Per prima cosa, scusatemi.
Scusatemi perché non meritate sicuramente la furiosa sinteticità con cui ho liquidato il riassunto di ieri, ma per vari motivi lavorativi – e la sveglia alle 04:30 bellamente ignorata – sono stato costretto a scriverlo al telefono in mezzo al traffico veronese – credo di essermi perso il momento in cui Verona si è trasformata in Roma, un’ora e un quarto per coprire la ventina scarsa di chilometri fra casa mia e il centro mi sembra un po’ eccessiva: l’alternativa era pubblicarlo nel tardo pomeriggio.
Meglio evitare.
Fortunatamente, però, posso dirvi con apprezzabile sicurezza che lunedì prossimo dovrebbe essere l’ultimo giorno di “sinteticità” – anche se mi sto organizzando -, salvo piacevoli sorprese che trasformano il riassunto di ieri in un dimenticabile unicum.

Bene, eliminate queste cento parole dal mio sistema, sento di poter partire con le considerazioni su quanto visto in questa domenica di football e, purtroppo, non posso che iniziare dai Baltimore Ravens e dalla loro farsesca incapacità nel vincere partite già vinte per metà.
Se sostenete che a costar loro la fondamentale W siano stati gli intercetti di Lamar Jackson vi consiglio vivamente di chiudere l’articolo e investire in modo migliore i prossimi dieci minuti della vostra esistenza.

Andare in bianco contro i Bills è assolutamente accettabile.
Farsi rimontare diciassette punti dai Bills lo è ancora di più, sono una macchina da guerra costruita per vincere il Super Bowl, se non le compiono loro imprese del genere chi altro potrebbe? (I Miami Dolphins di Tua Tagovailoa? Sì, contro i Ravens.)
Ciò che non è accettabile e che non digerisco è l’ottusa testardaggine di John Harbaugh, allenatore la cui apparente incapacità di adattarsi alla contingenza è sempre più sotto gli occhi di tutti e, sempre più frequentemente, sta costando cara ai Ravens.
Evitiamo fraintendimenti sciocchi, Harbaugh è un grandissimo allenatore che molto probabilmente un giorno verrà inserito nella Hall of Fame, ma per lo stato dell’arte dei Baltimore Ravens siamo sicuri che sia il profilo giusto?

Sono consapevole che molto raramente un vantaggio di tre punti sui Buffalo Bills con diversi minuti a loro disposizione rima con “vittoria”, ma perché fingere che il 2021 non sia mai esistito? Perché ignorare bellamente una miriade di precedenti nei quali l’aggressività non ha mai portato gioie ma, puntualmente, solo dolori e frustrazione?
Ciò che più mi preoccupa è il messaggio lanciato al reparto difensivo proprio nella giornata in cui, per una volta, è stato in grado di opporsi all’attacco avversario con una certa brillantezza: tenere inchiodati a 20 punti i Buffalo Bills di questo Josh Allen non è affatto banale – anche se è fuori questione che le condizioni meteorologiche abbiano indubbiamente fatto la loro parte. Che senso ha investire così massicciamente sulla secondaria se poi non le si vuole dare responsabilità del genere?

Ciò che più mi deprime è che dopo che Dobbins ha perso tre yard a seguito di un noiosissimo tentativo di halfback dive già sapevo che, salvo un sack, Harbaugh avrebbe deciso di giocare il quarto down contro la miglior difesa della lega.
Posso umanamente capire che in quel momento solo pensare di fermare i Bills era pura utopia, ma accontentarsi dei tre punti per poi mettere il risultato in mano alla difesa non rappresenta sicuramente un peccato mortale, soprattutto in un pomeriggio in cui Josh Allen ha finalmente dimostrato di essere mortale.
Ennesima occasione sprecata e, ne sono sicuro, fra non troppo mi troverò qua a lamentarmi di un’altra evitabilissima sconfitta arrivata in circostanze inaccettabilmente analoghe.

