La carriera di Patrick Mahomes, fino a questo punto, può essere vista come la parodia di una carriera di un giocatore NFL. Questo sport non è affatto facile, anzi, a mio avviso è il più complicato in assoluto. Vincere, di conseguenza, dovrebbe essere tremendamente difficile.
Non per Patrick Mahomes.

Dal 2018, anno in cui ha rivoluzionato la disciplina ridefinendo il campo d’esistenza di ciò che dovrebbe essere possibile o meno, insieme ad Andy Reid e Travis Kelce la vittoria finale è stata l’unica sua costante. Per carità, di Super Bowl ne ha vinto “solamente” uno, ma l’automaticità con la quale è arrivato almeno a giocarsi il Championship Game in ogni singola stagione da titolare è inesplicabile. Questa lega, questo sport, sono progettati per stroncare sul nascere le dinastie. Meccanismi come salary cap e draft dovrebbero garantire una rinfrescante alternanza ai piani alti: chi ha faticato quest’anno (teoricamente) fra un paio d’anni dovrebbe prosperare.
Ho ben presente che queste logiche siano già state abbondantemente sbugiardate dai Patriots di Belichick e Brady, ma dopo tre anni dal grande scisma di Foxborough credo che oramai siamo tutti in grado di apprezzare l’unicità e la probabile irripetibilità della loro egemonia: abbiamo avuto il tempo necessario per metabolizzare e, finalmente, digerire un ventennio senza eguali.

Si potrebbe quasi dire che Mahomes sia nato con la proverbiale camicia. Anche lui ha dovuto ingoiare qualche boccone amaro, ma immagino che dover dichiarare il decesso della propria stagione o prima o durante il Super Bowl sia il più lampante esempio di problema del primo mondo. Primissimo mondo, se permettete.
Recentemente, Mahomes ha realizzato di essere un privilegiato. Nella conferenza stampa dopo il Championship Game, ha ammesso di aver pensato che vincere fosse automatico: come biasimarlo. Al termine del primo anno da titolare s’è portato a casa l’MVP, al termine del secondo il Lombardi. Tutto qua? Vieni selezionato al draft, fai l’apprendistato dietro a un veterano ineccepibile come Alex Smith e in due anni vinci tutto il necessario per entrare nella leggenda come quarterback?
Lo ammetto, così è quasi impossibile empatizzare e, pure, provare simpatia. I vincenti non piacciono a nessuno, figuriamoci i predestinati.

Ogni eroe, per essere tale, ha necessariamente bisogno di antagonisti o di ostacoli apparentemente insormontabili. È proprio dalla contrapposizione con le difficoltà che l’essere umano viene elevato a eroe e, fino a questo momento, Mahomes ha avuto la fortuna di godere di un percorso inusualmente pulito e fortunato. Ovviamente anche lui ha avuto i suoi bassi, ma nulla di eccessivamente serio che ci spingesse a provare pietà nei suoi confronti. O, di nuovo, anche solo empatia.
Quello visto domenica, e per tutta la scorsa settimana, non è stato il solito Mahomes, il supereroe senza macchia che ha fatto dell’impossibile il proprio pane quotidiano. L’infortunio rimediato contro i Jacksonville Jaguars e la contrapposizione con i Cincinnati Bengals, bestia nera per lui se ne esiste una, ci ha restituito una sua versione inedita e imponderabile, quella dello sfavorito.
Per una settimana abbiamo speculato sulle condizioni della sua caviglia destra, troppo malconcia per dargli una possibilità verosimile di esorcizzare il demone Bengals.
Malgrado mi ridano i polpastrelli solo a digitarlo, forse per la prima volta fra i professionisti Mahomes s’è affacciato a una partita come underdog nel senso più letterale del termine. Non è mai riuscito a battere Joe Burrow da sano, figuriamoci a mezzo servizio su una sola gamba.

Patrick Mahomes, domenica, di “Mahomes” aveva solamente il cognome sulla maglia. Lanci che per lui altro non sono che noiosa routine si sono magicamente trasformati in spaventose cime da conquistare: la più elementare delle giocate era costantemente funestata da insopportabili fitte che ne mutavano inesorabilmente la meccanica di lancio. Contro i Bengals Mahomes lanciava il più possibile di braccio, disarmonizzando un movimento a tutto corpo così automatizzato da poter essere quasi comparato alla respirazione, o a qualsiasi azione involontaria che permette al nostro corpo di funzionare. Il corpo di Patrick Mahomes il quarterback, per una volta, non funzionava. Ed era sotto gli occhi di tutti, dei Bengals in particolar modo.
Le scorribande fuori dalla tasca, su una caviglia del genere, non poteva nemmeno sognarsele.
Insomma, a Patrick Mahomes è stato tolto con la forza bruta tutto ciò che lo rendeva Patrick Mahomes e lui, da fenomeno generazionale qual è, non ha battuto ciglio.

