La notizia, a questo punto, la saprete tutti.
Sue L. Robinson, la giudice appuntata dalla NFL e NFLPA per calare (o meno) la coltre su Deshaun Watson, ha decretato che l’ex-quarterback dei Texans sarà squalificato per le prime sei partite dell’imminente stagione per il motivo che non scrivo per evitare di innervosirmi eccessivamente confrontandolo con altre “malefatte” che hanno procurato ai giocatori coinvolti qualifiche ben più sostanziose.
La cosa da chiarire immediatamente è una: l’esigua ingenza della squalifica non è stata decretata dalla National Football League, ma da un giudice esterno.
Questa non è una sentenza della NFL.

Si vocifera infatti da mesi che la NFL si stesse battendo fieramente per una squalifica – condita da una probabile multa – di almeno una stagione, una sanzione esemplare che potesse parzialmente restaurare la credibilità pesantemente danneggiata dalla goffissima gestione del caso Ray Rice: ripeto, questa non è una sanzione erogata dalla NFL.
Ciò che la NFL può fare, a questo punto, è appellarsi contro la sentenza nella speranza che la pena venga revisionata e resa ben più digeribile a un pubblico che ha collettivamente storto il naso, soprattutto perché sono passati veramente pochi mesi dalla squalifica-lampo a Calvin Ridley, reo di aver scommesso su una vittoria degli Atlanta Falcons durante quel periodo nel quale si era allontanato dalla squadra per prendersi cura della propria salute mentale: quella fu una sanzione data dalla lega, questa – scusate se continuo a ribadirlo – è una storia infinitamente più complessa.

Intendiamoci, Goodell è uno degli uomini più forti del panorama sportivo mondiale ma, malgrado l’innata capacità di generare profitto, non credo sarà in grado di scavallare la legge al fine di vincere la propria battaglia, anche se come abbiamo avuto modo di imparare con il ridicolo caso Deflategate se vuole può impuntarsi fino a “esasperare” la legge: l’unica freccia rimasta nella sua faretra è quella dell’appello, di più non può fare, anche se dopo il punto mi lancerò in una considerazione.

Tom Brady è così vecchio che può essere indicato come soluzione all’annosa questione dell’uovo e della gallina, è uno degli esseri umani più determinati e combattivi ad aver mai messo piede su questo pianeta e a quasi 45 anni ha deciso di uscire da un ritiro per concludere la propria leggendaria avventura in National Football League da vincente, immagino: insomma, costringere Brady ad arrendersi o ad accettare passivamente qualsiasi cosa impostagli da entità esterne alla propria coscienza è un’impresa di cui pochi possono fregiarsi.

Roger Goodell, cari lettori e care lettrici, è fra i “pochi” appena menzionati.
Conscio della pessima gestione dello Spygate, Goodell ha visto nel Defletagate una non banale possibilità di redenzione e mio Dio se ha colto la palla al balzo: per dimostrare che fosse «più probabile che non che Brady fosse a conoscenza della manomissione dei palloni usati contro i Colts da parte di un paio di magazzinieri» Goodell ha sudato le proverbiali sette camicie e completato ognuna delle dodici fatiche di Ercole solamente per ripristinare la propria credibilità agli occhi dell’opinione pubblica – così nauseata dall’intera vicenda al punto di arrivare a empatizzare con Brady – e, soprattutto, di ogni proprietario di franchigia al di fuori di Robert Kraft.
Non può piegare la legge alla propria volontà, ma se vuole Roger Goodell può lanciarsi in una battaglia che potrebbe trascinarsi per anni.

Intendiamoci, è abbondantemente chiaro che a questa lega non interessi assolutamente nulla di diritti umani, giustizia e parità dei sessi, Goodell – o chi per lui – impugnerebbe le armi solamente per una questione di pubbliche relazioni, il fine ultimo è ovviamente quello di ben figurare davanti a potenziali nuovi “clienti” che dinanzi alla tenacia della lega potrebbero convincersi a interessarsi maggiormente a questa bizzarra disciplina: come già detto, questa è una ghiotta opportunità per il commissioner, a quasi dieci anni di distanza, per riscattare la riprovevole gestione del caso Rice.
Poi, diciamocelo, il fatto che Watson se la cavi con la stessa squalifica rimediata da Hopkins per uso di sostanze proibite è esilarante, anche se nulla regge il confronto con la sopracitata maxi-sanzione a Calvin Ridley: i piani alti del “palazzo” sono assolutamente al corrente di tutto questo, sanno benissimo che un numero non trascurabile di appassionati e addetti ai lavori sta continuamente – a ragione – soppesando le due sanzioni con divertita ma al contempo sdegnata ironia.

