Se solo il football potesse iniziare alle 18:00 ogni domenica: partiamo immediatamente.

Il nostro viaggio non può che prendere il via dalla partita che tutti stavamo aspettando, ossia il testa a testa fra Panthers e Falcons che avrebbe assegnato lo scettro – provvisorio – dell’incantevole NFC South: i Falcons si sono portati a casa un 37 a 34 a cui si potrebbe tributare un romanzo a puntate.
Per economia mi prendo la libertà di un inizio in medias res che coincide con il touchdown del 21 pari firmato da D’Onta Foreman nei primi minuti dell’ultimo quarto, accompagnato dalla conversione da due punti che ha impattato la partita sul pareggio. La risposta di Atlanta è arrivata pressoché immediatamente e si è concretizzata sotto forma di field goal, al quale Carolina ha risposto con un ulteriore touchdown di Foreman – tre in giornata per lui – che sembrava potesse valere il vantaggio vincente: sicuramente.

Atlanta, non intenzionata a sprecare l’opportunità di issarsi in cima alla division, ha rimesso il muso davanti grazie a un capolavoro after the catch di Damiere Byrd, bravissimo a circumnavigare l’intero reparto difensivo avversario e portare in end zone il pallone del +3, trasformatosi pressoché immediatamente in +6 grazie a un turnover of downs di Carolina seguito da un piazzato di Koo arrivato con soli 36 secondi da giocare.
Lo ammetto, a quel punto sembrava finita, Carolina doveva percorrere il campo in una trentina di secondi senza l’ausilio dei timeout e, considerando lo stato dell’arte dell’attacco dei Panthers, immaginarseli in end zone era troppo difficile anche dopo una prestazione assolutamente positiva come quella messa insieme fino a quel punto: perfetto, preparatevi alla pazzia.

Con una dozzina di secondi sul cronometro Walker è scappato verso sinistra e dopo un caricamento molto simile a quello di una catapulta ha disegnato un arcobaleno perfetto ricevuto dal raddoppiatissimo DJ Moore nella terra promessa: bollarla come semplice Hail Mary sarebbe riduttivo, la parabola creata dal braccio destro di Walker è un vero e proprio capolavoro da conservare al museo – anche se al giorno d’oggi non sembrano più essere luoghi particolarmente sicuri -, un lancio senza precedenti arrivato dal più insospettabile dei quarterback.
I legittimi festeggiamenti, dopo aver concepito un vero e proprio miracolo, fanno passare in secondo piano una tanto semplice quanta decisiva verità: per scrivere la parola fine all’incontro e intascare la vittoria è comunque necessario realizzare l’extra point e, sciaguratamente, DJ Moore sembra essersene dimenticato.
Il malservito ricevitore si leva il casco, impazzisce e scalpita come uno consapevole di aver appena regalato al mondo la giocata della vita, mesi di frustrazione parzialmente riscattati da un singolo touchdown che alla faccia di tutto e tutti li trascina in vetta alla division e… 15 yard di penalità per condotta antisportiva.
Queste 15 yard Atlanta le scarica saggiamente all’extra point che di colpo si trasforma in un affatto banale field goal da 48 yard: Pineiro lo fallisce.
Si va ai supplementari.

Palla ad Atlanta che, incredula di essere ancora in campo, non sembra intenzionata a perdere tempo e infatti Mariota cerca Byrd in profondità ma trova le mani di Henderson che, purtroppo per lui, gioca ai Carolina Panthers: la conseguente cavalcata da 54 yard dell’ex scelta al primo round dei Jaguars teletrasporta i Panthers nella red zone avversaria, Pineiro può riscattarsi.
Dopo un paio di corse di formalità Pineiro trotterella in campo dove dovrà convertire un tutto sommato abbordabile piazzato da 32 yard che, però, nasce proprio male: palla troppo a sinistra, niente da fare, si va avanti a giocare.
I Falcons, ringalluzziti dal secondo regalo in pochi minuti, mettono definitivamente la testa sulle spalle e con una galoppata da 30 yard di Mariota su terzo down si affacciano alla red zone dove l’affidabile Koo chiude i conti con un preciso piazzato da 41 yard.
37 a 34 Falcons, non credo che dimenticheremo tanto in fretta questa partita: a metà stagione i Falcons conducono in NFC South davanti ai Tampa Bay Buccaneers.
Tutto come da copione.

