Nulla era più rassicurante – e al contempo divertente – dell’osservare da fuori, con la divertita meraviglia tipica di un bambino alla prima visita all’acquario nella propria esistenza, le sguaiate reazioni della stampa newyorkese agli inevitabili e innumerevoli fallimenti dei Giants e dei Jets – e in minor misura dei Bills.
L’originalità e spregiudicatezza dei titoli davano a entità come il New York Post motivo d’esistere e chiavi di lettura facilmente digeribili a un pubblico bramoso di individuare un colpevole: quando invece si vince, controintuitivamente, trovare spiegazioni diventa molto più complicato perché volete mettere sparare a zero al posto di assemblare un pensiero complesso e articolato su un qualcosa di effimero come la differenza fra una vittoria e una sconfitta in NFL?

Ecco, l’obiettivo di oggi sarà proprio quello, tentare di trovare una spiegazione alle impressionanti vittorie e inizi di stagione di Jets, Giants e Bills – oltre ovviamente a spunti vari ed eventuali.
Guardate l’header di quest’articolo.
Nel caso ve lo foste perso, l’istrionico Sauce Gardner ha deciso di festeggiare la tanto sorprendente quanto netta vittoria dei suoi Jets sui Packers dirigendosi negli spogliatoi con il sacro cheesehead sul capo: Allen Lazard, per proteggere il martoriato orgoglio dei padroni di casa, glielo ha seccamente rimosso ma ormai il danno era fatto.
A voi il video nel caso ve lo foste perso.

Nel gesto di Gardner troviamo machismo, testosterone, gioia e sicurezza dei propri mezzi, insomma, gran parte degli ingredienti che mescolati e lasciati bollire in un calderone ci restituiscono l’unicità della National Football League: non stiamo sicuramente parlando di un gesto di classe, tutt’altro, ma dopo il punto lasciatemi spiegare come mai questo suo sberleffo possa essere considerato quasi appropriato, doveroso.

Da più di un decennio i New York Jets sono l’indiscusso e inarrivabile zimbello della lega, una squadra così incompetente su tutte e tre le dimensioni che a momenti “Jets” potrebbe elevarsi a sinonimo di termini poco gratificanti come disfunzionalità, incompetenza e inettitudine: ammesso che nessuna squadra abbia mai vinto il Super Bowl esclusivamente grazie a un buon avvio da 4-2, questa franchigia necessitava disperatamente di un singolo episodio – anche extra-sportivo come quello di cui sto parlando – che andasse a raschiare via parte dell’alone lasciato dall’inimitabile Butt Fumble.
Questa franchigia aveva assoluto bisogno di un qualcosa che, seppur arrogante, andasse a fare un po’ di rumore fondamentale per costruire quell’entusiasmo in grado di dare concretezza ai sogni di gloria di qualsiasi squadra.

Questi non sono i Jets a cui ci eravamo abituati, questi sono i Jets di Robert Saleh, allenatore coriaceo, vero e con una precisa idea di football che sta sempre più trovando riscontro in campo domenica dopo domenica. New York è una squadra burbera e sfacciata che vuole dominare la linea di scrimmage, una squadra che vuole opprimere gli avversari con la propria fisicità sia che si tratti di muovere le catene correndo che di mettere consistentemente sotto pressione il quarterback avversario – anche se questi è un back to back MVP.

Nella vittoria di domenica contro i Packers troviamo anche tanti demeriti dei padroni di casa, eccessivamente brutti per poter attribuire tutta questa sorprendente grossolanità all’addio di Davante Adams, ma non commettiamo l’errore di sottovalutare la crescita del reparto difensivo di Saleh: la secondaria si sta velocemente affermando fra le migliori della lega, mentre il front seven non concede ai run game avversari nemmeno le quattro canoniche yard a portata.
Il mix fra il fresco talento di giovani come Gardner, Quincy e Quinnen Williams, Whitehead e Reed unito all’esperienza e spessore dei vari Mosley, Lawson e Joyner sta consegnando alla NFL quella che potrebbe essere la nuova grande difesa e qualora Zach Wilson trovasse maggiore consistenza… ok, meglio frenare prima di prendere troppa velocità.
Sembra incredibile dirlo, ma i Jets stanno giocando un football di qualità, senza fronzoli e clinicamente vincente: ho già accennato al fatto che siano incredibilmente giovani?

