Certe volte la benevolenza degli dei del football sa lasciarmi senza parole.
Quello appena passato è stato un weekend abbastanza disastroso che ho trascorso inchiodato al letto per l’influenza – già smaltita, per fortuna – e potete immaginare quanto avessi bisogno di football particolarmente emozionante per preservare la mia cagionevole sanità mentale: il miracolo dei Vikings, quella cosa là dei Patriots, il collasso dei Buccaneers, la sorprendente prova di forza dei Jaguars, il botta e risposta sotto la neve fra Bills e Dolphins, la maturità dei Lions… di tutto e di più.
Quello appena passato sale con prepotenza sul podio dei weekend di football più clamorosi a cui io abbia mai assistito.
È più che mai complicato e ingiusto selezionare tre o quattro argomenti di cui parlare e non dedicare migliaia di parole a ognuno fra quelli elencati poc’anzi, ma non posso lanciarmi in articoli di seimila parole – pagelloni a parte – il lunedì pomeriggio: partiamo da Trevor Lawrence e dai Jacksonville Jaguars.

Indipendentemente dall’epilogo, il 2022 dei Jacksonville Jaguars è da vedere come un clamoroso successo perché sono riusciti a conseguire l’unico vero obiettivo che avrebbe definito il loro campionato, ossia favorire la crescita di Trevor Lawrence che, lo dico senza alcun problema, nell’ultimo mese è stato consistentemente uno dei migliori cinque quarterback della National Football League. Ero convinto che il disastroso anno da rookie lo avesse compromesso soprattutto da un punto di vista mentale, ma è palese che sia riuscito a lasciarsi alle spalle l’allucinante incubo vissuto solamente dodici mesi fa e smaltire definitivamente le scorie del regime Meyer.
Da novembre in avanti, infatti, la prima scelta assoluta del penultimo draft ha lanciato ben 14 touchdown a fronte di un solo intercetto completando più del 70% dei passaggi tentati: non è un caso che in questo intervallo temporale Jacksonville abbia vinto quattro delle sei partite giocate e, sorprendentemente, sia risalita sul treno playoff portandosi a una misera partita di distanza dai non più tanto favoriti Tennessee Titans.
Ah sì, queste due squadre si incontreranno durante l’ultima settimana di regular season: ebbene sì, i Jaguars possono entrare ai playoff come campioni di division.

Tuttavia, l’esplosione di Lawrence non deve assolutamente sorprenderci perché conferma un lapidario fatto che sovente tendiamo a ignorare: ambiente e infrastruttura sono tutto nello sviluppo di un quarterback.
In barba alle mie inette e inappropriate critiche in offseason – ricordate i miei elzeviri di condanna al contratto di Kirk? -, la vita tende a essere più facile per un signal caller quando il receiving corp viene pesantemente migliorato acquisendo giocatori concreti come Christian Kirk e Zay Jones al posto dei più o meno fumosi Laviska Shenault e Laquon Treadwell, anche se non è sicuramente questa la discriminante decisiva: ogni grande quarterback, per diventare tale, ha bisogno di un allenatore degno di nome.
Brady ha potuto contare su Belichick, Mahomes su Reid, Marino su Shula e Kelly su Levy – giusto per andare un po’ indietro nel tempo – e permettetemi di dire che c’è una differenza concreta fra un essere umano discutibile come Urban Meyer e Doug Pederson, signore che fino a prova contraria può vantare un Super Bowl vinto con il backup quarterback.

