiato a una velocità che ci fa girare la testa, prendiamoci del tempo prima di esprimere giudizi definitivi. Ciò che due anni fa faticavamo tremendamente a concepire è diventato il nuovo standard e prima lo metabolizziamo meglio è – malgrado parlare di Daniel Jones come quarterback da 40 milioni l’anno resti indubbiamente esilarante.

2 thoughts on “Capire il nuovo mercato dei quarterback in NFL

  1. Articolo interessantissimo!

    Quello che non riuscirò mai a capire è cosa se ne faccia uno di 40 milioni all’anno: io con un solo milione sarei a posto per tutta la vita! Datemene due e sistemo anche i parenti. Se me ne danno 40, due li uso e 38 finiscono a marcire in banca, perché, anche con tutta la forza di volontà, non riuscirei a trovare un modo per spenderli!

  2. Giornataccia per le squadre che devono trattare adesso con Burrow, Herbert, Jackson e Hurts. A che cifra si arriverà?
    Il contratto di Jones è spropositato, ma ad onor del vero vale meno di quelli di Wilson e Watson…

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