Qualche giorno fa vi avevo anticipato che la domenica che ci stavamo apprestando a vivere sarebbe stata il crocevia della stagione per molte squadre: qualcuno lassù deve avermi letto e preso un po’ troppo seriamente visto che un paio di infortuni hanno sparigliato le carte in tavola, se non direttamente ribaltato il tavolo stesso.
È stata una domenica veramente particolare quella che abbiamo vissuto, una domenica le cui ripercussioni si sentiranno per tutto il resto del campionato – playoff inclusi – e non potrebbe essere altrimenti, stiamo pur sempre parlando della lega dei quarterback: se a tutto ciò aggiungiamo quella rinfrescante spruzzatina di drama che solo i revenge game sanno dare il piatto si fa ricco piuttosto in fretta.
Addentriamoci nei meandri di Week 13.

Da un punto di vista prettamente umano l’infortunio di Jimmy Garoppolo mi devasta perché, dopo anni di critiche spesso ingenerose e grossolane, stava mettendo insieme la stagione della vita in un campionato che non avrebbe nemmeno dovuto spendere a San Francisco. Garoppolo, finalmente, aveva trovato una certa consistenza che seppur annacquata dagli evidenti limiti tecnici del quarterback stava permettendo a San Francisco di inanellare vittorie e compensare a un inizio di stagione non particolarmente brillante.
Nella mestizia tipica di un infortunio che pone fine alla stagione di un giocatore, la buona notizia è che se esiste una squadra progettata per sopravvivere all’assenza del proprio quarterback titolare è proprio quella allenata da Kyle Shanahan.

I San Francisco 49ers, infatti, non solo possono contare sulla miglior difesa della National Football League, ma pure sulla più profonda batteria di playmaker. Giocatori come Kittle, Samuel, Aiyuk e McCaffrey sono dei veri e propri demoni after the catch, gente a cui spesso basta semplicemente mettere in mano il pallone che al resto ci pensano loro: non voglio permettermi di sminuire Garoppolo – anche perché andando oltre al meme mi sono reso conto di avere un debole per lui – ma guardando le partite dei 49ers appariva evidente che al quarterback non fosse chiesto di completare lanci a la Mahomes o di mettersi sulle spalle l’intero reparto offensivo come si ostina a fare Josh Allen settimana dopo settimana, ma piuttosto di eseguire un ordinato compito di game management che il numero 10 portava a termine senza particolari problemi.
Fondamentale sarà invece l’apporto di Jordan Mason – splendido domenica con 51 yard su otto misere portate -, running back che avrà il compito di dare manforte a un CMC da proteggere a ogni costo dagli infortuni che lo hanno tormentato negli ultimi anni: con Mitchell nuovamente ai box e un rookie under center, è lecito aspettarsi che la centralità del gioco di corse nello schema offensivo di San Francisco farà sì che Mason riceva settimanalmente almeno una dozzina di tocchi.

San Francisco possiede un roster iper-competitivo e profondo, trascinato da un reparto difensivo che ha ricacciato nel 2020 l’attacco dei Dolphins, fino a domenica irrisolvibile enigma che stava schiacciando qualsiasi forma d’opposizione incontrata sul proprio cammino. Ovviamente rimpiangeranno l’inestimabile esperienza di un veterano come Garoppolo, ma sono piuttosto convinto che i ‘Niners non avranno troppi problemi a strappare il pass per i playoff e una volta dentro portare al limite qualsiasi squadra della NFC.
La singola cosa che mi ha maggiormente impressionato del campionato di Jimmy G è il fatto che in meno di tre mesi la narrativa si sia trasformata da «non vinceranno nemmeno quest’anno perché hanno Garoppolo» a «non vinceranno nemmeno quest’anno perché NON hanno Garoppolo»: non è banale come cosa.

È alquanto complicato esprimersi lucidamente sui Baltimore Ravens dopo lo squallore di partita a cui siamo stati costretti ad assistere domenica, Baltimore è riuscita nell’impresa di “regalarci” una partita competitiva contro una squadra apparentemente allergica ai touchdown che ogni settimana tocca un fondo così profondo da far arrossire quello di sette giorni prima. I Denver Broncos sono una squadra atroce, un’arcigna difesa maledetta autunno dopo autunno da attacchi comicamente spuntati – anche se la versione 2022 potrebbe portarsi a casa il titolo di peggior attacco del ventunesimo secolo NFL: ciò nonostante Baltimore per vincere ha avuto bisogno di un vero e proprio miracolo.