L’ambiente, per un quarterback, è tutto.
Non aveva senso affrettarsi a definire bust un ragazzo affacciatosi alla NFL con un gargantuesco bagaglio di hype sul groppone solo per una prima stagione particolarmente putrida – devo per caso rispolverare il 1998 di Peyton Manning? -, così come non ha alcun senso vederlo come un prodotto finito, un giocatore arrivato: la cosa intrigante è proprio che sia lui che i Jaguars abbiano un enorme margine di miglioramento verso cui protendere. Quanto visto nell’ultimo mese è solo un ghiotto assaggio di ciò che questa franchigia potrebbe diventare.
Nella vittoria contro i Cowboys abbiamo avuto modo di apprezzare ogni sfumatura della sua unicità, in quanto oltre all’indiscutibile talento che gli permette di completare lanci che tanti quarterback possono solo sognare ha dato prova di disumana razionalità con cui ha gestito una partita che, a un certo punto, sembrava essere una causa persa.
Sempre lucido e tranquillo, Lawrence non si è scomposto e lancio dopo lancio ha colmato un gap che per magnitudine e valore del reparto difensivo avversario sembrava condannarli a una sconfitta certa.
Sono assai curioso di vedere se l’esaltante inerzia dell’ultimo mese li catapulterà ai playoff.

Prima di riesumare l’impresa dei Vikings e provare a razionalizzarla, permettetemi di spendere due parole sull’ultima giocata dei New England Patriots contro i Las Vegas Raiders.
Liberiamoci per favore del tipico egocentrismo italiano, smettiamola prima di subito di declinare all’italiana ogni esperienza del reale, lasciamo fuori almeno dalla NFL la mesta realtà in cui viviamo: esatto, Calciopoli non c’entra niente con la stupidaggine di Meyers, così come non è colpa di Matt Patricia se un suo ricevitore si cimenta in una delle giocate più disastrose mai viste su un campo di football americano e no, Belichick non è bollito perché una cosa del genere è successo in una versione dei New England Patriots post-Brady.
Che senso ha parlare di ufficio inchieste?

Jim Marshall ha riportato nella propria end zone un fumble, Mark Sanchez si è catapultato nella cavità anale di un compagno, Dan Orlovsky ha messo a segno l’autosafety, Matt Dodge ha calciato il pallone a DeSean Jackson quando gli sarebbe bastato buttarlo fuori: in questo sport, in quanto sport, possono succedere cose stupide che escono dal dominio della logica – se volete vedere altri imbarazzanti errori vi consiglio di cliccare qua.
Non ha alcun senso forzare la cultura del sospetto che scandisce la nostra italica esistenza dentro la NFL, Jakobi Meyers ha semplicemente commesso un imbarazzante errore nel peggior momento possibile, tutto qua.

Il dubbio amletico dell’uovo e la gallina è stato prepotentemente soppiantato da quanto successo sabato sera fra Vikings e Colts: il miracolo è stato reso possibile dall’accecante brillantezza di Minnesota o dall’inettitudine di Indianapolis?
Il roster dei Minnesota Vikings pullula di talento grezzo, gente come Cook, Jefferson, Hockenson, Hunter, Kendricks, Harrison e Za’Darius Smith ha nelle proprie corde giocate in grado di spaccare in due la partita, ma non prendiamoci in giro, per rendere anche solo concepibile una rimonta del genere bisogna aver la fortuna di trovarsi davanti a una banda di inetti: questa versione degli Indianapolis Colts è proprio questo, una sgangherata ciurma di inetti.
Malgrado non voglia assolutamente mettere in dubbio il valore umano di Jeff Saturday – anche perché non lo conosco -, in due quarti l’interim coach dei Colts ha messo in chiaro una volta per tutte che per allenare una squadra NFL non basti aver giocato in NFL: quello dell’allenatore è un lavoro tutt’altro che facile a cui un limitatissimo numero di esseri umani può ambire.

