È estate, gli argomenti scarseggiano e abbiamo di tenervi compagnia proponendovi “Non c’è tre senza quattro”, la storia dei Buffalo Bills di Jim Kelly contenuta nel libro Bisogna saper perdere: le dieci più incredibili, epiche e devastanti sconfitte nella storia dello sport scritto da Giorgio Barbareschi.
A questo link è disponibile la prima parte della storia e, se siete incuriositi, potete acquistare il libro a questo link.
Buona lettura!


L’anno seguente è il 1991, e i Bills sono ancora una delle squadre favorite della lega. Il roster è rimasto quasi invariato, per lo meno nei giocatori chiave. Thurman Thomas disputa una stagione spettacolare, chiudendo con oltre duemila yard su corsa e il titolo di Most Valuable Player (miglior giocatore) della NFL. La K-Gun funziona che è una meraviglia e porta in dote un altro miglior record di conference, una vittoria nel Divisional Round contro i Kansas City Chiefs e un’altra finale della AFC, stavolta contro i Denver Broncos della stella John Elway.

Contrariamente all’anno precedente, è la difesa dei Bills a dominare la sfida, contenendo l’attacco degli avversari a soli sette punti e permettendo proprio a Scott Norwood di segnare il calcio decisivo del 10 a 7 dalle quarantaquattro yard, più o meno la stessa distanza da cui aveva sbagliato l’anno precedente a Tampa.

I Bills arrivano quindi al secondo Super Bowl consecutivo, da disputarsi nel freddo Minnesota contro i Washington Redkins. Stavolta non vogliono farsi distrarre da alcuna attività collaterale, e i giocatori si barricano in hotel per prepararsi ad affrontare gli avversari con la massima concentrazione.

Ma Washington non è certo un avversario facile, soprattutto perché i Redskins possono contare su una devastante linea offensiva, composta da cinque colossi auto-soprannominatisi The Hogs (i maiali). Uno schieramento temibile, che aveva la fama di brutalizzare le difese avversarie grazie a una devastante combinazione di prestanza fisica e ferocia agonistica.

Di certo non aiuta un’infelice intervista pre partita dell’assistente allenatore dei Bills, Chuck Dickerson, che pensa bene di insultare l’offensive tackle Joe Jackob definendolo «un Neanderthal che probabilmente prende a calci i cani del quartiere» e affermando che il compagno di schieramento Jim Lachey «ha un alito che fa cascare in terra gli avversari senza che nemmeno li debba toccare».

Il coach dei Redskins Joe Gibbs recupera una registrazione di quell’intervista e la mostra ai suoi ragazzi la sera prima della partita, fornendo ulteriori motivazioni a un gruppo che ormai non vede l’ora di mettere le mani addosso ai malcapitati avversari.

Il Super Bowl XXVI vede di fronte i due attacchi più prolifici della lega, ma la prima frazione si chiude senza nemmeno una segnatura. I Bills cominciano la gara con un’incredibile serie di errori, uno più banale dell’altro, e continuano ancora peggio nel secondo quarto, quando i Redskins cominciano a finalizzare i giochi offensivi e approfittano della confusione di Kelly e compagni per andare negli spogliatoi a metà partita in vantaggio per 17 a 0.

Dopo essere precipitati sotto addirittura per 24 a 0, i Bills tentano di imbastire un tentativo di rimonta ma sono incapaci di contenere l’attacco degli avversari. Con un contro-parziale di Washington all’inizio dell’ultimo periodo, la partita si chiude sul punteggio finale di 37 a 24. Seconda apparizione al Super Bowl per Buffalo e seconda dolorosa sconfitta, anche stavolta con tante occasioni perse su cui recriminare.

A differenza del primo Super Bowl giocato, contro i Redskins non ci fu veramente partite.

Certo, i Redskins sono una grande squadra e hanno disputato un’ottima partita, ma se la sconfitta dell’anno precedente poteva essere vista come un episodio sfortunato, dopo questa seconda débâcle i Bills iniziano a essere additati come chokers (‘cagasotto’ è la traduzione che rende meglio l’idea). L’improvvido Dickerson viene licenziato da coach Levy appena tre giorni dopo la sconfitta, ma ormai il danno è fatto, e per i Bills è il momento di un altro triste ritorno a casa.