Per calmarvi faccio una veloce capatina a New Orleans dove dei maturi Saints hanno umiliato 24 a 0 gli impresentabili Las Vegas Raiders: se questo era il loro modo di alzare definitivamente bandiera bianca le mie congratulazioni, non potevano scegliere modalità comunicativa più incisiva, direi che ora non ci sia più spazio per interpretazione e dubbi.
I Raiders ieri hanno racimolato 183 yard di total offense, Carr ha guadagnato meno di 4.0 yard per tentativo, Davante Adams ha chiuso il pomeriggio con una ricezione per tre yard, insomma, si può affermare con apprezzabile precisione che Las Vegas non si sia nemmeno presa la briga di scendere in campo.
Prestazione vecchio stile di un ispiratissimo Alvin Kamara che ha guadagnato 158 yard totali – di cui 96 su ricezione – condite da un apprezzabile tris di touchdown.
Sono consapevole che per una squadra della West Coast giocare alle una di pomeriggio non sia mai banale, ma quanto fattoci vedere ieri dai Raiders è inaccettabile, soprattutto se proviene da chi dovrebbe avere l’acqua alla gola dopo un inizio di stagione così deludente: partita emblema dello stato della deludentissima AFC West.

A proposito di AFC West, liquidiamo in fretta la pratica londinese fra Jaguars e Broncos: i Broncos, incredibilmente, hanno vinto una partita di football americano che non ha fatto alcun favore alla proliferazione della disciplina nel vecchio continente. Il 21 a 17 finale è figlio di un incontro oggettivamente brutto fra due squadre che, diciamolo, non giocano particolarmente bene a football americano. L’inizio di matrice Jaguars è stato vanificato da un apprezzabile rientro dei Broncos, per una volta seri nella vita soprattutto in occasione del game winning drive conclusosi con il touchdown della vittoria di Latty Murray.
Passiamo ad altro.

Vittoria autoritaria dei Dallas Cowboys su dei rognosi Chicago Bears: non facciamoci fuorviare dal 49 a 29 finale, dopo essere stata sotto di due possessi in più occasioni Chicago si è anche portata sotto solamente di cinque lunghezze, ma per loro sfortuna questi Cowboys sono troppo talentuosi per permettere a squadre poco attrezzate come loro di sognare upset del genere.
Chicago ha giocato una partita intelligente e ordinata nella quale l’obiettivo era tenere quanto più possibile a bordocampo Prescott e compagni, semplicemente troppo esplosivi per essere contenuti da un reparto difensivo che pochi giorni fa ha messo la museruola a quello dei Patriots.
Particolarmente ispirato Tony Pollard che, a questo punto, dovrebbe essere l’indiscusso faro del backfield: con Zeke costretto ai box da un infortunio all’elettrizzante Pollard sono bastate 14 misere portate per portarsi a casa 131 yard e tre touchdown.

Un’altra vittoria netta ha avuto luogo a Philadelphia dove i sempre più esaltati – ed esaltanti – Eagles hanno passeggiato sui resti dei Pittsburgh Steelers assicurandosi la settima vittoria in altrettante partite giocate con un 35 a 13 che lascia poco spazio all’immaginazione.
Non c’è quasi mai stata partita, in poco più di venti minuti di gioco Hurts aveva già lanciato tre touchdown, tre bon bon da più di venti yard ricevuti dall’immenso A.J. Brown – acquisto oggi più che mai azzeccato: nella seconda metà di gioco Philadelphia ha attivato il cruise control che li ha condotti a una serena vittoria contro una squadra che non ha la potenza di fuoco necessaria per trovare modo di rientrare in partite del genere.

Le emozioni ci sono invece state regalate da Dolphins e Lions, protagoniste prima di un gradevole botta e riposta e poi di uno snervante stallo alla messicana: nel 31 a 27 con cui i Dolphins hanno martoriato ulteriormente il cuore collettivo dei Lions troviamo un po’ di tutto, in primo luogo un grandissimo Tagovailoa.
A un certo punto sotto 14 a 0 e 21 a 7, Tua non si è mai perso d’animo e con encomiabile lucidità ha pazientemente colmato il gap muovendo le catene con Hill – 12 ricezioni per 188 yard – e aggiungendo punti con Waddle, autore di due touchdown: la meta del definitivo sorpasso è arrivata negli ultimi secondi del terzo quarto ed è stata realizzata da Mike Gesicki.
M’è parso appropriato fornirvi questa informazione perché 44 dei 58 punti totali sono stati messi a segno nella prima metà di gioco – 35 dei quali nei primi venti minuti – dominata dai reparti offensivi: nella seconda metà, invece, sono salite in cattedra le difese – soprattutto quella degli ospiti – abbassando le proverbiali saracinesche e coinvolgendo nel discorso pure i punter, spettatori non paganti nei primi trenta minuti di gioco.
La speranze di Detroit sono evaporate a seguito di un goffo fallimento su quarto down nella metà campo di Miami: che senso ha cercare la profondità quando per muovere le catene basta una singola iarda?