Ripeto, Minnesota ha fatto il suo perché fino a prova contraria sono stati loro a mettere a segno i punti che hanno perfezionato la rimonta, ma definire imbarazzante la gestione della seconda metà di partita da parte dei Colts sarebbe un eufemismo.
Potrei spendere milioni di parole – giuro – sull’impresa dei Colts, ma prima lasciatemi sciorinare un paio di numeri.
Nella seconda metà di gioco Indianapolis ha giocato 28 snap offensivi in otto serie guadagnando la miseria di 77 yard, o se preferite 2.75 yard per snap: l’unica cosa che dovevano fare per assicurarsi una vittoria già conquistata era semplicemente dissanguare il cronometro continuando a correre, un paio di primi down qua e là erano tutto quello di cui avevano bisogno.
Anche la difesa merita di essere incensata perché, rendiamo onore al merito, il drive più lungo della seconda metà di Minnesota s’è protratto solamente per tre minuti e quaranta secondi, tempo ridicolo che ci restituisce una verità piuttosto mesta: i Vikings hanno passeggiato per un’intera metà sui Colts, poco più che svogliati sparring partner per trenta minuti più supplementari.
Ma dunque come hanno fatto a portarsi sul 33 a 0? Merito dei Vikings e della loro mezz’ora da Colts.

Credo che quello di sabato debba per forza di cose rappresentare il nuovo punto di partenza dei Colts, squadra e franchigia da troppo tempo in balia di eventi esterni che raramente li favoriscono.
La sconfitta, di per sé, non ha alcun valore perché va ad aggiungersi a una nutrita serie di elle in una stagione già da tempo buttata, ma la modalità con cui è arrivata non può lasciare indifferenti, entrare nella storia di questa lega per la ragione più umiliante possibile raramente è motivo d’orgoglio.
Con la mente relativamente fredda, quindi, mi sento di dire che a firmare questa tela siano stati gli Indianapolis Colts, ovviamente con l’aiuto dei volenterosi Minnesota Vikings.

Un weekend come quello appena vissuto ci ha aiutato a venire a patti con la nostra – a tratti debilitante – ossessione per questo sport perché, in tutta sincerità, esiste una disciplina sportiva in grado di regalarci così consistentemente intrecci usciti da un tomo di epica?
Certo, affermazioni del genere a poche ore di distanza dall’incommentabile spettacolo offertoci da Argentina e Francia possono suonare ridicole, ma per favore non commettiamo l’errore di dare per scontato la rinfrescante varietà che solamente la regular season sa offrirci.
Mancano solamente tre settimane al termine della mia parte preferita del calendario NFL e, se non lo avete notato, la nostalgia sta già trovando modo di sopraffarmi.
Ci sentiamo fra un paio di giorni.

7 thoughts on “Considerazioni (il più possibile) lucide su Week 15 del 2022 NFL

  1. Il talento senza culo è insufficiente. Vale pure il viceversa (vedi Kolo Muanì ribattezzato Kolonscopuì). Come definire altrimenti il percorso di vita di uno che gioca titolare a football nella NFL in Florida? Voglio dire: c’è chi ha speso tutta la carriera in Wisconsin, for pete’s sake!
    A me Burrow pare decisamente superiore ma Lawrence non ha mai sbracato neppure l’anno scorso e voleva dire tanto. Certo, poi arriva il momento del contrattone e se smonteranno la squadra per tenere Trevor ciao ciao SB.

  2. Lo spettacolo di Argentina-Francia è dovuto al fatto che le competizioni di calcio per nazionali sono simili alla Nfl: campioni sparsi per le varie squadre, equilibrio, imprevedibilità.

    Cosa che purtroppo non avviene nel calcio di club, dove le squadre più ricche si accaparrano tutti i migliori giocatori, con la conseguenza che in Italia da vent’anni vincono solo tre squadre e in Germania da dieci anni vince una sola squadra.

    Non credo che gli sport americani siano di base più belli di quelli europei. Non credo che football, baseball e hockey siano migliori di calcio, pallavolo e pallanuoto. E’ il sistema delle leghe americane che li rendono immensamente più entusiasmanti rispetto agli sport europei.

    Noi subiamo molto l’influenza culturale americana anche in ambiti in cui faremmo meglio a non lasciarci influenzare: poi invece non facciamo la cosa che sarebbe più sensata fare, ovvero copiare i loro sistemi sportivi!

