Lo ricordo nitidamente, era la sera di sabato 29 gennaio 2022 e il mio Twitter sembrava impazzito: secondo vari insider Tom Brady a breve avrebbe annunciato il proprio ritiro. Apriti cielo. Tributi, conferme, smentite, controsmentite, tutto quello che potete immaginare.
Qualche giorno dopo, martedì 1 febbraio, ecco l’annuncio ufficiale – seguito dal più grande sospiro di sollievo mai registrato su questo pianeta emesso da Adam Schefter che si stava giusto giocando la credibilità. Già la domenica mattina, nel dubbio, avevo iniziato a redigere il mio omaggio per il più grande di tutti i tempi che, in quanto tale, meritava qualcosa di diverso, qualcosa di più personale.
Anche perché i record, a questo punto, li sanno recitare a memoria pure i muri.

Il risultato, tanto per cambiare, è stata una sviolinata epocale nella quale ho provato a trasmettervi il mio apprezzamento, la mia riconoscenza e la mia ammirazione per Tom Brady… salvo poi rimangiarmi tutto quaranta giorni dopo quando, dopo aver visto Cristiano Ronaldo dominare contro il Tottenham, ha fatto retromarcia e cambiato idea.
Maledetto Tom Brady, mi hai costretto a sparare la mia miglior cartuccia… per niente?
Non potevo allora – e non posso adesso – prenderla sul personale, ha pur sempre emulato quanto fatto dall’amico Gronkowski e sapete cosa si dice dei due pesi e delle due misure: meglio di no.

Ieri, a un anno esatto di distanza dal primo ritiro, Brady ha sorpreso il mondo annunciandone uno nuovo, un vero e proprio fulmine a ciel sereno scoccato con la più straniante sobrietà tramite un video malinconico postato sui canali social in cui Brady, visibilmente corrucciato, ci saluta nell’assordante silenzio di una spiaggia vuota in un giorno nel quale il cielo è atipicamente invaso da grigie e meste nuvole. Credo che solo quel cielo potesse comprendere lo stato d’animo di un uomo che negli ultimi mesi ha vissuto tutti i bassi che sembravano antitetici se accostati al suo nome.
È paradossale dichiararsi sorpresi per il ritiro di un quarantacinquenne, ma con Brady la normalità l’abbiamo lasciata perdere già da tempo. Non mi sarei mai aspettato il ritiro, non a questo punto, non dopo essere tornato e aver perso tutto – per quello che ci è dato sapere – in nome del suo unico vero amore, il football americano.

Tutto sommato, però, non poteva scegliere modo migliore per ritirarsi. Anni di dominio senza precedenti e un palmares impareggiabile l’hanno reso immune al fallimento, ma commetteremmo un grave errore a dimenticarci delle sue origini: Brady è entrato in National Football League in punta di piedi e, ora, è uscito dal retro mentre tutti noi eravamo distratti dai Championship Game e dal sempre più vicino Super Bowl.
Niente indiscrezioni, nessuno scoop, solamente umiltà e umanissima tristezza, per una volta. Probabilmente sto esagerando, ma ora come ora fatico a trovare un vocabolo nella lingua italiana più appropriato: tristezza. Quello visto negli ultimi mesi non è il Tom Brady che abbiamo imparato ad amare e soprattutto odiare – sportivamente parlando, naturalmente -, il Capitan America ineluttabilmente vincitore è dovuto finalmente venire a patti con la propria mortalità, sportiva e non.

Mi disorienta mettere a fuoco che la sua ultima partita in NFL sia coincisa con una delle sue peggiori sconfitte ai playoff, da decenni arena prediletta. I Dallas Cowboys, un paio di settimane fa, hanno messo a nudo i Tampa Bay Buccaneers e Tom Brady ribadendoci che il loro tanto fugace quanto soddisfacente ciclo fosse finito.
Quel “loro” teoricamente apparteneva solo ai Buccaneers, non a Brady. Figuratevi che il suo nome è stato accostato a più riprese ai vari Raiders, 49ers e ancora una volta Buccaneers. È infatti recente la voce secondo la quale Brady avrebbe accettato un sorprendente ritorno in Florida. Nei commenti, soprattutto negli ultimi giorni, molti di voi lo hanno calato nel florido contesto dei 49ers, squadra a un quarterback – sano – di distanza dal Super Bowl se ne esiste una.
Niente da fare.
Magari fra un mese ci ripensa, a Brady non possiamo precludere assolutamente nulla, ma credo che sia finalmente sufficientemente maturo da metabolizzare l’ovvio, ossia che non gli sia rimasto niente da dimostrarci: il suo arco narrativo è completo, ora è perfetto.