Perfetto, i Minnesota Vikings fanno sul serio.
Il 34 a 26 con cui hanno giustiziato gli Arizona Cardinals ci mette davanti all’incontrovertibile fatto che la NFC North sia sempre più di loro proprietà: Minnesota ieri ha vinto quel genere di partita che l’anno scorso avrebbe trovato inevitabilmente modo di perdere.
Cousins e compagni hanno condotto per quasi tutto il pomeriggio, anche se Arizona s’è fatta sotto in più occasioni, soprattutto nell’ultimo quarto quando dopo un piazzato di Prater il passivo era stato ridotto a due miseri punti. Come spesso succede, però, i Cardinals non sono stati in grado di fare trentuno e una volta ripreso il pallone hanno iniziato a inanellare errori: un intercetto e un turnover of downs, intervallati dal touchdown del +8 di Minnesota realizzato da Osborn, hanno fatto evaporare ogni velleità di rimonta.

Ero convinto fosse arrivato il giorno in cui, finalmente, sarebbero riusciti a esorcizzare i propri demoni, ma sbagliavo: la corsa dei lanciatissimi New York Jets è stata fermata dai rinsaviti New England Patriots, passati a domicilio con un preciso 22 a 17.
Odio dirlo, ma a costare la partita ai Jets è stato Zach Wilson che con i suoi tre intercetti ha regalato all’impallato attacco dei Patriots opportunità golose di “punti gratis”: senza Breece Hall a condurre un gioco di corse a tratti dominante i Jets hanno dovuto fare affidamento al proprio quarterback che, però, non è stato nemmeno capace di completare la metà dei lanci tentati.
Ordinata e tutto sommato passabile la prova di Mac Jones al quale per condurre la propria squadra alla vittoria è bastato poco più del minimo sindacale: servirà molto di più affinché New England possa flirtare con la serietà, non giocheranno contro i Zach Wilson ogni domenica.

In un modo o nell’altro continuano a vincere partite: se vi state chiedendo come sia possibile che i Tennessee Titans, dopo il 17 a 10 ai danni degli Houston Texans, si trovino sul 5-2 sappiate che non siete i soli.
Non ho molto da dire sull’esordio da titolare di Malik Willis, al rookie è stato chiesto quasi esclusivamente di dare l’handoff al running back di turno: 314 delle 354 yard di total offense guadagnate da Tennessee sono arrivate via terra. Monumentale la prova di Derrick Henry che con 32 portate per 219 yard e due touchdown ha abbattuto la fioca resistenza di un front seven non sufficientemente attrezzato per contenerlo.
Contro un’avversaria spuntata e oggettivamente scadente come Houston ciò basta – e avanza – per agguantare la vittoria, ma non commettiamo l’errore di illuderci che vincere partite tentando 10 lanci e correndo 45 volte sia un qualcosa di sostenibile o anche solo realizzabile contro squadre vere: Houston ha convertito solamente due dei 14 terzi down giocati.
Mi aspettavo di più sia da Mills che da loro come squadra. 

Vittoria tutta cuore dei Commanders che rovinano l’esordio da titolare a Ehlinger: il fondamentale 17 a 16 con cui hanno giustiziato gli Indianapolis Colts m’ha convinto del fatto che, con tutti i suoi limiti, Heinicke sia un’opzione preferibile a Carson Wentz per vincere partite di football americano.
E pensare che Indianapolis era così vicina al successo… Il touchdown del 16 a 7 realizzato da Nyheim Hines a una decina abbondante di minuti dal termine sembrava aver messo in ghiaccio la vittoria dei Colts, soprattutto in luce dell’avvilente sterilità offensiva di Washington che, dal nulla, s’è svegliata: prima un piazzato da Slye li ha riportati sotto di un possesso poi, dopo un three n’ out di Indianapolis, Heinicki s’è caricato sulle spalle l’intera città assemblando un fantastico game winning drive culminato in un suo touchdown da una iarda.
Washington è sul 4-4, record che li tiene in corsa per tutto.

