Mentre Kyle Shanahan fronteggiava un passato a lui molto familiare nella gradevole serata di Denver, nel caldo afoso di Miami un altro ragazzo cresciuto nello staff di papà Mike si stava godendo una momentanea imbattibilità che nessuno, visto il calendario, sarebbe stato in grado di pronosticare per i Miami Dolphins.

Mike McDaniel, originario di Aurora, in Colorado, è cresciuto a pane e Denver Broncos, arruolandosi nel loro staff nel lontano 2005 a soli ventidue anni, una volta terminata l’esperienza di ricevitore presso l’università di Yale, ateneo dal quale era uscito con una prestigiosa laurea in storia. A giudicare da questo inatteso inizio dei Dolphins, le ramificazioni partorite dalla schiera di allenatori cresciuta sotto la sapiente esperienza del più anziano degli Shanahan paiono destinate a condurre al successo. Certo, è presto per parlare troppo ad alta voce dopo nemmeno un mese di gioco, tuttavia i risultati ottenuti dallo stesso Kyle, già partecipante al Super Bowl in due distinte occasioni sia da offensive coordinator dei Falcons che da capo decisionale dei Niners, portano a ben sperare. Mike McDaniel, ultimo in ordine cronologico a raggiungere i gradi di head coach all’interno di un nido che ai tempi di Washington comprendeva anche Sean McVay e Matt LaFleur, altri due allenatori che hanno inserito a curriculum un titolo (il primo) ed ottime percentuali di vittorie in regular season (il secondo), ha tutta l’intenzione di seguire quello stesso selciato.

Un percorso paradossalmente atto ad emulare i rivali Bills, con i quali Miami ha condiviso per decenni non solo le parti meridionali – ma poco assolate – della Afc East, ma pure la sistematica incapacità di guadagnarsi i playoff, dovendo conseguentemente scorrere troppe pagine di storia all’indietro per reperire l’ultimo successo della franchigia in postseason. Un mito che Buffalo ha sfatato proprio di recente sfiorando il ritorno al Super Bowl dopo quei gloriosi anni novanta, un rientro alla qualifica di contender della quale i Dolphins vorrebbero fregiarsi dopo aver trascorso queste prime tre settimane di gioco privi di sconfitte pur avendo rischiato di perdere due di queste tre uscite, fissati in cima alla classifica generale della loro conference dopo aver dimostrato una grande capacità psicologica nel mantenere saldi i nervi di fronte alle avversità.

Proprio i Bills sono stati l’ultima esemplificazione di questo esercizio mentale, di questa voglia di non arrendersi, di questa nuova consapevolezza delle proprie capacità. Ad una settimana di distanza dalla clamorosa rimonta contro i Ravens, Miami ha opposto la massima resistenza contro un avversario molto difficile da fermare, subendo una tremenda differenza nelle statistiche accumulate in attacco, numeri che avrebbero affondato chiunque. Ma non certo i ragazzi di McDaniel, che hanno provato di poter vincere utilizzando armi differenti. Se difatti Baltimore era capitolata sotto i colpi del notevolmente migliorato Tagovailoa, una delle storie più affascinanti di questo primo quarto di campionato ed autore di quattro passaggi da touchdown nel solo quarto periodo del confronto con Lamar Jackson, stavolta non è servito un attacco statisticamente fantascientifico per aver ragione di Josh Allen e della squadra chiaramente favorita per vincere la prossima corona del football.

I Dolphins hanno registrato una vittoria storica, di resistenza fisica e caratteriale. Si pensi solamente al fatto che in tutta l’esistenza della National Football League, le squadre che – come i Bills – avevano prodotto più di 450 yard in attacco e concesso meno di 250 yard in difesa avevano sinora ottenuto un record complessivo di 37 vittorie, una sconfitta e due pareggi. La franchigia residente in Florida è invece riuscita ad avere la meglio collezionando solamente 212 yard di total offense, con Tua fermo a 168, subendone ben 497: nessuno, in tali condizioni, si sarebbe nemmeno dovuto ad avvicinare al pensiero di provare a vincere una partita del genere. McDaniel sta insegnando ai suoi giocatori il valore della reazione dinanzi alle condizioni psicologiche più svantaggiose: dopo aver evitato con lode il crollo emotivo nella gara di Baltimore, nella quale Miami si era trovata sotto per 35-14 all’inizio del quarto periodo confezionando poi un clamoroso 42-38, la squadra ha reagito positivamente anche ad una serie di eventi che stavano per portare l’inerzia completamente dalla parte dei Bills soprattutto grazie ad una difesa che ha concesso una marea di yard, ma capace di limitare gli ingressi in endzone dell’attacco più produttivo della lega e di limitare le corse di un quarterback che pochi riescono a fermare.