Spiegare il successo dei cugini dal sangue blu, invece, è un qualcosa che chi sta scrivendo non crede di essere umanamente in grado di fare.
Non riesco a capire come, ogni lunedì mattina faccio il possibile per autoconvincermi che la domenica successiva sarà per forza di cose quella in cui verranno svelati gli altarini e l’esaltante favola dei New York Giants verrà sbandierata al mondo intero per quello che è, una favola che può ispirare solamente fino a quando il mondo reale non decide di farci trovare a tavola un paio di piatti di fredda realtà: dovevano essere i miei Baltimore Ravens i prescelti, gli autori dei rintocchi di campana che avrebbero scandito la mezzanotte ma è successo l’esatto contrario.
I New York Football Giants hanno rigettato nello sconforto un’intera tifoseria, esasperata dall’inettitudine di una squadra che con un pizzico in più di maturità e cinismo guarderebbe dall’alto in basso il resto della NFL in forza di un record perfetto condiviso con gli Eagles: la realtà dei fatti è piuttosto semplice, i Baltimore Ravens sono una squadra di football assolutamente e indiscutibilmente mediocre che perde partite di football come le perderebbe una qualsiasi squadra mediocre.

La banda di Daboll, seppur con limiti tecnici clamorosi, gioca un football ordinato e disciplinato grazie al quale riesce consistentemente a far sì che gli avversari finiscano per battere loro stessi.
Non c’è assolutamente nulla di straordinario nel loro modo di giocare, solidità e ordine stanno sopperendo a gravissime lacune tecniche – la depth chart fra i ricevitori è deprimente – anche se il vero valore aggiunto, come già vi avevo detto la scorsa settimana, è la presenza di Brian Daboll in panchina, finora ineccepibile in quel situational football – football situazionale? – tanto caro al suo padre putativo Bill Belichick.
Forse il record non rifletterà con chissà quanta precisione il loro valore assoluto, ma lasciatemi dire che questi Giants stanno facendo nel modo giusto quella miriade di piccole cose che rendono la vittoria finale l’unico risultato possibile.
Daboll non sta prendendo rischi inutili, anzi, conscio dei limiti della propria squadra opta religiosamente per i punti laddove possibile prendendo a pesci in faccia le analytics che stanno lobotomizzando – ehm, influenzando – un numero crescente di allenatori.
Non so per quanto continueranno a vincere con questa assiduità, ma sono certo che per il resto del campionato nessuno avrà particolare voglia di incrociarli nel proprio percorso.

Se ci spostiamo ad Orchard Park, invece, faremmo meglio a non indossare indumenti di lana che l’elettricità presente nell’aria potrebbe giocarci brutti scherzi: i Bills avevano disperatamente bisogno di questa vittoria, soprattutto per com’è arrivata.
Il fatto di esser riusciti a fermare i Chiefs in una partita che aveva preso una piega sinistramente simile a quella dello scorso gennaio non può che impreziosire la già di per sé fondamentale vittoria: esorcizzare i propri demoni in mondovisione deve essere particolarmente piacevole, soprattutto se lo si fa in modo così poetico e drammatico.

In una sola partita ci è stato dimostrato come mai il front office abbia investito così pesantemente sul veteranissimo Von Miller, a mio avviso il vero protagonista del successo di domenica – lodare Josh Allen, a questo punto, è pigro e ripetitivo.
Miller ha messo costantemente in affanno una linea d’attacco che, fino a domenica, non aveva mai avuto particolari problemi a proteggere Patrick Mahomes: è forse un caso che l’intercetto che ha chiuso la partita sia figlio illegittimo dalla pressione di Von Miller sul quarterback?

