Dovete finirla di assecondare i miei deliri.
Ero convinto che proporvi un articolo del martedì, o se preferite il giorno dopo il lunedì, sarebbe stato un fiasco epocale poiché con lo stomaco ancora pieno dalla scorpacciata del giorno prima non avreste sicuramente perso tempo a leggere alcune mie riflessioni su quanto successo la domenica…
… pure questa volta, però, vi ho imperdonabilmente sottovalutati: c’è spazio, eccome se c’è spazio, per una rubrica digestiva del martedì nella quale concentrarsi su quel selezionato manipolo di squadre e giocatori che la domenica hanno maggiormente stuzzicato la mia fantasia.

È sempre esilarante constatare quanto poco capisca di questa disciplina e, soprattutto, quanto ogni mia singola presa di posizione finisca inevitabilmente per costarmi l’ennesima figuraccia.
Ho passato mesi a criticare i Jacksonville Jaguars, squadra che a suon di firme oggettivamente discutibili – più per le cifre che per i giocatori – si è caricata sulla schiena un enorme bersaglio attira-critiche: esattamente come previsto, ogni singolo colpo del draft e della free agency ha immediatamente trovato modo di contribuire.
Ciò che maggiormente impressiona del 38 a 10 con cui Jacksonville ha triturato i Chargers a Los Angeles – fattore campo sempre opinabile nel loro caso – non è tanto la magnitudine del passivo, ma la modalità con cui Jacksonville si è portata a casa una vittoria che non è mai stata neanche lontanamente in discussione.

Quello sfoggiato da Jacksonville è il classico esempio di football complementare, un football nel quale l’attacco si prende cura della difesa preservandone la freschezza grazie a un dispotico controllo del tempo di possesso e, per ricambiare il favore, il reparto difensivo fa il possibile per restituire il pallone a quello offensivo a suon di turnover.
Quanto appena detto è corroborato da un eloquente riscontro statistico: solamente i Marroni hanno il possesso il pallone per più minuti a partita e nessuno ha un turnover differential migliore del loro sfavillante +7.
Giocano un football efficace e senza fronzoli nel quale il gioco di corse – capitanato dal sovrumano James Robinson – lavora ai fianchi le difese, poi inevitabilmente punite da un Lawrence che non sta sbagliando assolutamente nulla: il corpo ricevitori allestito in primavera funziona, è affidabile e sicuramente produttivo e già a questo punto i ventieppassa milioni di dollari dati a Kirk non appaiono poi così empi – ha trovato i sei punti in tutte e tre le partite giocate finora.
Pederson, allenatore che sa sicuramente il fatto suo, sta compiendo un autentico miracolo. In una sola offseason è riuscito a regalare a una sfiduciata ciurma di giovanotti una rinvigorente dose d’autostima che, accompagnata a braccetto dall’evidente serenità che si respira nello spogliatoio, ha catapultato Jacksonville in cima alla propria division: sono metodici, maturi, concentrati ed efficienti, insomma, tutto ciò che ci si poteva aspettare da una squadra diretta da un quarterback sophomore reduce dal regime Meyer.

Chi invece sta sorprendendo per tutte le ragioni sbagliate sono i Las Vegas Raiders, o se preferite l’unica squadra inchiodata su un agghiacciante 0-3: sì, al momento i Raiders sedimentano sul fondo della classifica, sotto ai vari Chicago Bears, Atlanta Falcons e Houston Texans.
Come da copione, no?
I Las Vegas Raiders, molto semplicemente, non stanno giocando bene a football americano.
La difesa, come ci si poteva aspettare, concede troppi punti e malgrado l’aggiunta di Chandler Jones non riesce ad arrivare in nessun modo al quarterback avversario: in tre partite hanno messo a segno la miseria di due sack, numero inaccettabile per chi può vantare a roster il tandem Crosby-Jones.
Senza un pass rush capace di portare pressione consistente al quarterback avversario e mascherare gli evidenti problemi in secondaria crolla tutta l’impalcatura, anche se nulla si avvicina alle delusioni che mi sta dando un reparto offensivo che non riesce a spingere il pallone in end zone malgrado la presenza di Waller e Adams: nelle ultime due partite l’ex bersaglio preferito di Rodgers ha tramutato 17 target in 7 ricezioni per 48 yard, numeri così avvilenti che sembra me li stia inventando.

