Non esiste modo più pigro di parlare che ricorrere sistematicamente a proverbi: mettersi in bocca parole pronunciate da gente vissuta secoli fa è di una pigrezza immonda, ma in questo caso mi trovo costretto a sfoderare un tanto banale quanto asettico «non c’è due senza tre».
Sì, cari lettori e care lettrici, dopo la guida e il riassunto del lunedì ho pensato di aggiungere una nuova fatica alla già nutrita lista e proporvi, il martedì mattina, un articolo nel quale discuterò a freddo di quanto successo la domenica: a differenza del riassunto, qui ci saranno molte più riflessioni personali e meno “narrativa” della partita, se ha senso definirla in questo modo.

Sapete quanto io amo perdermi in ragionamenti sconclusionati negli articoli in cui non sono costretto a raccontare azioni o provare a parlarvi di tecnica come se ne sapessi qualcosa, in questo spazio discuterò principalmente delle squadre e delle partite che più mi hanno affascinato durante la maratona domenicale e, soprattutto, sviscererò gli spunti narrativi più interessanti fornitici da esse: lasciatemi partire dall’ennesima figuraccia degli Indianapolis Colts a Jacksonville.

Affacciarsi alla terza settimana di regular season NFL inchiodati a zero vittorie non ha mai compromesso irrimediabilmente il campionato di una squadra, ma quanto fattoci vedere dai Colts in questi otto quarti di gioco è ai limiti del raccapricciante: eccezion fatta per l’ultimo quarto del season opener contro i Texans, l’attacco guidato da Matt Ryan è stato impalpabile. Ryan è un quarterback navigato e brillante, ma non si può mandarlo allo sbaraglio con Ashton Dulin come go-to-guy. Ne ho parlato ad nauseam, il front office dei Colts non ama essere aggressivo in free agency e ciò, in luce dei loro recenti successi al draft, posso anche capirlo, ma investire sul corpo ricevitori da mettere a disposizione a un quarterback con ancora un paio d’anni nel serbatoio costituiva sicuramente il loro miglior interesse. Senza Pittman il gioco aereo è così stagnante – non che con lui in campo si trasformi in quello dei Chiefs, intendiamoci – che le difese avversarie possono ingolfare il box per fermare Taylor finendo poi per riuscirci: un Taylor inefficace li condanna a terzi-e-lunghi che un corpo ricevitori del genere corrispondono a vere e proprie sentenze.
È un cane che si morde la coda, un fosso scavato dal front office stesso.

La disfunzionalità dell’attacco dei Colts non deve comunque offuscare l’ottima partita giocata in tutte e tre le fasi dai Jacksonville Jaguars, squadra che sta finalmente cominciando a mantenere parte delle promesse a loro associate negli ultimi anni. Lawrence, in particolare, è stato magistrale smistando con sapienza il pallone a ricevitori che anche se pagati indubbiamente troppo stanno rendendo indiscutibilmente più facile la vita all’ex prima scelta assoluta, visibilmente sempre più a proprio agio nello schema offensivo di Doug Pederson.
Anche la difesa sta emettendo segnali incoraggianti, contro Indy a deciderla ci hanno pensato una serie di giocate messe a segno da giovinastri come Allen, Lloyd, Cisco e da giocatori arrivati via free agency come Jenkins e Key.
Non commettiamo l’errore di ingigantire una vittoria arrivata contro una squadra ancora senz’anima, ma permettetemi di affermare che sto cominciando a scorgere il filo logico che li ha guidati nella costruzione di questo roster.

Quanto successo a Trey Lance rappresenta tutto ciò che odio di questa disciplina.
Certo, gli infortuni fanno parte del gioco e della vita, ma una tragedia del genere alla seconda partita di quella che avrebbe dovuto essere la stagione dell’annunciazione stringe lo stomaco, soprattutto pensando al suo futuro: un infortunio del genere potrebbe deragliare la carriera anche del più affermato dei quarterback.
San Francisco è stata fortunata a ristrutturare il contratto di Garoppolo, che nonostante tutto rimane un più che degno titolare in questa lega, ma appare lampante che il futuro resti per forza di cose Lance – basti solo guardare quanto ci abbiano investito. Indipendentemente dalla sciagura di domenica, la loro stagione è tutt’altro che compromessa: con una squadra assai simile a quella di cui sto parlando, San Francisco non troppi mesi fa è arrivata a un paio di giocate dal Super Bowl con Garoppolo under center.
Lance, nelle speranze dei tifosi e del front office, avrebbe dovuto dare quel qualcosa in più che nei momenti decisivi è puntualmente mancato all’attacco durante l’era Garoppolo, ma è fuori questione che con Jimmy G a condurre l’orchestra nulla sia loro precluso.