Nato dal fallimento e dall’umiliazione, Brady è diventato cenere nella stessa umiliazione che per interminabili anni ha alimentato la fiamma che lo ha reso il più grande vincente di tutti i tempi.
Quest’ultima stagione non cambia di una virgola il mio giudizio nei suoi confronti. Un insipido 8-9 nella peggior division della lega non impolvera nessuno dei suoi sette Lombardi, non annacqua alcun record e non muta in alcun modo la sostanza. La sua scommessa, l’ultima e in un certo senso la più importante, l’ha vinta un paio d’anni fa rimettendo al suo posto Patrick Mahomes e i Kansas City Chiefs con la vittoria di un Super Bowl finalmente senza Belichick.
Non è stato soddisfacente come mi sarei immaginato vederlo così, ma è stato necessario.
Anni di perfezione e asettici successi lo avevano svuotato dell’imprescindibile umanità che ci accumuna, era diventato un maledetto automa progettato esclusivamente per surclassare difese e accumulare riconoscimenti individuali e di squadra.
Questa stagione ci ha restituito Brady per quello che è, un essere umano che come tutti noi tenta di restare a galla in un mare di difficoltà e dolore. Per fortuna, dico io, che ha deciso di tornare.

Chi mi conosce mi ha fatto presente quanto, dopo Monaco, mi sia ammorbidito nei suoi confronti. Vedete, tifando Baltimore Ravens da quando sono ragazzino – come non lo fossi ancora – ho avuto modo di sperimentare sulla mia pelle gli effetti della convivenza con Brady. L’AFC Championship Game del 2011 fa ancora male, di tanto in tanto rivivo quella sciagura di piazzato di Cundiff.
Dopo Monaco, come per magia, Brady ha cominciato a starmi decisamente più simpatico. Il mio stato mentale di quel giorno avrebbe reso piacevole anche calpestare un mattoncino Lego, ma sono rimasto stregato dalla sua umiltà e genuinità.
Il Tom Brady che vediamo sui social, quello che spesso posta cringe, non è lo stesso Tom Brady che si barcamena su questo pianeta. Il fatto che una semidivinità si sia mostrata così riconoscente per aver avuto l’opportunità di giocare in uno scenario completamente inedito mi ha lasciato senza parole. Quelle non erano parole di circostanza, gli occhi e il sorriso con cui le scandiva ci restituivano una gratitudine quasi puerile.
Aver avuto l’immeritato privilegio di vederlo così vicino e così umano è stato semplicemente il momento più alto della mia vita.

Non so nemmeno io cosa dire, veramente.
Sciorinare per la seicentesima volta i suoi successi non compendierebbe la sua grandezza. Se questo malinconico 2022 ci ha insegnato qualcosa è proprio che Tom Brady vada ben oltre i numeri, che sia un essere umano a tutto tondo alimentato da speranze come tutti noi, schiavo delle illusioni e delle proprie fragilità come tutti noi, capace di fallire e scivolare nel baratro come tutti noi.
Non aveva più niente da dimostrare nel 2020 quando ha deciso di imbarcarsi in un’avventura apparentemente folle e scriteriata.
Non aveva più niente da dimostrarci lo scorso marzo, quando ha immediatamente fatto ritorno nell’arena da lui stesso eretta.
Non ha più nulla da dimostrarci ora, dopo l’annata più complicata della sua carriera.