Tante sono state le azioni decisive per portare a casa una vittoria divisionale che rischia di pesare moltissimo sulle future economie della Afc. Anzitutto il fumble provocato da Jevon Holland e raccolto da Melvin Ingram nel primo quarto, che ha spianato la strada ad una meta molto agevole di Chase Edmonds ed ha spezzato il ritmo offensivo di Buffalo, ma pure la spettacolare azione confezionata da Tagovailoa e Waddle, autori di un completo che ha convertito un terzo down con ben 22 yard da prendere in una situazione dichiarata di lancio, dando il là al bis dell’ex running back dei Cardinals. Fantastica anche la solida muratura eretta sulla goal line contrastando quattro tentativi consecutivi partendo dalla linea delle due yard, un’impresa ancora più grande se si pensa alle condizioni atmosferiche proibitive, ai crampi dei giocatori e li si relaziona all’estenuante drive offensivo che i Bills avevano gestito per più di otto minuti mettendo a durissima prova la reattività della difesa.

La mentalità corretta è stata applicata persino dinanzi ad un evento infausto come quel butt punt, così com’è stato battezzato dai social network in omaggio all’indimenticabile butt fumble di Mark Sanchez e dei Jets, una maldestra esecuzione che ha causato una safety potenzialmente disastrosa per gli esiti della gara. Ma i Dolphins, sfruttando anche i non pochi errori commessi da Buffalo in sede di gestione del cronometro, sono riusciti ad uscire anche da quel fosso.

Miami è attesa da una settimana molto difficoltosa. La gara di domenica è stata assai costosa a livello di fatica spesa ed acciacchi accumulati, giovedì si ritorna già in campo per il match in prime time contro i Bengals. Servirà un’altra prova di carattere, perché i campioni uscenti della Afc non stanno affatto convincendo ed hanno estrema necessità di bilanciare quello scomodo 1-2, Joe Burrow sarà agguerrito e desideroso di riscatto.

A McDaniel non interessa la difficoltà del calendario o il poco tempo da utilizzare per riposare. In sede di training camp aveva dichiarato che avrebbe accolto con gioia ogni situazione complessa che si fosse parata dinanzi alla squadra, meglio se contro le migliori avversarie. Dopo Patriots, Ravens e Bills non resta che mettere a punto la prossima statement win, e la credibilità di questi inaspettati Dolphins potrebbe definitivamente spiccare il volo.

 

3 thoughts on “Il carattere dei nuovi Miami Dolphins

  1. E se quel punt maldestro fosse stato una fortuna per Miami?

    Mi spiego: calciando il punt dall’interno della propria endzone, poi i Bills sarebbero ripartiti da un’ottima posizione di campo. Invece, subendo la safety, Miami ha sì concesso due punti, ma ha poi potuto calciare in maniera molto più agevole e i Bills sono dovuti ripartire dalle proprie 20.

    • Senza il butt punt però i Bills sarebbero stati sotto di 4 e quindi avrebbero dovuto fare Td e non solo un Fg. Quando ho visto i Bills fallire il quarto tentativo a 1 minuto e 30 dalla fine ho pensato che fosse fatta! Poi il butt punt ha riaperto tutto fino all ultimo istante…

  2. Naturalmente non possiamo sapere come sarebbe andata, ma provo a immaginarmi la situazione…

    Con un punt da quella posizione scomodissima, i Bills sarebbero ripartiti più o meno dalle 40 di Miami: quindi 40 yard per segnare un touchdown.

    Con la safety e il successivo calcio libero, i Bills sono ripartiti dalle proprie 20. Quindi avrebbero dovuto macinare all’incirca 50 yard, per arrivare alle 30 di Miami. Poi Bass avrebbe dovuto mettere un field goal da 48 yard, cosa tutt’altro che scontata, visto che ne aveva appena sbagliato uno da 38.

    Vabbe’, cose oramai passate: faccio gli auguri a Tua, sperando di poterlo rivedere prima o poi in campo.

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