Quanti di noi erano convinti che l’infortunio di Dak Prescott avesse irrimediabilmente compromesso la stagione dei Dallas Cowboys? Non fate i timidi, era una domanda retorica: so che siete tanti.
Questi Dallas Cowboys, però, sono ben altra cosa rispetto alle versioni viste negli ultimi anni. Il fatto che con Cooper Rush abbia vinto non una, non due ma ben tre partite su tre ci dice tutto quello che dobbiamo sapere sulla bontà di un reparto difensivo cinico e opportunista che produce più pressione di una liquirizia pocciata nel caffè: solo gli Eagles – non casualmente ancora imbattuti – hanno messo a segno più sack dei 15 di Dallas.

È da sciocchi speculare sulla posizione di Rush una volta rientrato Prescott, ma ammetto di essere rimasto piacevolmente sorpreso dall’affidabilità con cui interpreta la posizione più complicata nel mondo dello sport.
Dallas sta dando prova di grandissima maturità vincendo senza particolari problemi partite che dovrebbe vincere grazie, in primis, all’ottimo lavoro del reparto difensivo: Rush, in sostanza, non sta facendo nulla per vanificare l’operato dei compagni di squadra e a volte a un quarterback è chiesto esattamente questo, ossia di non essere la ragione principale dietro una sconfitta – un tempo l’etichetta di “game manager” non era appiccicata con il disgusto che oggigiorno sorge solamente leggendola.
Prescott è vicinissimo al ritorno e con un attacco da top ten Dallas deve obbligatoriamente essere annoverata fra le favorite in NFC.

Il signore di cui sto per parlarvi rappresenta indubbiamente la più grande sorpresa della stagione.
Non so quanto durerà, credo che prima o poi la mezzanotte suonerà pure per lui, ma fatico a trovare le parole giuste per rendere giustizia alle prime quattro partite di Geno Smith.
Storicamente preciso, sicuro di sé e non più incline all’errore come lo fu a inizio carriera, Smith ha guidato i Seahawks a due più che sorprendenti vittorie contro Broncos e Lions, non assolutamente Chiefs e Bills ma comunque opposizione oggettivamente di qualità. Fino a questo punto del campionato il punchingball di IK Enemkpali ha potuto contare su una protezione di primissimo livello e su un gioco di corse che malgrado non sia eccessivamente chiamato in causa porta a casa 5.2 yard a portata.

Dinanzi alla sua sorprendente brillantezza si può solamente sorridere e chiedersi cosa avrebbe combinato Russell Wilson dietro una O-line finalmente competente e un running game che grazie al duo Penny-Walker sfianca difese e apre le porte alla play action.
Ciò che più mi sta affascinando della sua stagione è la sorprendente capacità nel prendere sempre la decisione giusta e non esporsi agli evitabilissimi errori che a un certo punto sembravano essergli costati la carriera. Mi raccomando, non fate l’errore di credere che stia completando così tanti passaggi e commettendo così pochi errori limitandosi a mogi passaggi nella flat al running back ché Geno sta raccogliendo 7.9 yard per tentativo, comodamente il miglior dato della propria carriera.
E pensate che io e amici avevamo riso dell’amico fesso che si «era sentito costretto a prendere Geno Smith» al fantasy: ora, giustamente, ride lui. Questa è la tua vittoria Barto.

Voci dall’alto mi notificano dell’obbligo di parlare di Kenny Pickett.
Facciamo così, prima vi dirò cosa mi sia piaciuto, poi cosa non mi ha propriamente convinto.
Dire che l’attacco degli Steelers sotto Mitch Trubisky – anche se Canada e la linea d’attacco hanno indubbiamente le proprie colpe – non funzionasse sarebbe uno sciatto eufemismo: il reparto offensivo degli Steelers ti invitava a spegnere la tivù e investire il tuo tempo in modi ben più edificanti. La prevedibilità che lo attanagliava stava portando alla sublimazione talenti cristallini come quelli di Johnson, Harris e Freiermuth, tutti individui che in un altro contesto produrrebbero ben altri numeri: l’ingresso di Pickett ha indubbiamente regalato loro nuova linfa vitale – “vitale” in più sensi – e non è un caso che nessun drive condotto dal rookie si sia spento con un mesto punt…