Il commovente – per un motivo o per l’altro gli occhi lacrimavano durante e dopo la partita – 10 a 9 con cui una squadra che continua a ribadire al mondo esterno le proprie ambizioni di Lombardi s’è sbarazzata di questa patetica versione dei Denver Broncos deve mettere in chiaro a priori qualcosa di ovvio: il risultato finale non è diretta conseguenza dell’infortunio di Jackson.
Con Jackson in campo forse avrebbero vinto con un punteggio un filo più stomachevole, forse il margine sarebbe stato superiore al punticino, forse non avrebbero reso così fiero Massimiliano Allegri, non lo so, ma pure con l’ex MVP under center l’attacco stava arrancando.
Nelle quasi tre serie giocate da Jackson Baltimore ha guadagnato un misero primo down che va a braccetto con la singola iarda di net passing – differenza fra yard lanciate e yard perse per i sack: il campione è tanto ridotto quanto indicativo dello stato di forma di un reparto che da troppe settimane a questa parte sta giocando oggettivamente male.

Il gioco di corse, tratto caratteristico su cui è fondata l’identità di questa squadra, non ingrana come ci si potrebbe aspettare e non dobbiamo stupirci del fatto che il trio Drake-Edwards-Hill abbia guadagnato la miseria di 43 yard su 14 portate poiché – Jackson a parte – quest’anno sono arrivate gran poche big play dal backfield. Il 2021 ci ha insegnato che questa squadra sia in grado di competere anche con Huntley under center in quanto quattro delle cinque sconfitte da lui raccolte sono arrivate con scarti inferiori ai tre punti, quindi l’infortunio di Jackson non compromette sicuramente la loro stagione – anche perché non è season ending – che a mio avviso è già compromessa dalle lacune che attanagliano questo roster.
Forse sono eccessivamente pessimista – che novità – a seguito di una partita così brutta da avermi cambiato per sempre come persona, ma stando a quanto visto nelle ultime settimane appare ben chiaro che i Ravens al momento si trovino giusto un paio di gradini sotto i vari Chiefs, Bills, Dolphins e anche Bengals. L’infortunio di Jackson non cambia molto, la situazione era già drammatica prima che s’acciaccasse – pure questa volta all’interno della tasca, incredibile.

Domenica c’ha pure regalato tre gustosi revenge game che ci hanno messo davanti a tre sfumature diverse di vendetta: facciamo luce.
Non so se sia appropriato classificare come revenge game l’esordio di Deshaun Watson ai Cleveland Browns contro i (fino a non troppo tempo fa) suoi Houston Texans, soprattutto perché un’ondata di questioni extra-sportive hanno elevato il suo stallo in Texas a qualcosa di ben più grave che un normale screzio fra giocatore e front office.
Se il buongiorno si vede dal mattino domenica non s’è visto alcun buongiorno, l’ingresso di Watson non ha favorito il salto di qualità che tutti si auspicavano anche se mi rendo conto che reagire così a una sola partita sia alquanto ingiusto… anche nei confronti di Deshaun Watson.
La ruggine era da mettere in preventivo, Watson non scendeva in campo per una partita vera da circa due anni e durante la sospensione non si è allenato con il resto della squadra, non avendo così l’opportunità di affinare l’intesa con i propri ricevitori.

Un esordio mesto è assolutamente accettabile e, in un certo senso, il fatto che le speranze playoff dei Browns siano quasi inesistenti è quasi un vantaggio per Watson che potrà utilizzare quest’ultimo mese di regular season per ritrovare la forma dei giorni migliori e presentarsi al 2023 in condizioni ben più ideali di quello mostrate domenica.
Se i Browns si fossero affacciati al testa a testa con i Texans sul 6-5 o sul 7-4 provate a immaginare le reazioni dell’opinione pubblica NFL a una partita del genere: c’è chi avrebbe definito la trade dello scorso marzo come la peggiore nella storia della lega per questioni tecniche oltre che a quelle etiche.
Serve calma.

Non credo che esista un singolo giocatore in NFL che in questi giorni possa sentirsi meglio di A.J. Brown.
Domenica Brown ha messo insieme un revenge game che mi ha ricordato molto da vicino quello di Steve Smith contro i suoi Carolina Panthers, un vero e proprio massacro sia a livello individuale che collettivo: fra Titans ed Eagles non c’è stata partita e in questo senso l’apporto di A.J. Brown è stato fondamentale.
Brown domenica è stato il miglior giocatore in campo, un’ineluttabile macchina da big play in un pomeriggio in cui ogni completo di Hurts sembrava essere di cinquanta yard.