Tennessee ha intelligentemente deciso di farsi battere da chiunque all’infuori dei due signori sopracitati – non deve sorprendere l’exploit di Mack Hollins – e la tattica ha funzionato alla meraviglia.
Coach McDaniels non sta riuscendo a dare quel qualcosa in più che ci si saremmo potuti aspettare e i continui stravolgimenti della linea d’attacco non stanno sortendo gli effetti desiderati ma, se possibile, creando solo ulteriore confusione di cui al momento non hanno bisogno: dov’è la creatività che avrebbe dovuto rendere infermabile questo attacco?
Odio ragionare in termini di «storicamente le squadre partite con uno 0-3 hanno x% di possibilità di qualificarsi ai playoff», però è inutile nascondersi dietro un dito, a questo punto Las Vegas non può più permettersi ulteriori scivoloni: le due prossime partite saranno contro Broncos e Chiefs e devono quasi obbligatoriamente vincerle entrambe.

Ogni volta che il calendario NFL prova a viziarci con un testa a testa fra Tom Brady e Aaron Rodgers abbiamo buonissime ragioni per approcciarci alla domenica con l’entusiasmo delle grandi occasioni anche se, alla fine, spesso restiamo puntualmente delusi: difficilmente fra due anni ci troveremo a rivivere mentalmente quanto visto domenica a Tampa Bay.
Packers e Buccaneers, entrambe su un buon 2-1, hanno messo in scena tutto ciò che potevamo aspettarci fra due squadre falcidiate da infortuni, anche se a onor del vero Green Bay sta cominciando a recuperare pezzi.

Credo sia sciocco doverlo specificare, ma la mia esperienza su questo pianeta m’ha fornito varie ragioni per non dare mai nulla per scontato: no, gli sbadigli dietro i cinquantamila punt che hanno scolpito su pietra il 14 a 12 finale non sono dovuti all’età dei quarterback coinvolti, ma a due reparti offensivi con bassissimi valori di fosforo.
Brady, in particolare, è stato costretto a indirizzare più di un terzo dei propri lanci a Russell Gage, giocatore che nella rotazione normale dei Bucs sarebbe il terzo miglior ricevitore a sua disposizione: per favore, lasciamo fuori dalle nostre analisi le speculazioni sulla sua vita privata, il poco esaltante inizio di stagione è da imputare all’infinita serie di infortuni che ha sconquassato linea d’attacco e parco ricevitori.
In entrambi i casi abbiamo validissime ragioni per attenderci netti miglioramenti poiché da una parte c’è un gioco di corse che appare sempre più in palla mentre dall’altra il rientro dei ricevitori titolari dovrebbe essere la panacea a tutti i loro mali.

Interrogazione a sorpresa: alzi la mano chi, dopo tre settimane di football americano, avrebbe indicato Jalen Hurts e Lamar Jackson come indiscussi favoriti per l’MVP.
Proprio come credevo.
Lo ammetto, quest’impressionante successo di quarterback mobili sembra avermi ricacciato nel 2012, quando Griffin, Wilson e Newton stavano riscrivendo il paradigma grazie alla read option, ma la realtà dei fatti ci mette davanti a due ragazzi che hanno compiuto veri e propri passi da giganti nell’arte di lanciare una palla da football americano.
Hurts e Jackson stanno trascinando le rispettive squadre facendo affidamento principalmente al proprio braccio, e non azzardatevi a pensare che per muovere le catene abbiano indossato il mantello di Capitan Checkdown: Hurts conduce la lega con 9,3 yard per tentativo, mentre Jackson è terzo con un altrettanto impressionante 8,5.
Hanno tutto il tempo necessario per collassare a tornare a essere “running back che lanciano”, ma ammetto che il loro successo mi sta scaldando il cuore: non esiste un solo modo per interpretare la posizione più difficile del gioco, prima lo impariamo come appassionati e meglio è.

A proposito di MVP… che dire della squadra che fino a questo punto è stata la vera MVP della stagione, i Miami Dolphins?
Dopo aver battuto i Baltimore Ravens grazie a una leggendaria sfuriata offensiva, Miami è riuscita nell’impossibile imbrigliando l’irresistibile attacco dei Buffalo Bills: quanto fatto domenica dal reparto allenato da Josh Boyer è impressionante.
Buffalo ha dominato la battaglia del tempo di possesso, sforando la mitologica quota dei 40 minuti: ragioniamo un secondo, com’è possibile che dei Buffalo Bills che hanno tenuto in campo l’attacco più di 40 minuti siano stati in grado di perdere una partita di football americano?
Principalmente perché Miami si è piegata senza mai spezzarsi permettendo loro di muovere le catene senza particolari affanni, salvo poi alzare le barricate in red zone e ciò è compendiato magnificamente dall’eroica goal line stand che oltre che a consegnare la vittoria a Miami ci ha regalato il Butt Punt, facilmente uno dei momenti più alti del ventunesimo secolo NFL.
Miami sta dimostrando di essere una squadra vera e completa e per questa semplice ragione credo che da oggi in avanti saremo costretti a tenerli presenti nelle nostre riflessioni sull’élite della AFC, soprattutto grazie a un coaching staff che malgrado la relativa inesperienza si è già tolto la soddisfazione di prendere lo scalpo a gente come Belichick, Harbaugh e McDermott.