Vivere, metabolizzare, adattarsi e reinventarsi. Tutto assolutamente umano e, nel suo caso, spaventosamente nuovo.
Non solo, come già detto, ha dovuto studiare modi per battere i maledetti Cincinnati Bengals che negli ultimi dodici mesi ne hanno messo in dubbio l’egemonia, ma doveva pure batterli in condizioni fisiche disastrose e, soprattutto, nuove. Come insegni a un marziano a comportarsi da umano nel palcoscenico più impegnativo in assoluto?
Mahomes domenica si è presentato a noi vulnerabile, nudo, senza il mantello da Superman che lo ha catapultato nella leggenda prima ancora che potesse rendersi conto di cosa stesse accadendo: non ho mai visto un Patrick Mahomes migliore.

Il kafkiano fumble, una giocata che prima avevo visto fare solamente da Brock Osweiler, poteva essere visto come antitesi di tutto ciò che Mahomes ci ha spiegato di lui finora. La più anonima delle giocate è stata funestata da un buffo errore che poteva costare la partita ai Chiefs: provate a immaginare in caso di vittoria Bengals cosa staremmo (ancora) dicendo su quel fumble. Cosa avremmo detto lunedì? Quasi sicuramente ci saremmo scagliati contro Andy Reid e l’intero coaching staff dei Chiefs, colpevoli di aver mandato allo sbaraglio un ragazzo troppo acciaccato non solo per essere sé stesso, ma per essere competitivo.
Domenica a trascinare al successo i Kansas City Chiefs non ci ha pensato il talento smisurato, ma il semplice cuore. Il cuore gli ha permesso di scendere in campo – insieme a qualche infiltrazione qua e là – con la lucidità necessaria per comprendere che per una volta less is more. Niente eroismi, niente giocate strafottenti nei confronti della fisica, niente contorsioni innaturali.
Solo tanto, tantissimo cuore.

Poi per carità, il ragazzo c’ha messo del suo, quel lancio sul touchdown di Valdes-Scantling non ha alcun senso logico, ha lanciato solamente di braccio con un difensore pronto a piallarlo al suolo, ma il Mahomes visto domenica m’ha spiazzato, lo ammetto.
Per la prima volta da quando gioca fra i professionisti Mahomes è apparso umano, inaccetabilmente normale, in un certo senso limitato. Accostarlo alla parola “limite” potrebbe essere considerato blasfemo, ma credo abbiate ancora negli occhi la legnosità con cui zampettava su e giù per il campo. Nel momento più delicato della propria carriera – non potevano permettersi un’altra sconfitta contro i Cincinnati Bengals – Mahomes ha fatto della propria debolezza virtù proponendoci una splendida e inedita versione di sé stesso.
Con i ricevitori che cadevano come le foglie a metà novembre, il numero 15 non ha mai perso la testa anche se ne avrebbe avuto tutte le ragioni del mondo. Provate ad aggiungere all’elenco degli ostacoli sciorinato poc’anzi la presenza di Skyy Moore e di Marcus Kemp nel momento cruciale della partita: com’è possibile che sia riuscito a vincere?

Domenica scorsa, forse, Patrick Mahomes ha deciso di presentarci finalmente il vero Patrick Mahomes, quello fatto di carne, ossa e debolezze come ognuno di noi, la sua versione più autentica. Al ragazzo a cui tutto riesce facile, per il quale vincere era quasi diventato “automatico” è stato tolto veramente tutto nel momento più delicato in assoluto e lui, nudo e spaventato, ha deciso di aggrapparsi a tutto ciò che gli rimaneva, la propria vulnerabilità.
Non so se contro gli Eagles, in condizioni fisiche del genere, potrà offrirci una replica. Per battere Philadelphia spesso non è sufficiente nemmeno il 110%, figuriamoci un qualcosa di indefinito che si aggira attorno al 50%, ma non importa, Mahomes in una sola partita mi ha definitivamente conquistato. Per farlo non ha necessitato di nessun orpello al di fuori del proprio cuore.