Ci ha salutati così, con alle proprie spalle un cielo abulico e accidioso su cui sembra abbia dipinto tutto il dolore di questi ultimi mesi, con una barba atipicamente incolta tipica di una persona reduce da giorni di interminabile riflessione, con un sobrio messaggio di una cinquantina di secondi nel quale vuole mettere immediatamente in chiaro che questa volta sia serio.
For good, per l’appunto.
Non era forse l’epilogo che ci aspettavamo, ma va benissimo così. Brady ci ha plagiati, ci ha abituati allo straordinario finendo inconsapevolmente per sbarazzarsi del prefisso “stra” fino a farlo tornare ordinario. Dobbiamo rendere onore al merito, questa sua uscita di scena così sobria e malinconica ci ha sorpresi malgrado fossimo convinti di essere diventati invulnerabili alle sue sorprese.
Maledetto, ci sei riuscito di nuovo.

Rieccoci qua Tom, costretti a salutarci per la seconda volta in un anno.
Non saprei come ringraziarti, sono serio, senza di te la NFL probabilmente non avrebbe impressionato un ragazzino disperatamente bisognoso di essere alternativo – ed esasperato dal calcio, tifare una provinciale è un lavoro logorante – al punto di diventare la stella polare attorno a cui ruota la sua intera esistenza.
Hai cambiato tutto, hai riscritto la storia di questo gioco, ci hai regalato così tante memorie che non sento di essere in grado di elencarle tutte senza ometterne una che per qualcun altro potrebbe rappresentare il suo “momento Brady” preferito.

Ti sei ritirato così, corteggiato e accostato a un nutrito numero di squadre bramose di un quarterback per compiere il definitivo salto di qualità e, credimi, questo vale quasi quanto un Super Bowl.
Sto esagerando, ma capisci la mia frustrazione, è il secondo compleanno di fila che mi rovini con il tuo maledetto ritiro. Vedi, normalmente il compleanno è l’occasione per sentire gente scivolata in secondo o in terzo piano nella vita e aggiornarsi un attimo, invece per colpa tua mi toccherà passare la giornata a spiegare questa tua decisione e perché – forse – questa volta sia quella definitiva.
In ogni caso, grazie Tom.

7 thoughts on “Tom Brady ci ha sorpresi un’ultima volta

  1. Fiuuuu….. non è venuto a rompersi una caviglia a San Francisco!
    Buona pensione Tom! So long

  2. A settembre saremo sicuri del suo ritiro. Sotto sotto però speriamo che a settembre qualcosa… sia cambiata.

  3. Innanzitutto, auguri!

    Ho iniziato a seguire con costanza la Nfl nel 2011: prima avevo visto solo qualche partita qua e là, capendoci poco. Quell’anno, Buffalo partì 3-0, battendo alla terza settimana New England 34-31, all’ultimo secondo e in rimonta, dopo essere stata sotto di 14 punti: in Italia, la partita fu trasmessa in chiaro (football in chiaro alle 19.00, incredibile). Brady non vinceva un Super bowl da sei anni, nella classifica dei migliori 100 giocatori di sempre era stato messo solo al 21° posto e in quella partita lanciò quattro intercetti: si parlava già di fase calante della sua carriera e dei Bills come nuovi padroni della Afc East. A fine anno, Buffalo chiuse 6-10, Brady andò al Super bowl e di certo non è rimasto al 21° posto nella classifica dei migliori 100 giocatori.

    Gli ho visto giocare sei Super bowl: quattro volte sono stato abbastanza neutrale (con Giants, Seahawks, Rams e Chiefs), due volte gli ho tifato contro (con Falcons ed Eagles). Per Atlanta, mi è dispiaciuto tantissimo: ancor’oggi, me ne rammarico. Ma soprattutto gli ho tifato contro nei due championship del 2013 e del 2015, contro i Broncos di Peyton Manning: amavo Manning e vederlo battere Brady due volte è stato un vero piacere.

    Non posso dire che lo rimpiangerò. Però, col suo ritiro e con quello di Watt, si è assottigliato ulteriormente quel gruppo di giocatori che mi ha fatto innamorare del football nel 2011. Chi sono rimasti? Rodgers, Dalton, Stafford, Ryan (se continua) e forse qualche altro che ora mi sfugge (probabilmente, qualche kicker). Spero che almeno le carriere dei guru della panchina continuino ancora a lungo: posso sopravvivere a una Nfl senza Brady, non so se sopravvivrei a una Nfl senza Belichick, Carroll e Reid!

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