Nessuna vittoria, però, può vantare un peso specifico maggiore di quello del sorprendente successo dei Colts sui Chiefs. Non saprei dirvi se l’abbiano vinta loro o persa gli avversari, ma ciò di cui sono sicuro è il lapalissiano fatto che Indianapolis non potesse permettersi di precipitare sullo 0-2-1: volete mettere la rasserenante simmetria di un record che recita 1-1-1?
Kansas City si è macchiata di tutti i peccati immaginabili sbagliando piazzati, pasticciando goffe finte di piazzati e ricezioni di punt, correndo malissimo e incappando in penalità di una stupidità che in un paese civile sarebbe perseguibile legalmente – e ciò nonostante hanno perso di tre punti.
Mi sembra prematuro annunciare la loro guarigione, la linea d’attacco pure domenica non è stata in grado di proteggere il proprio quarterback e per mettere a tabellone 20 miseri punti hanno avuto bisogno di ogni sorte di regalo da parte degli atipicamente generosi Chiefs, ma è fuori questione che le ripercussioni di una vittoria del genere potrebbero riscrivere la storia di una stagione partita nel peggiore dei modi.

Per questa settimana è tutto, avrei avuto voglia di parlare di New Orleans Saints e varie squadre che mi hanno deluso, ma in questi giorni la persona che preme i tasti ha bisogno di tutta la positività di questo mondo, motivo per cui ho preferito limitarmi a criticare gli indifendibili Raiders.
Prima di lasciarvi, però, vi propongo una tweet-statistica (seguitemi se vi fa piacere così divento famoso e non dovrò mai più lavorare) che merita di essere posta alla vostra attenzione.

Ecco, quando l’unica cosa che funziona è la sana e vecchia forza della disperazione credo sia necessario fermarsi un attimo a riflettere su ciò che si sta facendo della propria vita: e se il problema fosse solo Jameis Winston?
Ne riparleremo sicuramente.

4 thoughts on “Considerazioni (il più possibile) lucide su Week 3 del 2022 NFL

  1. Da tifoso dei Bills, non posso dire di essere preoccupato per la vittoria divisionale: complimenti di cuore ai Dolphins, ma credo che sul lungo periodo si possa chiudere davanti a loro.

    La cosa che mi preoccupa è che nelle ultime sette partite decise da 7 o meno punti di scarto, le abbiamo perse tutte e sette.

    La sensazione è che riusciamo a vincere solo quando scappiamo nel punteggio: nelle gare punto a punto, non abbiamo i nervi abbastanza saldi per portarcele a casa.

    • Il fattore C è stato dalla parte di Miami, devi considerare. Buffalo ha sbagliato tanto, ma ha comunque macinato una valanga di yard (ed era parecchio incerottata). Mi sono sembrati più forti nel complesso, ma… Butt punt e butt victory ;)

  2. Condivido tutto anch’io!
    Tra i possibili spunti per le prossime analisi, se vorrai, c’è da parlare di tutta Phila che, oltre alla crescita esponenziale di Hurts (mai ci avrei creduto, anche se avere AJ in squadra migliora la vita), si candida a contender completa.
    Ci sarebbe anche un nutrito elenco di quelli a cui avrebbe fatto comodo Garoppolo, col senno di poi. Non sarebbe stata una trade da dissanguarsi alla Wilson (o Watson, il massaggiato speciale), e per gente di difesa e gioco di corse come New Orleans, Carolina, Seattle, Pittsburgh (ma anche altri) avere uno come lui a lanciare e gestire il tempo sarebbe stato un grosso miglioramento. E’ andata bene, nella sfiga, ai 49ers.
    A proposito, non mi abituo mai all’impatto degli infortuni, con stravolgimento di prospettive della stagione in un amen (senza parlare della carriera di chi li subisce).

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