Nulla riassume meglio il suo dominio che la sequenza che sto per esporvi.
Sul 7 a 7, quando ancora c’era una partita, Hurts cerca e trova A.J. Brown in profondità che non solo riceve un pallone complicatissimo ma, apparentemente, riesce a contorcere gli arti inferiori in modo da permettere ai propri piedi di completare la ricezione per un touchdown che, però, dopo il controllo degli arbitri gli viene tolto.
Nessun problema, la gioia è rimandata solamente di uno snap poiché Hurts lo cerca e trova di nuovo, questa volta a seguito di un double move così violento e prepotente che in alcuni ordinamenti potrebbe costituirebbe un reato.

Brown ieri ha esibito al mondo e alla sua ex squadra tutte le sfaccettature di uno skillset veramente unico che lo rende uno dei più letali playmaker attualmente in circolazione, quel genere di ricevitore capace di elevare immediatamente il fortunato quarterback che lo rifornisce di palloni: è un caso che Jalen Hurts in un battibaleno sia passato dall’essere un oggetto misterioso a un serissimo candidato per l’MVP?
Esattamente come successo a Josh Allen con Stefon Diggs, l’innesto di A.J. Brown ha fatto faville per il giovane signal caller degli Eagles che anche grazie a un ricevitore dalle mani sicure infermabile in campo aperto ha dato una svolta all’intera franchigia della Pennsylvania che ora può fregiarsi di un franchise quarterback.

Doveva essere il revenge game di tutti i revenge game ma, purtroppo per i Chiefs, i Bengals sembrano possedere l’antidoto per continuare a beffare Reid e Mahomes. Per la terza volta in meno di un anno, Cincinnati ha battuto di tre lunghezze Kansas City – stesso punteggio del Championship Game – confermandosi come bestia nera di una squadra che a volte dà l’idea di essere imbattibile: qual è il segreto della resurrezione Bengals?
Indubbiamente il fatto che nelle ultime quattro partite – quattro vittorie – Burrow abbia subito solamente cinque sack ha aiutato, in quanto garantirgli una protezione perlomeno adeguata gli permette di sfruttare nel migliore dei modi l’impressionante batteria di ricevitori a sua disposizione e, soprattutto, di stare in campo.

La linea d’attacco dei Bengals domenica ha dominato la linea di scrimmage concedendo solamente un sack – preso più o meno volontariamente da Burrow per lasciar correre il cronometro negli ultimissimi minuti – e permettendo a Perine di correre con estrema efficacia: il fatto che abbia raccolto 5.0 yard a portata in una giornata in cui ha ricevuto l’handoff 21 volte è assolutamente impressionante, soprattutto se si considera che la corsa più lunga s’è protratta solamente per dieci yard. Correre efficacemente contro i Chiefs è di capitale importanza per limitare Mahomes che sarà pure fenomenale ma non può muovere le catene finché è relegato a bordocampo. Uno non può che chiedersi cos’avrebbe combinato un running back più talentuoso come Mixon dietro una linea d’attacco così in palla.

Il terzo successo consecutivo sui primi della classe non solo ha rovinato i sogni di vendetta di Mahomes, ma ha pure ribadito il fatto che i Bengals dopo un periodo d’assestamento protrattosi per tutto settembre e ottobre siano ufficialmente tornati nell’Olimpo della AFC, conference che fino a prova contraria è di loro proprietà.
Con un quarterback generazionale under center Cincinnati può giocarsela ad armi pari assolutamente contro chiunque, quindi non c’è da stupirsi se grazie a una linea d’attacco finalmente in sintonia e una D-line benedetta dal rientro di Reader Cincinnati sia apparentemente diventata incapace di perdere.

10 thoughts on “Considerazioni (il più possibile) lucide su Week 13 del 2022

  1. SF49 era una sicura contender al Lombardi, perché pur essendo vero che Jimmy G non sia dotato di un talento sopraffino, è pur vero che in questi anni ha imparato ad eseguire gli schemi di Shanahan in maniera quasi esemplare. In breve, poco spettacolo ma tanta concretezza, unita a volte a errori di scelta e certamente senza quella capacità di improvvisare che gli permetterebbe di uscire da situazioni di copertura sul ricevitore previsto.
    Però il suo infortunio, la famiglia DeBartolo-York dovrebbe programmare una gita a Lourdes con la squadraal completo, rende la corsa la gran ballo veramente ardua. Mettendo a rischio anche l’incolumità dei runners: Mc Caffrey e Samuel in particolare vista la duttilità nel ricoprire più ruoli. Shanahan ricorrerà molto al gioco di corse (più di quanto già non faccia di solito) e Purdy dovrà essere chirurgico quelle volte che lo schema richiederà un lancio, magari in end zone.
    In Regular Season tutto ciò potrebbe anche funzionare, ma quando il gioco si farà duro (playoff) credo non avremo chance.