È da un paio di stagioni che l’attacco ha tutto il necessario per rispondere colpo su colpo all’incontrastata regina della conference, nei momenti più importanti a tradire McDermott ci ha pensato proprio un reparto difensivo che non ha mai saputo trovare una risposta alle scorribande di Kelce e Hill.
Con un Hill in meno e un Miller in più i Chiefs appaiono oggi più che mai alla loro portata e sono convinto che il secondo urrà consecutivo in uno scontro diretto in regular season non potrà che donar loro dell’imprescindibile serenità nei momenti caldi dell’inevitabile testa a testa di gennaio.
Ritengo doveroso che festeggino la vittoria più importante che potranno mai assaporare in stagione regolare, ma ritengo altresì doveroso mettere in risalto che domenica Allen e compagni siano stati tutt’altro che perfetti e che, quindi, ci sia ancora tanto su cui lavorare.

Una giornata come quella di ieri ci ha messo davanti all’innegabile fatto che quest’anno qualcosa stia andando per il verso giusto – o sbagliato, a seconda dei punti di vista – e che l’utopico equilibrio a cui ogni lega sportiva americana aspira sia conseguibile a patto di sacrificare la qualità dell’azione.
Lasciatemi dire che non stiamo assistendo al migliore dei football possibili, l’esecuzione di cui parlano tanto gli allenatori non è affatto impeccabile e in generale i reparti offensivi danno l’idea di essere ben lontani dal girare a pieno regime.

Sta arrivando il momento di chiudere e in luce dell’intuitivo avvilimento con cui ho scritto quest’articolo vorrei concludere elencando un paio di cose che hanno saputo regalarmi un sorriso in una domenica che mi ha annientato.
La vittoria dei Patriots – costretti a schierare per la seconda domenica consecutiva il terzo quarterback – contro dei Browns annullati su tutti i fronti ha ribadito al mondo intero l’inarrivabile acume tattico di un Bill Belichick che sta facendo girare a ottimi livelli un attacco condotto da un quarterback che non ha alcuna ragione di essere così pronto alla vita da titolare a questo punto della propria carriera. M’ha rallegrato l’ottima prestazione di un Marcus Mariota meticoloso e diligente nell’eseguire un compito che, seppur ridotto, andava portato a termine per giocarsela contro una squadra nettamente superiore – seppur rotta.

Per concludere, vi confesso di non aver assolutamente idea se il Ryan visto contro Jacksonville sia replicabile su base settimanale, ma permettetemi di confessarvi di aver tirato un bel sospiro di sollievo a vederlo giocare su questi livelli.
Benissimo, pure questa settimana è tutto, perdonatemi per la monotematicità ma questo rarissimo momento d’oro per la città di New York non poteva essere ignorato.

5 thoughts on “Considerazioni (il più possibile) lucide su Week 6 del 2022 NFL

  1. In effetti il football è l’unica cosa a funzionare a New York di questi tempi. Devono sperare che duri.
    O forse è solo un universo parallelo alla Fringe…

    • Secondo me stanno solo apparecchiando la tavola per un fallimento futuro ancora più doloroso e spettacolare, Jets e Giants che vincono complessivamente 9 partite su 12 va contro tutto quello in cui credo.

  2. Seguo da poco il football, non riesco a farlo con assiduità, e ho anche avuto la malaugurata idea di scegliere i Jets come squadra da “tifare” giusto per cercare di seguire un po’ meglio questo sport, ma penso che il Butt Fumble (non sapevo gli avessero dato un nome ma, conoscendo gli americani, avrei dovuto immaginarlo) sia il momento più basso del mondo sportivo di sempre per l’eternità.
    Grazie comunque per questo bell’articolo e sempre Just End The Suffering! ;)

  3. Un po’ di tristezza per l’implosione progressiva dei Broncos. Wilson fornisce l’idea di quello che va alla grande nel suo luogo di nascita e sviluppo dove veleggia leggero al netto di pressione e responsabilità ma che poi si squaglia letteralmente quando va altrove e lo caricano ( giustamente considerati i soldi in ballo ) di aspettative. Mi fa veramente una brutta impressione, lui e di conseguenza l’intera organizzazione dei Broncos.

    • La AFC west non è cambiata per nulla rispetto allo scorso anno nonostante ci si aspettavano fuochi e fiamme(giustamente direi viste le acquisizioni in estate). Chiefs unica certezza mentre Chargers meno peggio di Raiders e Broncos.

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