L’anno dopo la squadra si ripresenta al training camp senza alcuni giocatori importanti. In primis proprio il kicker Scott Norwood, che lascia i Bills (a testa altissima, dopo aver chiuso la postseason del 1991 con un perfetto nove su nove nei calci piazzati) per appendere le scarpe al chiodo e terminare la carriera.

Il roster però resta competitivo e per Buffalo il 1992 è un’altra stagione di vittorie in doppia cifra (undici per la precisione) e un nuovo approdo ai playoff. Ma nell’ultima partita Jim Kelly si infortuna al ginocchio, e il sostituto Frank Reich è costretto a scendere in campo nel primo turno di wildcard contro gli Houston Oilers, senza aver mai praticamente giocato uno snap nel corso delle tre stagioni precedenti.

La partita è un massacro: all’intervallo gli Oilers conducono per 28 a 3 e Reich non è ancora riuscito a imbroccare un passaggio decente. Quando ormai tutto sembra perduto, coach Levy negli spogliatoi chiama Reich da una parte e gli dice: «Frank, anni fa hai guidato la più grande rimonta nella storia del football universitario. Fallo di nuovo oggi». Levy ha ragione: nel 1984 Reich era stato il quarterback di Maryland nella partita contro Miami in cui, sotto per 31 a 0 a metà partita, aveva guidato i Terrapins a una furiosa rimonta, culminata nella vittoria finale per 42 a 40. Ma sarebbe stato in grado di farlo anche tra i professionisti?

A giudicare dal primo passaggio del secondo tempo, la risposta è no. La palla, sporcata dalla deviazione di un compagno, carambola nelle mani di un difensore degli Oilers, che va in meta per quella che gli americani chiamano pick six, ossia un intercetto riportato direttamente nella endzone avversaria. 35 a 3 per gli Oilers, punteggio sul quale molti tifosi dei Bills cominciano a lasciare lo stadio per dirigersi al parcheggio e andarsene evitando il traffico.

Una decisione che rimpiangeranno a lungo. Reich da quel momento in poi non sbaglia più un lancio. Passaggio da trentotto yard per il touchdown di Don Beebe. Passaggio da ventisei yard per il touchdown di Andre Reed. I Bills vanno a punti in due drive consecutivi e tornano sotto soltanto di undici punti: i tifosi che sulla strada verso casa hanno acceso l’autoradio fanno inversione a U per tentare di ritornare a tutta velocità verso il Rich Stadium. Il giorno dopo un giornalista di Buffalo scriverà: «Centocinquantamila persone sono entrate allo stadio ieri sera: i cinquantamila che sono rimasti per tutta la gara e gli altri cinquantamila che sono entrati per due volte».

Altro passaggio da touchdown di Reich per Reed, stavolta da diciotto yard, e siamo a meno quattro. La difesa recupera subito il possesso dell’ovale e Reich lancia ancora per Reed: la meta da diciassette yard vale l’impensabile sorpasso per i Bills sul 38 a 35. I Bills hanno recuperato trentadue punti di svantaggio in meno di ventiquattro minuti.

Gli Oilers trovano il modo di pareggiare in chiusura dell’ultimo quarto quarto, ma all’overtime la difesa dei Bills intercetta un lancio del quarterback avversario Warren Moon e può calciare il field goal della potenziale vittoria. Stavolta non c’è più Norwood ma Steve Christie, la palla vola dritta in mezzo ai pali e si completa quella che è ricordata ancora oggi come The Comeback, la più grande rimonta nella storia della NFL. Reich chiude la partita con ventuno passaggi completati su trentaquattro tentati, duecentottantanove yard lanciate e quattro touchdown, e dichiara: «È il momento più bello della mia vita».

Il giorno dopo molti tifosi diranno agli amici: «Ho sempre saputo che ce l’avrebbero fatta», ma sono clamorose bugie, perché la verità è che il 99,9% del pubblico presente alla gara e degli spettatori televisivi aveva già dato per finita quella partita al termine del primo tempo.