L’onnisciente Adam Schefter ha riferito che il minimo che la NFL era disposta ad accettare corrispondeva a 12 giornate di squalifica e una multa monstre da circa otto milioni di dollari: a fronte di ciò è lapalissiano che sei partite senza multa rappresentino tutto fuorché un verdetto soddisfacente.
Per come si erano messe le cose credo che questa tirata d’orecchie, se confermata, possa soddisfare sia i Browns che il giocatore – sempre professatosi innocente ma che ha però raggiunto accordi extragiudiziali con 23 delle 24 potenziali vittime: a un certo punto si parlava di “minimo un anno di squalifica”, quindi mi viene facile pronosticare incredulo gaudio per le parti coinvolte vestite di Marrone.
Sei misere partite sono un’inezia.

Ripeto, non mi aspetto che la National Football League semplicemente tirando un’occhiataccia alla giudice riesca a ottenere la pena esemplare che tanto bramava, ma in luce del precedente menzionato poc’anzi – il Deflategate – mi aspetto perlomeno una guerra all’ultimo sangue che si concluderà solamente con una “vittoria” – di chi, poi? – o nel momento in cui finiranno le sedi legali alle quali appellarsi.
Lo hanno fatto per molto meno, mi aspetto lo facciano nuovamente per una cosa ben più seria, soprattutto se si tiene presente quanto ancora questa società debba crescere sotto questo punto di vista.

Ho letto in più sedi commenti del genere «vogliono solo spennarlo perché è ricco», mi sono imbattuto in innumerevoli “ahah reaction” vicino a post di Facebook riguardanti il caso Watson e sono convinto che sotto questo articolo qualcuno mi bollerà come paladino del politicamente corretto, manifesto vivente della filosofia liberal o femminista intersezionale, perché a quanto pare siamo così indietro come società che per essere definito “femminista” – in tono ovviamente spregiativo – basta semplicemente riconoscere l’esistenza di un problema, nello specifico quello della disparità dei sessi e della misoginia.
Tutto questo per dirvi che una potenziale guerra alla sentenza da parte della NFL lancerebbe – anche se non sarebbe sincero, non sono così ingenuo – un messaggio importante di vicinanza alle donne e a tutte le vittime di molestie sessuali, episodi in grado di compromettere e cambiare per sempre una persona: certo, come già detto alla lega di questo interesserebbe poco o niente e in nessun caso coinciderebbe con il fine ultimo della loro battaglia, ma l’estetica della mossa sarebbe gradevole, ecco.

Mi aspetto una risposta decisa, una risposta perentoria e determinata da parte di una lega che ci ha dato prova di non aver problemi a ricorrere alla tattica dello sfinimento per imporsi sull’avversario di turno, credo – e spero – che non sia ancora stata detta l’ultima parola su una vicenda che, da un anno e mezzo, a intermittenza sta monopolizzando il dibattito pubblico NFL e che sta tirando fuori il peggio da ognuno di noi.

Anche se per i motivi più sbagliati in assoluto – leggasi “rifarsi agli occhi del pubblico più critico” -, Roger Goodell ha fra le mani una seria opportunità di fare la cosa giusta e lottare con tutte le armi a sua disposizione affinché un individuo che ha raggiunto accordi extragiudiziali per 23 – su 24 – accuse di molestie sessuali sconti qualcosina in più di meno della metà della squalifica inflitta a uno che ha scommesso da casa su una partita della sua squadra.
Goodell questa volta si gioca tanto, ma sul serio.

9 thoughts on “Con Deshaun Watson la NFL si giocherà la credibilità

  1. Vicenda nauseante in tutti i sensi e in ogni frangente.
    La sentenza certifica che uno sufficientemente ricco per comprare il silenzio delle persone da lui offese (o, più semplicemente, non in grado di pagarsi il supporto più adeguato per una lunga e costosa causa legale) può godere dell’impunità da parte della NFL.
    Per tornare al football giocato e per quel che vale, sapendo che il karma è comunque il karma, gli auguro un pesantissimo infortunio alla prima partita che giocherà.