Avevo bisogno di una prestazione del genere, avevo bisogno di vederlo in difficoltà. Staremmo ancora studiando i Promessi Sposi se Renzo e Lucia si fossero sposati dopo un capitolo? Che ne sarebbe stato di Ulisse se immediatamente dopo la guerra di Troia fosse tornato a casa in totale beatitudine?
La leggenda nasce dalla contrapposizione, dal dolore e dalle difficoltà e Mahomes, contro i Bengals, si è definitivamente consacrato come leggenda. Non che ne avesse bisogno, intendiamoci, ma fare della vulnerabilità la propria arma vincente è un qualcosa che compete solamente a chi occupa capitoli nei libri di epica.

Siamo stati testimoni di qualcosa di imponderabile e al contempo assolutamente naturale, Mahomes si è affermato nel momento potenzialmente più critico della propria epopea e nessuna controversia arbitrale riuscirà ad annacquare la grandiosità della sua impresa.
A breve – presumibilmente a settembre – saremo così assuefatti dalle sue magie da essere obbligati a rifugiarci nell’apatia che ci spinge alla delusione davanti a qualsiasi partita sotto i tre touchdown, ma fidatevi di me, apprezziamolo finché umano, finché uno di noi.
Quello di domenica, a mio avviso, è stato il miglior Patrick Mahomes possibile ed è alquanto paradossale averlo conosciuto in circostanze simili.
Ne avevo, ne avevamo bisogno.

8 thoughts on “Nella vulnerabilità abbiamo finalmente conosciuto Patrick Mahomes

  1. Lo ritengo il più forte QB odierno (non me ne vogliano i fan di Burrow e Allen) ed anche il più spettacolare. Indipendentemente da come andrà il SB (durissimo contro questi eagles) nulla intacca la sua grandezza.

  2. e pensare che credevo ti fosse antipatico. scherzi a parte, complimenti per questo articolo perche’ hai colto nel segno quello che e’ stato il pathos del match contro Cinci, a livello emotivo dopo tre L di seguito c’era veramente da giocare con il braccino, senza contare la caviglia. anzi, a ben vedere la caviglia avrebbe potuto essere quasi un alibi, nel caso. sportivamente amo Mahomes, e’ il giocatore piu’ spettacolare in assoluto secondo me, ed e’ per lui che mi sono riavvicinato alla NFL dopo anni in cui avevo smesso di seguirla, forse anche a causa dell’egemonia di Brady che non ho mai amato, men che meno i Pats (a proposito, occhio a dire che non ci sara’ mai un altro goat, perche’ di Montana si diceva esattamente la stessa cosa alla fine degli anni 80, chi c’era lo ricordera’). spero bene per il SB ma la vedo molto dura, gli Eagles visti contro SF sembrano un muro insormontabile.

    • Tra Montana e Brady sono passati 20 anni e mezza dozzina di cambi di regole.
      Colle regole dei tempi di Montana (salary cap compreso) la storia di Brady (e pure quella dei suoi colleghi, naturalmente) sarebbe stata completamente diversa, quindi niente paragoni.

    • A me gli Eagles visti contro i miei Niners non hanno fatto una grande impressione, Hurts è stato inesistente sia come corse che come lanci e, di conseguenza, anche i WR Smith e Brown non si sono visti. Se si considerano anche gli episodi che hanno portato ad almeno 2 dei primi 3 TD che hanno fatto, direi che hanno fatto decisamente troppo poco contro una squadra senza QB praticamente da subito. Secondo me, se Mahomes recupera almeno un pochino e non arriva completamente zoppo al SB, i Chiefs vincono.

      • Gli eagles hanno vinto soprattutto con le corse.. cmq mi pare chiaro dai commenti che leggo ad inizio playoff che siano gli underdogs Vs questi chiefs.. io non ne sono del tutto convinto visto che sono completi in tutti i reparti.. ma vedremo come andrà finire

  3. Bellissimo articolo Mattia, la partita di Mahomes contro Cinci è stata quasi commovente. Credo che a prescindere dal tifo, non ci siano dubbi che Mahomes sia il QB più forte al momento, io adoro anche Burrow e Allen, ma credo che la capacità di sfuggire alla pressione e pescare sistematicamente il compagno libero (vicino o lontano non importa) che ha lui non la ha nessuno e per me quella è una dote fondamentale. Se i miei Niners lo avessero preso in quello sciagurato draft del 2017, a quest’ora staremmo parlando di una nuova dinastia!!

  4. Per me, come epicità dell’impresa, sta alla pari con il Flu Game; da condividere almeno un pò con un mostruoso Chris Jones. Per il Superbowl credo che sia una sfida al 50%..di qua Mahomes in versione miracoli umani e sportivi, di là una difesa feroce come ne ricordo poche altre (Hurts non mi è piaciuto per niente al Championship)

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