Per dimostrarvi la serietà con la quale ho deciso di allestire una terza rubrica settimanale, tornerò per l’ultima volta sul luogo del delitto per dedicare qualche parola di giusto encomio a Tua e i Dolphins.
L’epica rimonta sui Ravens potrebbe rappresentare il momento di svolta per Tagovailoa, anche se dubito fortemente che da oggi in avanti sul suo cammino troverà esclusivamente squadre che ignorano la profondità contro Waddle e Hill: sì, se non lo si nota non ho ancora metabolizzato l’umiliazione di domenica.
Intendiamoci, Baltimore una partita del genere avrebbe dovuto vincerla, scialacquare un vantaggio da 21 punti in un quarto di gioco è un crimine contro l’umanità, ma il Tua visto domenica non è neanche lontano parente della titubante macchina da checkdown a cui eravamo abituati: forse per la prima volta in carriera, l’ex Alabama è salito in cattedra trascinando la propria squadra all’impensabile vittoria, arrivata “grazie a lui” e non “nonostante lui”.
Anche se il gioco di corse latita, gli effetti della cura McDaniel stanno cominciando a vedersi e con due ricevitori completi e agili come Waddle e Hill a tenere sulle spine i reparti difensivi avversari sono convinto che Edmonds e Mostert avranno a disposizione sempre più corridoi da sfruttare a dovere.
Per un pomeriggio Tagovailoa è sembrato la versione mancina di Brees: resta da vedere se troverà continuità.

Ho letto e percepito preoccupazione intorno a Tom Brady: fidatevi, apprezzerei una sua crisi più di chiunque altro, ma dietro le sue statistiche tutt’altro che esaltanti troviamo solidissime giustificazioni.
In primo luogo, esordire contro i reparti difensivi di Cowboys e Saints – storicamente ostici per Brady in Florida – non gli ha fatto alcun favore, figuriamoci dietro una linea d’attacco più rattoppata dello smanicato di un biker: se a tutto ciò aggiungiamo gli infortuni che stanno falcidiando il parco ricevitori, trovarli sul 2-0 è un autentico miracolo.
Constatate le difficoltà del reparto offensivo, la difesa ha compiuto un enorme passo in avanti trascinando il resto della squadra alla vittoria finale, limitando Brady al compitino – per i suoi standard – di prendersi cura del pallone evitando qualsivoglia errore.
Con Green Bay e Kansas City all’orizzonte mi aspetto un netto cambio di marcio da parte del GOAT e soci, salute permettendo ovviamente: è dura giocarsela alla pari contro i Chiefs con Miller e Perriman come ricevitori principali.

La singola vittoria più importante della giornata è stata a mio avviso quella degli Arizona Cardinals perché – anche se suona drammatico dirlo – ha letteralmente salvato la loro stagione.
È difficile commentare i primi sei quarti del loro campionato, l’inettitudine offensiva abbinata alla passività difensiva ci mettevano apparentemente davanti a una squadra alle prime fasi di una dolorosa ricostruzione, non sicuramente a una che ha recentemente rinnovato il contratto del proprio franchise quarterback e che per questo dovrebbe essere sistematicamente competitiva.
Sciupati, senza idee, asettici e sciatti, ogni aggettivo con connotazione negativa appariva appropriato per descrivere il disastro ambulante allestito da Kingsbury, ma la generosità dei Raiders ha permesso loro di rientrare in partita pur senza strafare. È evidente che questo attacco patisca dannatamente l’assenza di Hopkins e che Brown per il momento non rimpiazzi la sua produzione – o anche solo la sua centralità all’interno del loro schema offensivo -, ma una vittoria del genere ha regalato ad Arizona quella botta d’autostima di cui avevano disperatamente bisogno.

Non ignoriamo il gigantesco e puzzolente elefante nella stanza: cosa diamine sta succedendo ai Cincinnati Bengals?
Gli innesti dell’offseason non avrebbero dovuto lenire una volta per tutta gli eterni problemi che attanagliano la linea d’attacco? Nelle prime due partite di campionato Joe Burrow è stato letteralmente massacrato – 13 sack subiti – e nonostante non dovrà guardarsi le spalle da mostri come Watt e Parsons ogni domenica, la sistematica incapacità delle sue nuove “guardie del corpo” di tenerlo in piedi è alquanto preoccupante.
I ripetuti disastri della linea d’attacco stanno privando d’esplosività l’attacco, Burrow non ha il tempo materiale per imbeccare Chase o Higgins in profondità, Mixon deve lottare per ogni singola iarda e tutti i guadagni arrivano principalmente grazie all’abilità after the catch dei ricevitori appena menzionati: vincere così è molto difficile, soprattutto contro difese ben organizzate e talentuose come quelle di Dallas e Pittsburgh, è impensabile che una squadra con ambizioni del genere debba rinunciare a una dimensione offensiva a causa dell’inettitudine di un reparto su cui sono stati investiti così tanti milioni di dollari.
Il record non rappresenta affatto la preoccupazione principale, ciò che deve togliere il sonno allo staff tecnico è la consapevolezza che andando avanti così Burrow non sopravviverà fino al termine della stagione.