  2. Il fatto che Watson abbia raggiunto tutti questi accordi extragiudiziali non significa che sia colpevole, non significa nulla. E’ solo una vicenda grottesca, come grottesco è il numero delle accusatrici.

    • Se come dici W. ha raggiunto così tanti accordi privati quante sono le donne che lo hanno accusato, o è talmente tanto fottutamente ricco da fregarsene di buttare qualche milione di dollari o si sente colpevole fino al midollo, oppure magari entrambe le cose…
      Posso capire il dubbio che si insinua in chiunque venga a sapere di accuse come queste, ma per quanto mi sforzi non riesco a credere ad una montatura che abbia coinvolto un numero così elevato di accusatrici, non vorrei quindi che sia il dubbio a sorgere per via del solito pregiudizio che è legato ad un modo di pensare ormai retrogrado, e che è proprio ciò che la società di oggi, per potersi definire a titolo “civile”, deve fare di tutto per eliminare.
      Poi viene in rilievo l’aspetto secondo me più importante: se la NFL vuole preservare l’etica dei comportamenti dei suoi giocatori anche nella loro vita privata, innanzitutto deve a sua volta essere eticamente ineccepibile (e non usare mai due pesi e due misure) e poi non può delegare ad un tribunale la determinazione di una sanzione: questo è il classico controsenso che fa pensare che la NFL quando vuole evitare di assumere decisioni impopolari riesce comunque a farlo.
      Per cui secondo me, Mattia, non può recuperare la credibilità, cerca solo di salvare le apparenze, perché come ha detto qualcuno che conosci di persona la NFL è un freddo business…

  3. Applaudo i browns per l ingaggio a peso d’oro di uno con tutti questi casini e che ad oggi non gioca metà campionato.
    Riguardo la sanzione minimo x me un anno di squalifica e multa mostre.
    Riguardo l uomo che dire.. una brava persona

  4. Alla fine la NFL ha fatto appello, e credo che il punto di caduta sarà aggiungere un po’ di giornate per rendere più digeribile all’opinione pubblica la sentenza.
    Personalmente ho trovato più disturbante il contrattone firmato con Cleveland della sentenza. Peraltro, Watson fa la figura del maniaco con l’impermeabile sul tram, fossi al suo posto sprofonderei dalla vergogna anche senza le giornate di squalifica.
    Anche se stravedo per lui, trovo piuttosto che Hopkins, se dopato, abbia avuto una squalifica troppo mite, ma è coerente con l’atteggiamento storico delle leghe professionistiche USA.
    Molto carini i precedenti citati nel tweet, danno un’idea dell’arbitrarietà delle punizioni….

    • “Personalmente ho trovato più disturbante il contrattone firmato con Cleveland della sentenza.”
      Ecco, diciamo che hai perfettamente riassunto l’aspetto più scabroso dell’intera questione: diciamo che quel contratto – e l’asta che c’era stata fra Marroni e tre quarti di NFC South – ci dice tutto quello che dobbiamo sapere sull’atteggiamento della NFL verso la faccenda.
      Grazie per il commento e, in generale, grazie a tutti voi per i commenti.

  5. Non vedo niente di strano in quello che è successo. In fin dei conti stiamo parlando di vicende di un paese che è passato dalla barbarie alla decadenza senza passare dalla civiltà, citando qualcuno più importante di me. In fin dei conti gli USA si contorcono tutti i giorni in un coacervo di contraddizioni raziali e dall’altra parte cecano di dare rigore formale a delle sentenze su vicende che di formale non hanno niente. Cosa ci si aspetta da un paese che continua a contare quotidianamente i morti innocenti di stragi insensate solo perchè non è in grado di governare il mecato (miliardario) delle armi. La vicenda del Sig. Watson e anche la sentenza si inquadra perfettamente in un contesto sociale di questo tipo.

  6. Il dibattito è sicuramente interessante ma rischia anche di diventare tossico o di polarizzarsi immancabilmente su posizioni antitetiche. Mi permetto quindi di virare su una domanda di carattere puramente sportivo? Sarà Jacoby Brissett il sostituto? O tenteranno la carta folle dell’ultima chance a Josh Rosen? Ma io dico: la squadra aveva imboccato la via giusta da qualche anno a questa parte. Perché non proseguire su quella strada? Mah…

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