Il 31-24 nel Wild Card Game di Minneapolis sancisce la fine dell’agonia dei New York Giants, costretta ad aspettare oltre 10 anni per rivedere una vittoria ai playoff. L’ultima era avvenuta in grande stile, ovvero attraverso la conquista del Super Bowl XLVI contro i New England Patriots il 12 febbraio 2012 grazie al mitico Eli Manning, protagonista di quella partita e predecessore nel ruolo di Daniel Jones, attuale QB e protagonista a sua volta della partita di domenica.

La squadra della Grande Mela ha iniziato la stagione nel migliore dei modi, grazie soprattutto all’arrivo di Brian Daboll in panchina ma, complice un calo a metà stagione, è riuscita ad ottenere un posto valido per i playoff solo nelle ultime settimane di regular season. Di fronte ci sono i Minnesota Vikings, vincitori della loro division e autori di un’ottima annata grazie alla quale hanno ottenuto il vantaggio casalingo per questo match.

Nonostante la facilità con cui i Vikings hanno ottenuto un piazzamento valido per i playoff, attorno a loro aleggiavano ancora numerosi dubbi, alimentati soprattutto dalle rumorose sconfitte subite contro Cowboys e Packers.

La squadra di casa parte forte segnando un touchdown sul primo possesso portandosi così in vantaggio, New York tuttavia reagisce e conclude il primo tempo in vantaggio 17-14.

Nel secondo tempo la partita continua ad essere equilibrata, a tal punto che il 4° quarto inizia col risultato sul 24-24, che reggerà fino al touchdown del runningback dei Giants Barkley, grazie al quale New York porterà a casa la partita.

La chiave tattica è stata il game-plan costruito da coach Daboll, ex offensive coordinator dei Buffalo Bills e artefice della definitiva maturazione di Josh Allen.

Il lavoro fatto su Daniel Jones ricorda proprio quello fatto su Allen: nonostante il talento del QB dei Bills sia superiore, entrambi hanno la possibilità di usare le gambe e fisico per improvvisare nel momento in cui la difesa non permette di lanciare ma fornisce lo spazio necessario per uscire dalla tasca in tranquillità.

Inoltre, una volta che la difesa dei Vikings ha preso le necessarie contromisure alle numerose e facili corse del QB avversario, quest’ultimo ha avuto più tempo nella tasca per compiere le sue letture, come ad esempio nel drive decisivo concluso dal touchdown di Barkley.

Difensivamente, i Giants hanno cercato di rallentare Kirk Cousins, giocatore a cui viene spesso imputata una carenza nella capacità di improvvisazione. Il gioco di corse inoltre ha sofferto la presenza di Dexter Lawrence, mastodontico tackle, e Jaylon Smith, linebacker, spesso avvicinato alla linea di scrimage con lo scopo di limitare le portate di Dalvin Cook.

Se a Cousins viene imputata scarsa capacità di improvvisazione al di fuori della tasca, ciò che è indiscutibile è la sua grande abilità nel lanciare all’interno di essa. Per questo Don Martidale, attuale defensive coordinator di New York e celebre per le sue strategie iper-aggressive, ha preferito questa volta limitare i blitz, cercando di guadagnare uomini in fase di copertura, su tutti il cornerback Jackson, costantemente accoppiato con la super minaccia Jefferson.

Ad attendere i Giants adesso c’è la super sfida in trasferta contro i Philadelpia Eagles, acerrimi rivali e senza dubbio protagonisti della regular season appena conclusa.

A prescindere da come finirà, il bilancio della prima stagione di Daboll non può che essere positivo, non solo per la qualificazione o per la vittoria di Minneapolis, ma per il modo in cui ha saputo rivitalizzare un progetto a partire proprio dal QB, vittima spesso nelle passate stagioni di critiche da parte dei media newyorkesi e non solo.

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