Dopo aver sorpreso il mondo per tutte le ragioni sbagliate andando a perdere contro i Seattle Seahawks di Geno Smith – maciullati dai 49ers -, i Denver Broncos sono sì riusciti a vincere, ma che fatica.
Per la seconda partita consecutiva Wilson e compagni sono stati comicamente incapaci di spingere la palla in end zone una volta arrivati a suo ridosso: figuratevi che a un certo punto gli sfiduciati tifosi hanno cominciato a scandire il countdown per “aiutare l’attacco” nella gestione del cronometro.
Un livello tale d’apatia e disincanto raramente si vede alla seconda giornata, figuriamoci verso una squadra reduce da un’offseason del genere.
Che le cose non stiano andando come ci si sarebbe aspettati lo si capisce anche da cose del genere, anche se a mio avviso dietro la loro apparentemente inspiegabile inettitudine troviamo i tantissimi infortuni che stanno costringendo Wilson a rivolgersi pressoché esclusivamente a Sutton: con Hamler e Jeudy acciaccati e Patrick perso durante il training camp, Wilson è costretto a cercare gente come Kendall Hinton e Tyrie Cleveland o, peggio, a darla dietro la linea di scrimmage a Williams.
La difesa, fortunatamente, tiene ma attenzione che se l’emergenza infortuni non rientra alla svelta Denver potrebbe scivolare nei bassifondi della AFC – e no, è decisamente troppo presto per dare del bollito a Wilson.

Voglio concludere parlando di una squadra che mi sta impressionando e della quale sono sempre più fiero, i Detroit Lions.
Questi sono terribilmente immaturi e spavaldi, quindi non c’è da sorprendersi se una settimana quasi rimontano una ventina di punti agli Eagles e quella dopo ne dilapidano altrettanti contro i Commanders: sono giovani, inesperti e con Goff under center, la volubilità è nel loro DNA.
Ciò che più mi impressiona di questa squadra è il talento di individui come St. Brown, Swift, Hutchinson, Hockenson, Rodriguez, una linea d’attacco che non ha problemi a imporre la propria volontà contro qualsivoglia front seven e, in generale, un reparto difensivo giovane e affamato che traduce in campo gli insegnamenti di vita del proprio condottiero.
Sbaglieranno, perderanno partite che dovevano vincere e partite già vinte, ma sono così talentuosi e divertenti che è impossibile non simpatizzare per loro: rimango fedele sostenitore della mia bold prediction che li vedeva ai playoff.

2 thoughts on “Considerazioni (il più possibile) lucide su Week 2 del 2022 NFL

  1. Grande Mattia, la pensiamo esattamente nella stessa maniera..
    come ho scritto nel riassunto precedente anche a me piacciono questi Lions.
    Quanto ai Ravens.. sapendo di avere di fronte un certo Hill e waddle come si fanno a compiere certi errori in difesa

  2. Che belle le prime due giornate, le rimonte di domenica sera non capitano tutti i giorni.
    Per quanto mi riguarda, le overreactions non sono settimanali, ma di quarto in quarto!
    Le partite del monday night hanno dato due conferme per NFC e AFC.
    I Bills sono anche meglio del previsto fin qui, e non si prevedevano mediocri…
    Sono contento per Detroit e le due di New York, col piccolo miracolo che Flacco (e Saleh che lo ha difeso) si è strameritato.
    Allen, Mahomes, Jackson, Herbert, Hurts strepitosi in questo avvio.
    Trubisky, Mayfield, Ryan, Tannehill male male. Si giocano una fetta di futuro
    Winston, onesto per quasi due partite, torna in versione calamità naturale (ho letto da qualche parte “il fantasma del Winston passato” e l’ho trovato geniale).
    Tanti i ricevitori con statistiche impressionanti, mi chiedo se è una generazione speciale o il gioco che li premia sempre più. St.Brown è super, un po’ meno i genitori con la scelta del nome suo e del fratello…
    McDaniel inizia il lavoro da gran capo con gli scalpi di BB e Harbaugh, la crème de la crème delle panchine NFL. Bravo!
    Non vedo l’ora della prossima, buon football!

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