  2. Con l’assurda vittoria di domenica i Ravens vanno a pari con almeno due precedenti sconfitte maturate nei secondi finali.
    Il limite piú evidente dell’era Jackson è il gioco coi WR, limite aggirato durante la regular season, ma che presenta il conto ai playoff.
    L’idea del GM DeCosta era sviluppare una squadra di wr scelti al draft, cosa che non è mai stata la specialitá della casa. Per diversi motivi, nessuno tra i vari Brown, Boykin, Duvernay, Proche, Wallace, Bateman è stato all’altezza delle aspettative. Non è mai stata offerta una possibilitá ad alcuno dei numerosi wr undrafted, se non in preseason.
    Ho il sospetto che Harbaugh non sia della linea di pensiero di DeCosta e si fidi piú di wr veterani che di giovani a rischio intercetto. Tant’è che al momento il wr1 è Demarcus Robinson e non Duvernay.
    Sia come sia, diventa necessario il prossimo anno investire nella posizione, al di lá di quello che si fará al draft.

    • Concordo con te, ma sembra che non è la filosofia Ravens…
      Poi mi chiedo se lo schema d’attaco dei Ravens (con Jackson protagonista) scoraggi alcuni WR nel venire a giocare a Baltimore..mah!!

      • Il problema è che mettere sotto contratto ricevitori élite è estremamente costoso e per com’è costruito il roster dei Ravens mi sembra molto difficile anche solo pensarci. Sono totalmente d’accordo con voi, servirebbe sti maledetti veterani, abbiamo visto cos’hanno fatto AJ Brown e Diggs a Hurts e Allen, ma a quanto pare è meglio spendere millemila milioni sulla secondaria – che poi si fa bucare a venti secondi dalla fine OGNI VOLTA – che sui ricevitori. Mi sembra che l’obiettivo del front office non sia veramente vincere ma dimostrare di poter vincere con la Ravens’ way, ammesso ne esista una. La lega punta su ricevitori e pass rusher? Noi puntiamo su tight end e off ball linebacker: siamo sicuri che strapagare Roquan Smith – giocatore che adoro, sia chiaro – sia meglio che strapagare un top WR?
        Sono parecchio affranto, ve lo confesso, Huntley ci terrà comunque competitivi ma è chiaro che una volta ai playoff – se ci si arriva – questa squadra farà la stessa fine delle precedenti.

        (Sarei felicissimo di essere smentito, intanto è già abbastanza chiaro che di sto sport non ci capisca niente.)

        • Mattia il tuo discorso non fà una piega.
          L’unica cosa che io spero insieme a te è essere smentito..ma fino ad oggi è come diciamo noi.

  3. Rispondo da completo profano al discorso dei Niners, il paradossale «non vinceranno nemmeno quest’anno perché hanno Garoppolo» e «non vinceranno nemmeno quest’anno perché NON hanno Garoppolo». Mi pare sottenda la diffusa sensazione, che poi sia vera sarebbe tutto da dimostrare, che questi avrebbero bisogno di un QB di assoluto livello per completare un roster già di assoluto livello.
    Personalmente credo che non sia scritto da nessuna parte che per vincere si debba per forza avere un Montana dei tempi migliori. Però mi pare piuttosto innegabile che soprattutto in questo periodo storico, l’importanza del QB ai fini dell’obiettivo grosso sia piuttosto pesante.

    • Totalmente d’accordo con il tuo ultimo punto, per questo ero intrigato da Trey Lance, il quarterback “perfetto per loro” modellato da Shanahan secondo le proprie esigenze. Con Jimmy G sono arrivati a un lancio dal vincere il Super Bowl e a un Championship Game, quindi effettivamente è vero, non hanno bisogno del Joe Burrow di turno per arrivare fino in fondo, anche se con il Joe Burrow di turno… Chissà.
      Grazie per il commento!

      • Embeh! Avessimo Burrow….
        Il discorso è molto semplice, anche se nel football americano di semplice non c’è nulla, Jimmy G poteva essere under center quest’anno, ma gli dei del football hanno deciso il contrario. La corsa dei 49ers finirà ai playoff, peggio sarebbe una sconfitta al SB. Trey Lance lo vedremo all’opera l’anno prossimo, sempre che la dea sfiga stia ben lontana da Sanfran, ma abbiamo perso l’ennesimo anno per arrivare a questo benedetto sesto titolo.

  4. Io una chance a Brock Purdy la darei, magari ci stupirá.. mi ha sorpreso il licenziamento da parte dei Titans di Jon Robinson, secondo me come GM ha fatto un buon lavoro

    • Ciao, dovrebbe smentire quella statistica impietosa che dice che NESSUN rookie quarterback ma mai guidato una squadra al Superbowl. Si vedrà.

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