La più grande rimonta di sempre? A voi la libertà di scelta: sicuramente la partita contro gli Oilers ha regalato a Frank Reich il momento della vita – sportiva.

Nel Divisional Round Reich e i Bills fanno un sol boccone dei Pittsburgh Steelers, eliminati per 24 a 3, e nella finale della AFC Jim Kelly torna in campo per guidare la squadra alla vittoria per 29 a 10 contro i Miami Dolphins. I Buffalo Bills hanno conquistato un altro biglietto per il Super Bowl, il terzo in tre anni.

Nei giorni precedenti la finale i giocatori cercano di scherzare con la stampa sulla loro etichetta di perdenti, ma è ovvio che la tensione sia alle stelle. Nessuna squadra ha mai perso tre finali consecutive, e i Bills non vogliono essere i primi a scrivere questo tipo di storia. Appellandosi anche alla scaramanzia, la dirigenza di Buffalo fa recapitare all’hotel di Los Angeles che ospita i giocatori prima della gara il tavolino del bar a cui Reich e Kelly sono soliti mangiare prima di ogni partita casalinga. Tutto pur di guadagnare ogni vantaggio possibile, anche soltanto psicologico. Anche perché il compito non si preannuncia per niente facile. Gli avversari stavolta sono i Dallas Cowboys di Troy Aikman (quarterback), Emmitt Smith (running back) e Michael Irvin (wide receiver): tre giocatori che termineranno la carriera ai vertici delle classifiche dei migliori giocatori di tutti i tempi nei rispettivi ruoli.

Ma i Bills sono carichi a mille, partono forte mettendo la museruola all’attacco dei Cowboys e segnano al primo possesso grazie a una corsa da 2 yard di Thomas: 7 a 0. Subito dopo Aikman subisce due intercetti consecutivi, e per tutta la prima parte della frazione iniziale Buffalo sembra padrona del campo.

Da lì in poi però comincia l’incubo. Kelly viene prima intercettato e poi perde la palla su un placcaggio, con i Cowboys che capitalizzano entrambe le palle recuperate realizzando i due touchdown che li portano sul 14-7 in chiusura di primo quarto.

L’inerzia è di colpo cambiata. Su uno dei primi possessi del secondo quarto, Kelly viene placcato molto duramente e deve essere sostituito. Entra Reich, e per quanto Kelly sia considerato uno dei quarterback più forti della lega, molti tifosi di Buffalo vedono questo cambio come un segno del destino, sperando che il profeta della rimonta sugli Oilers riesca a ribaltare anche questo risultato.

Ma questa volta il lieto fine non arriva: i Bills nel corso della gara perdono in tutto ben nove palloni, record assoluto per un Super Bowl, e la partita si trasforma ben presto in una vera e propria disfatta. 52 a 17 e terzo titolo della storia per i Dallas Cowboys, mentre i Bills sono ormai per tutti “la squadra che non sa vincere”.

Dileggi dei giornalisti, sketch dei comici, prese in giro in tutto il Paese. Nei mesi successivi nessuno vuole perdere l’occasione di dare sfogo alla creatività per partorire una battuta su quanto siano perdenti i Buffalo Bills. La più famosa? «Do you know what B.I.L.L.S. stands for? Boys, I Love Losing Super Bowls».

Prendete la caption del Super Bowl contro i Redskins ed elevatela al cubo: i Bills quel maledetto giorno nemmeno scesero in campo.

Non solo nessuno ormai crede più che Kelly e compagni possano vincere un titolo NFL, ma nessuno vuole nemmeno più vederli arrivare in fondo per poi sopportare lo spettacolo di un’altra sconfitta. I Bills, una volta riconosciuti e rispettati per la loro tenacia, sono diventati lo zimbello degli Stati Uniti… (continua)

2 thoughts on “Non c’è tre senza quattro: la storia dei Buffalo Bills di Jim Kelly (seconda parte)

  1. Da tifoso Bills vi ringrazio per questi articoli (ho recuperato anche la prima parte, che mi era sfuggita). Tante cose non le sapevo, tipo le intemperanze di Kelly.

    Sensazione mia: quest’anno dominiamo il campionato e poi perdiamo in maniera rocambolesca il quinto s. b. :).

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