  3. Tre cose: 1) la faccia di Belichick mentre andava a stringere la mano all’allenatore avversario domenica scorsa…era tutta un programma!!! Credo che Meyers avrà passato un bruttissimo quarto d’ora negli spogliatoi! Detto questo, si tratta di una sciocchezza immane che non getta ombre sul coaching staff Patriots, ma, a parere mio, accende i riflettori sull’intelligenza dei giocatori nella NFL: in tutti gli sport serve tecnica, fisico e testa! Nella NFL, data la fisicità richiesta per il gioco, soprattutto per certi ruoli si tende a sottolineare poco la necessità per un giocatore di essere “intelligente” sul campo! L’intelligenza tattica la si valuta su un QB sicuramente, magari su un Linebackers e su pochi altri ruoli….invece la testa di un giocatore è importantissima anche nel football. L’NFL è piena di giganti muscolosi che spesso spengono il cervello e domenica è successo a Meyers! Quante volte si vedono buchi in difesa clamorosi, rotte mal corse da WR, QB lasciati scoperti incredibilmente… è semplicemente parte del gioco anche questo! Stop. 2) Trevor Lawrence sta giocando bene e sono contento. Ha avuto un primo anno NFL disastroso, non per colpa sua. Di certo ha capito che la NFL è durissima, anche per una superstar universitaria come lui, ma ha braccio e occhio quindi a Jacksonville si godranno un bel futuro. L’ho visto giocare molto bene ultimamente: bel braccio sicuramente, buono scrambling, ottima visione di gioco! Adesso sparacchia meno e i risultati si vedono! 3) I miei Dolphins devono darsi una svegliata per centrare i meritati playoffs, però la sconfitta coi Bills è stata tanto amara quanto rincuorante: abbiamo perso per un soffio, sotto la neve e al gelo (non proprio le condizioni migliori per gente abituata ad allenarsi mediamente a 30 gradi all’ombra), contro un grande Allen e con un buon Tagovailoa. Sull’ultimo drive ci siamo beccati una penalità fatale difensiva che ci è costata 21 yds e la partita, però è stata la miglior partita a Buffalo degli ultimi 10 anni. Manca continuità, ma la squadra c’è e sono contentissimo della prestazione. Adesso però bisogna vincere almeno 2 partite sulle ultime 3.

  4. Impeccabile come al solito Mattia, sia nei commenti sia nei pronostici.. Ho azzeccato tutti quelli che ho giocato “consultandoti”, tranne ovviamente, il match dei cowboys:scellerati!! :-)
    Grazie! Luca

  5. Mattia Righetti leggo sempre con piacere i suoi articoli lei a differenza della maggior parte dei giornalisti di calcio che leggo da decadi è onesto con quello che scrive negli articoli passati… non affossa per poi salire sul carro dei vincitori dopo nascondendo la pietra(la penna in questo caso). Non è la prima volta che leggo che ammette di aver sbagliato su un suo giudizio passato ed è cosa rara Complimenti.

    Per quanto riguarda la finale del mondiale seguo il calcio da quando ero bambino e si è stata una grandiosa partita …ma c’è da dire che molte altre partite di questo mondiale sono state nioiose o unilaterali. La NFL la seguo dal 2014 e non mi perdo nessuna partita le guardo tutte in differita(schippando spot e interruzioni ovviamente) e io non mi annoio mai …partite che si alternano in continuazione altre che sembrano finite e poi bastan gli ultimi 2 minuti con 2 drive veloci e vince quello che già si dava per sconfitto…per non parlare dell ambiente( ho frequentato molto gli stadi in A ed è stato un incubo) …vabe mi sono dilungato troppo scusi in sintesi adoro questo sport di cui lei scrive gli articoli e vorrei tanto che al posto della Serie A ci sia la regular season di NFL

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