Niente da fare, in regular season Sean McVay non ha risposte a Kyle Shanahan: il netto 31 a 14 con cui San Francisco ha ripreso la propria corsa a scapito dei Rams è il prototipo del sogno bagnato di coach Shanahan, una prestazione totale in cui tutti e tre i reparti si sono dati una mano per agguantare la fondamentale doppiavù.
Prestazione tridimensionale di Christian McCaffrey che s’è tolto la soddisfazione di realizzare un touchdown lanciando il pallone, uno “correndo il pallone” e un altro – incredibile – ricevendo il pallone: una singola partita non può bastare a giustificare una trade, ma diciamo che dopo ieri è ben più facile intuire come mai San Francisco abbia sacrificato così tante scelte per l’ex running back dei Panthers.
Molto ordinato Jimmy Garoppolo che con l’84% di completi e 235 robuste yard impreziosite da due touchdown non ha commesso alcun tipo d’errore, esattamente ciò che spera Kyle Shanahan durante la stesura del gameplan.
Notte fonda per i Rams che dopo un buon inizio pure questa settimana si sono spenti uscendo progressivamente dall’incontro.

Finalmente una risposta in una stagione nella quale tutto è assolutamente possibile: GenoMania è più forte anche del fortunato cinismo dei New York Giants. Grazie a un’atipica ottima prestazione del reparto difensivo Seattle ha spezzato il filotto di vittorie consecutive dei Giants portandosi a casa un fondamentale 27 a 13.
I Seahawks hanno giocato una partita vera, senza fronzoli, nella quale hanno massimizzato ogni singolo errore avversario: Daniel Jones, costantemente sotto pressione, non è stato capace di trovare il ritmo e se a ciò aggiungiamo i due fumble di Richie James comprendere le ragioni della vittoria della banda di Pete Carroll non è poi così difficile.
Vincere di due possessi una partita chiusa con un mesto 3 su 13 su terzo down dovrebbe dirci tutto quello che dobbiamo sapere sull’ottimo lavoro svolto dal reparto difensivo.

Niente da fare per i Green Bay Packers che malgrado un Josh Allen non particolarmente brillante – per i suoi standard – sono incappati nella quarta sconfitta consecutiva: 27 a 17 Bills il punteggio finale.
Green Bay ha giocato una partita tutto sommato buona nella quale l’obiettivo era dominare il tempo di possesso servendosi delle proprie migliori opzioni offensive, Jones e Dillon, ma per loro sfortuna questi Bills sono troppo esplosivi anche quando non giocano particolarmente bene – sto facendo riferimento al 2 su 7 su terzo down e ai due atipici intercetti di Allen: ai Bills per vincere è bastata una prima metà da Bills conclusa sul 24 a 7.
Negli ultimi trenta secondi di gioco si sono limitati a gestire l’ingente vantaggio accumulato.

4 thoughts on “Il riassunto dell’ottava domenica del 2022 NFL

  1. Bellissimo l’orario delle 18.00: sono riuscito a vedermi le sintesi di tutte le partite già ieri sera (tranne Buffalo – Green Bay, ovviamente).

    Una stagione assurda nel suo complesso, ma le vette di assurdità che ha raggiunto Atlanta – Carolina credo siano difficilmente riavvicinabili.

    Non mi è piaciuta la sufficienza con cui i Bills hanno giocato l’ultimo quarto: il credersi troppo forti può essere il grande limite di questa squadra.

    Dopo aver visto giocare Lawrence, Zach Wilson e Mac Jones, comincio a nutrire qualche dubbio sulla tanto celebrata generazione di qb del 2021. Calcolando che anche Fields non mi sembra un fenomeno e che Lance non s’è praticamente mai visto. La sensazione è che la classe del 2020 sia un paio di gradini superiore.

    • Lawrence è buono (un po’ meno di Burrow ma quello è un fenomeno e ci sta) ma gioca in una squadra piena di buchi. Se li riempiono si farà valere.
      Gli altri stanno nella stessa categoria Mayfield: lampi estemporanei ma così discontinui che non vale la pena investirci a fondo. Tanto un giocatore da solo non può far vincere le partite di football (può farle perdere, questo sì).
      Ah, non intendevo Fields: quello è un Lamar Jackson 3 volte più scarso.

  2. Certo che i Raiders (coi vari Carr, Adams, Jacobs..) non segnare neanche 3 punti coi Saints.. prima o poi vedo McDaniels rientrare da papá Belichick, come Patricia, Judge..

    • I Raiders si sono suicidati cacciando Gruden: dopo anni meh stava cominciando a cavare qualcosa dal team. Finita lì. Già stare a LV non è il massimo, poi continuare a fare e disfare…
      D’altra parte oggi pure un Ken Stabler sarebbe squalificato a vita dalla Lega, sicchè dev’essere una sorta di karma normativo posticipato.

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