Anche perché quelli che non sono terminati in end zone sono stati conclusi da un intercetto – tra l’altro i tre intercetti coincidono con gli unici incompleti della sua giornata.
Pickett, in questo senso, ci ha dimostrato di essere ancora un rookie che forse aveva bisogno d’ulteriore tempo prima di essere gettato nella mischia, anche se non mi sento di condannare la scelta di Tomlin, costretto a inventarsi qualcosa per galvanizzare la propria squadra.
Il risultato finale lascia indubbiamente l’amaro in bocca, ma è fondamentale tenere sempre a mente che il 2022 per gli Steelers sia un anno di transizione e il successo sarà misurato in funzione dell’effervescenza dell’attacco, non del numero di vittorie.
In definitiva, l’esperimento ha sortito gli effetti desiderati perché Tomlin voleva una scossa e, effettivamente, la scossa è arrivata: ora sarà necessario regolare il voltaggio, ma il ragazzo sa giocare.

Posso fare il blogger di sinistra e proclamarmi svergognatamente emozionato e commosso dinanzi a un evento che non dovrebbe aver motivo di suscitare reazioni del genere?
Siccome non c’è un contraddittorio lo dirò: quanto fatto da Belichick contro i Green Bay Packers è eroico, commovente, fantastico e senza troppi precedenti nella storia.
Costretto a giocare contro il back-to-back MVP con l’onorevole Hoyer, Belichick ha visto i propri piani collassare come il proverbiale castello di carte a causa di un infortunio che lo ha obbligato a mandare allo sbaraglio Bailey Zappe e rimodellare al volo il proprio gameplan: contro una difesa di primo livello come quella dei Packers, Belichick è stato capace di imporre la propria volontà a suon di corse in modo da mettere Zappe nella miglior posizione possibile per avere successo.
Sono arrivati a tanto così dalla vittoria.
A fine anno derubricheremo questo nobile sforzo ad anonima sconfitta, ma permettetemi di provare a farvi apprezzare a dovere la brillantezza di un individuo che per me non ha eguali nella storia sportiva.

Concludo parlando della più bella storia di redenzione – finora – del 2022, meglio addirittura di quella di Geno Smith, concludo parlando del ritorno di Saquon Barkley, quel giocatore che nel 2018 ci aveva collettivamente fatto perdere la testa – e il senso dell’orientamento – a suon di giocate non particolarmente sensate.
Il 3-1 dei Giants è da prendere con le pinze e, onestamente, non credo possano essere considerati materiale da playoff, ma è fuori questione che dietro il sorprendente record troviamo il rassicurante sorriso del fenomeno con il numero 26, comodamente leading rusher – con un’eccellente media di 5.5 yard a portata – della lega.
La vittoria contro i poveri Bears è arrivata principalmente grazie alle sue gambe che gli hanno permesso di guadagnare 146 yard su 31 assurde portate: Barkley si è caricato l’intera città di New York sulle spalle e, quando non erano più disponibili quarterback sufficientemente sani per dargli l’handoff, ha iniziato a ricevere direttamente lui gli snap dalla wildcat formation.
Non so quanto durerà la magia, ma vederlo giocare così nel contract year mi fa provare una soddisfazione difficilmente esprimibile a parole: Barkley è quel genere di persona che merita ogni gioia nella vita e vederlo nuovamente sui propri livelli nell’anno più importante della carriera mi rende genuinamente felice.

3 thoughts on “Considerazioni (il più possibile) lucide su Week 4 del 2022 NFL

  1. A me Prescott non ha mai detto niente e, come hanno già dimostrato i 49ers, quando hai la difesa meglio un QB metodico che esegue e la fa riposare di uno più brillante ma prono alla fesseria. Squadra che vince va benedetta.
    Chissà se in Texas sono abbastanza furbi da arrivarci.

  2. Il problema di Harbaugh secondo me è il perfezionismo; se non lo gestisce rischia di deragliare la sua carriera.
    Non sarei troppo sorpreso se gli Steelers provassero anche Mason Rudolph.

  3. A mio parere gli Steelers hanno deliberatamente scelto di avere una stagione pessima per provare a prendere un Qb forte al prossimo draft. Nè Trubisky, nè Rudolph (già in roster da almeno un paio di anni), nè Pickett mi paiono all’altezza. Sarà un’annata di transizione per loro per ricominciare l’anno prossimo a costruire un progetto vincente post era Roethlisberger.

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